1 marzo 2002
Tags : George Harrison
Harrison George
• . Nato a Liverpool (Gran Bretagna) il 25 febbraio 1943, morto a Pacific Palisades (Stati Uniti) il 30 novembre 2001. «Il più giovane dei Beatles [...] Nel museo beatlesiano agli Albert Docks il certificato di nascita ricorda che il padre Harold faceva l’autista di autobus, la madre Louise French era casalinga. Una famiglia modesta, ma lui fu l’unico fra i quattro figli a essere incoraggiato dai genitori nella passione per la musica. Lui e Paul McCartney prendevano lo stesso autobus per recarsi alla Doverdale Primary School. Si incontravano per suonare e, nel ’56, ancora quattordicenne, fu presentato al gruppo dei Quarry Men, di cui divenne più tardi componente fisso. Poi furono i Silver Beatles (con Lennon, McCartney e Stuart Sutcliffe) e quindi i Beatles. Nel 1964, durante le riprese del film A Hard Day’s Night si innamorò della modella Patty Boyd, che sposò il 21 gennaio ’66. Il suo talento fu frenato dalla egemonia del duo Lennon-McCartney. Anche se la sua vocazione istrionica era inferiore alla loro, il contributo compositivo di George comprende ben 22 canzoni, alcune delle quali ebbero grande successo (I Need You, Within You, without You e soprattutto Something la più eseguita al mondo dopo Yesterday). Col peggiorare dei rapporti fra Lennon e McCartney e con le nuove certezze acquisite con la meditazione trascendentale, il suo spazio aumentò. Le sue ricerche sul suono diedero spesso il tocco finale al Beatles-sound, soprattutto per quel modo di adoperare la chitarra ammiccando al rockabilly. Fu lui a introdurre nella musica pop il sitar, lo strumento a corde indiano usato in Norwegian Wood. Dopo le due ottime canzoni scritte per Abbey Road (Something e Here Comes the Sun) solista si scatenò nel triplo album All Things Must Pass (1970), mistico e acustico, aperto da I’d Have You Anytime, scritta a quattro mani con Bob Dylan. La quinta e la sesta facciata dell’album offrono poi una memorabile jam session cui parteciparono fra gli altri Ringo Starr, Klaus Voormann, Billy Preston, Eric Clapton e Dave Mason. Tuttavia il brano che passò alla storia fu My Sweet Lord, che nel 1971 arrivò ai primi posti delle classifiche in tutto il mondo. Motivo intenso, orecchiabile, quasi una preghiera. Però identico, nella melodia, alla canzone dei Chiffons del 1963 He Is So Fine: George fu condannato per ’copiatura inconscia’ a pagare metà dei diritti agli eredi dell’autore. Sempre nel 1971 diede vita a un’altra iniziativa memorabile: due concerti al Madison Square Garden per aiutare il popolo del Bangladesh colpito da una immensa carestia: vi parteciparono Ravi Shankar, Bob Dylan, Ringo Starr, Billy Preston, Leon Russel, Eric Clapton. L’album The Concert for Bangladesh, pubblicato nel 1972, fu un successo. Seguirono dischi non eccelsi e la creazione di una casa discografica, la Dark Horse Records. Ma è un anno nero per George: sua moglie Patty Boyd lo lascia proprio per Eric Clapton, mentre la critica lo stronca e il pubblico ignora il suo Dark Horse. La qualità dei suoi dischi scese poi ancora. George trovò però la sua riscossa su un altro fronte. Nel ’79, al debutto come produttore cinematografico, lancia i Monty Python, comici geniali e demenziali. I suoi film , fra i quali il fortunatissimo Shangai Surprise del 1986 interpretato da Madonna e Sean Penn, diedero ottimi risultati economici. Talento musicale discontinuo, fu il primo a provare varie droghe, ma anche il primo ad abbandonarle, nel 69, dopo essere stato arrestato con Patty dopo una perquisizione domiciliare. Il suo carattere lo portò ad essere sempre molto amato dai colleghi. Che lo aiutarono nell’ultima importante avventura musicale, la fondazione, nel 1988, dei Traveling Wilburys, con Bob Dylan, Tom Petty, Jeff Lynne e Roy Orbison. Poi fece pace con Clapton nel ’92 e andarono insieme in tour in Giappone. Da allora George è salito alla ribalta per concerti benefici, occasioni particolari o per operazioni connesse all’utilizzo del materiale edito e inedito dei Beatles. Le nuove tendenze musicali lo interessavano poco: ”In realtà - diceva - io respingo tutto ciò che è accaduto negli ultimi 15 anni: la ’disco dance’ con i suoi ritmi ottusi e stereotipati, fatta da gente disarmonica, con le orecchie turate, capace solo di sputarsi addosso. Io venero Elvis Presley, Chuck Berry, Jerry Lee Lewis, Little Richard, Bob Dylan. E stimo pure Ry Cooder, Dire Straits e Sting. E quella vecchia volpe di Jagger, non perché sia bravo, ma perché è un uomo di spirito e sa scegliere i collaboratori giusti”. E sulla possibile ricostituzione dei Beatles aggiungeva: ”Sono stati anni di divertimento, di follia collettiva. Ricordiamoli con la giusta nostalgia, senza cercare di farli resuscitare”. La fine di Lennon lo aveva indotto in un perenne stato d’ansia per la sua sicurezza. Trascorreva gran parte del tempo con la nuova moglie Olivia Arias che nel ’78 gli aveva dato Dhani. Nel ’99 uno squilibrato armato di coltello lo aveva aggredito e ferito nella sua casa vicino a Londra (a salvarlo fu la moglie, colpendo l’aggressore con una lampada da tavolo). Lui, primo dei Beatles a guardarsi nell’anima aiutato dalle filosofie orientali, ha affrontato stoicamente il calvario della malattia e di vari interventi chirurgici. Fino all’epilogo, dopo aver ripetuto agli amici affranti il verso di una sua canzone: ”La vita è come una goccia di pioggia sopra una foglia di loto. Tutti sanno che c’è chi ha fortuna e chi non l’ha e l’unica cosa da fare è accettare con il necessario distacco il proprio destino”» (Mario Luzzato Fegiz, ”Corriere della Sera” 1/12/2001).