Varie, 1 marzo 2002
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Heaney Seamus
• Castledawson (Irlanda del Nord) 13 aprile 1939. Poeta. Premio nobel per la letteratura 1995 • «[...] Artista inimitabile nel forgiare una lingua pastosa, corposa e oggettiva, Heaney è anche divulgatore, nel senso più nobile, della poesia, perché sia nelle sue raccolte di versi (tra le altre Una porta sul buio, 1969, Nord, 1975, Veder Cose, 1991) che nel suo lavoro critico riecheggia continuamente la voce dei tanti poeti che ama: dall’ignoto compilatore del primo poema anglosassone, il Beowulf, fino a Yeats, Larkin, Milosz e Montale. Del resto “ogni poeta è una strada, un filo rosso verso il nucleo della parola” [...] confessa, con quel suo linguaggio che è costantemente un misto di astrazione e fisicità. [...] “La poesia è come la lente del binocolo che aiuta a mettere a fuoco il mondo. Non può cambiarlo, ma si ha l’impressione che quando l’essere umano riesce a sfuggire alla vaghezza e all’indeterminatezza e a vedere le cose in modo più nitido, allora anche le cose possono cambiare per il meglio. E questo procedimento che è estremamente tangibile è il più grande valore che la poesia continua ad avere anche in un mondo pieno di urla e nel quale il brivido della violenza e del potere è quello che maggiormente attrae l’uomo”. Eppure questa voce della poesia sembra trovare poco ascolto nel mondo spettacolarizzato dai media e così gravido di paura… “Certo, è vero. La poesia non grida e non può fermare la mano dei terroristi, né i carrarmati né le bombe intelligenti. Ha però il compito difendere l’uomo dal disordine, dalla mancanza di senso. Citando Milosz, posso affermare che la poesia è una parola che corre per l’universo gridando il suo no al nulla e al nonsenso”. In una sua poesia su San Kevin immaginava il santo che accoglie nella mano un merlo e i suoi piccoli perché si sente una “maglia della rete della vita eterna”. In tutta la sua produzione la trascendenza ha sempre un’impronta forte, molto carnale… “È parte del mio patrimonio, sono nato e cresciuto cattolico in una maggioranza protestante e il mio linguaggio cerca sempre di riprodurre la bellezza e la magnificenza del piano teologico, ma lo fa per un altro verso, cercando di rendere palpabile, di umanizzare la bellezza della teologia. Del resto non c’è bisogno di scrivere una Divina Commedia per rendere un servizio alla natura trascendente della poesia [...] Tradurre un poema antico è come entrare nella fabbrica del linguaggio. Quella degli antichi inglesi, poi, risuona, tintinna come in un’officina, fa vibrare la carne, e poi c’è la componente dell’epica: non nel senso del grandioso, ma in quello dell’incredibile, di un fato misterioso che condiziona l’agire umano”. [...] è irlandese ma come lingua madre ha avuto l’inglese; cattolico, ha vissuto nell’Ulster poi in Irlanda ma ha anche insegnato nelle università britanniche. [...] “Come parte della minoranza cattolica ho vissuto gli anni terribili della guerra civile, fino allo sciopero della fame di Bobby Sands e degli altri militanti dell’Ira. Era il 1981, e mi ricordo che quei fatti mutarono il mio atteggiamento verso la c ausa nazionalista. Percepii il senso del limite umano cui si era giunti, in un incrocio di rivendicazioni, sacrificio, nazionalismo e religione che sembrava minacciare la mia libertà di poeta e di uomo. C’è un momento nelle vicende umane in cui si arriva ad una soglia, un momento in cui il dramma segreto dell’essere si manifesta. E allora ci si trova come esitanti, senza risposte. Poi la realtà riprende a camminare inesorabile. [...]”» (Saverio Simonelli, “Avvenire” 9/9/2005).