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 2002  marzo 01 Venerdì calendario

Hepburn Katharine

• Hartford (Stati Uniti) 12 maggio 1907, Old Saybrook (Stati Uniti) 30 giugno 2003. Attrice. «Una delle più grandi attrici della storia del cinema, un idolo americano che per mezzo secolo fu considerata la regina di Hollywood». «Da giovane in California l’avevano accolta subito come un’estranea, addirittura una snob: figlia di un’ottima famiglia del Connecticut, diplomata, attrice di Broadway. E poi niente calze né trucco né profumi o gioielli: sempre in pantaloni e scarpe da ginnastica, una patologica idiosincrasia per interviste e autografi, vita privata a prova di reporter. I giornali si vendicarono quando nel ’60 impersonò in un musical Coco Chanel: “Considerato come veste, è proprio un’ironia scrisse Newsweek”. Eppure il segreto di Pulcinella della sua relazione con Spencer Tracy, protrattosi per 9 film in 27 anni, fu rispettato da tutti. Tirata su con sistemi puritani da un padre medico sociale e una madre protofemminista, Kate restò fedele a ferree regole di comportamento: presto a cena, subito a letto e sveglia alle quattro e mezza: niente fumo, niente alcol; bagni nell’acqua fredda in ogni stagione; golf, tennis e nuoto ovunque possibile. Non andava al ristorante per l’inopportunità in pubblico di mettere i piedi più in alto della testa, una pratica igienica irrinunciabile al momento della digestione. In casa né radio né giradischi né televisione o altri aggeggi definiti rumorosi. Si divertiva a dipingere paesaggi, a leggere e talvolta a scrivere: con garbo e umorismo, come dimostrano il bellissimo libro sulla lavorazione di La regina d’Africa e l’autobiografia, pubblicati anche in Italia. Amava fare regali e detestava riceverne. Aveva molti amici verso i quali era fedelissima soprattutto nei momenti difficili: visitò ogni giorno Ethel Barrymore durante la sua lunga malattia; ed è rimasta leggendaria l’assistenza che prestò a Spencer negli ultimi terribili anni. Nonostante il successo, che fu immediato e duraturo, non tutti le riconobbero un gran talento. Per lei la linguaccia Dorothy Parker coniò la famosa frase: “Le sue ambizioni vanno da A a B”, Helen Lawrence scrisse su Vanity Fair: “Ha solo una struttura ossea fotogenica, più o meno due espressioni e una gamma di manierismi vocali” e i critici australiani proclamarono durante il giro artistico del ’ 55: “Non è Vivien Leigh”. Del resto nel ’38 a Hollywood l’avevano bollata come “ veleno per il botteghino” e ci vollero le 417 repliche in teatro di Scandalo a Filadelfia per tornare sulla costa del Pacifico con i diritti della commedia in tasca e la congiunta possibilità di scegliere George Cukor come regista e Cary Grant e James Stewart come partner nel classico film che ora passa regolarmente in tv. Senza essere una vera donna in carriera la Hepburn si è sempre sbrogliata molto bene, ha saputo alternare schermo e palcoscenico con ardente tempismo e sprezzo della fatica; e se in tournée trovava dei teatri sporchi, prendeva la scopa e spazzava da sé i camerini. Ma non rubava il mestiere solo alle donne della pulizia: alle prove era il terrore dei registi e finite le riprese di un film piombava in moviola con idee tutte sue. Dolcissima con chi sentiva in sintonia, arrivò a sputare in faccia allo sbalordito Mankiewicz l’ultimo giorno della lavorazione di Improvvisamente l’estate scorsa. Negli anni 30 il suo tipo volitivo, appassionato e moderno scatenò le ragazze del pianeta in una gara per imitarla. Più tardi, in coppia con Tracy, diventò la tipica Costola d’Adamo del mezzo secolo nella spiritosa e spesso vincente schermaglia con il maschio; per sconfinare poi nel personaggio della “spinster”, la zitella combattente che tiene testa a Bogart ne La regina d’Africa e intriga Rossano Brazzi in Tempo d’estate. Finché, in un’accentuazione dei toni tragici, s’impose come la folle madre di O’Neill in Lunga giornate verso la notte e azzardò perfino Ecuba in Le troiane. Continuando a rivelare, in quasi 50 film e almeno 25 spettacoli, una personalità ardita e indomabile, a dispetto degli acciacchi sempre più visibili verso gli ultimi traguardi della terza età. Aveva un credo: “Recitare non è la cosa più importante. Importante è la vita: la nascita, l’amore, il dolore; e infine la morte”» (Tullio Kezich, “Corriere della Sera” 1/7/2003). «L´unica ad aver vinto quattro Oscar, senza mai ritirarne nessuno. Più che uno sberleffo a Hollywood, fu coerenza con se stessa, con la scelta del vivere appartato, con la discrezione, frutto della solida educazione di famiglia: cinque fratelli, il padre un medico stimato e la madre ex suffragetta. “Oggi lei sarebbe considerata di estrema sinistra, lui un conservatore illuminato”, scrisse nella sua autobiografia. La determinazione fu il segno di ogni scelta, a partire dal matrimonio a 29 anni con un ragazzo di buona famiglia nel rispetto delle regole sociali. Divorziò sei anni dopo, sdegnandone il cognome, un banale Smith. Ormai il vero amore era il teatro. Allora il cinema era lontano, disprezzato, ed è leggenda l´incontro con David Selznick, che le offriva un contratto con la Rko. Lei, che guadagnava 100 dollari la settimana, gliene chiese 1500, tanto per liberarsi di lui. Ma Selznick accettò e la Hepburn partì per Hollywood e per una carriera di 50 film, a cominciare dal felice incontro con George Cukor, un perfetto connubio, dieci titoli insieme, tra i quali Febbre di vivere, Piccole donne, Il diavolo è femmina, Scandalo a Filadelfia. Nel ´42 l´incontro con Spencer Tracy. Se non "con lui", che da buon cattolico e padre di un figlio sordomuto non volle mai divorziare, "per" lui visse per 27 anni e 9 film, fino alla morte di lui nel 1967, dopo l´ultimo lavoro insieme, Indovina chi viene a cena?. Tutto il mondo, non solo Hollywood, conosceva il legame della Hepburn con Tracy, ma nessuno ne parlava. Lei lo ammise solo in un´intervista del ´86 – “E´ stato l´unico grande amore della mia vita” - e non reagì quando nel ´97 uscì un libro che svelava i vizi dell´attore, l´alcolismo e le anfetamine, le infedeltà: prima di Katharine furono Joan Crawford, Judy Garland, Loretta Young, durante Grace Kelly e Ingrid Bergman. Ma solo sullo schermo la coppia viveva i litigi e le ricomposizioni dell´eterna guerra tra i sessi, nella vita lei subì in silenzio. Si è scritto in seguito che, dopo aver scoperto il cadavere dell´amato fratello Tom, morto suicida, la Hepburn sentiva un complesso di colpa forte, qualcosa di simile al masochismo. La rigida discrezione con cui protesse la sua privacy, non salvò l´attrice dai pettegolezzi. Non pochi gli uomini che avrebbero subito il fascino della sua bellezza e della sua intelligenza. Tra gli altri, il produttore Leland Hayward, lo scrittore William Rose, gli attori Charles Boyer, Humphrey Bogart. Chissà quanti di loro furono ricambiati, ma è certo che per tre anni l´attrice visse nel mondo dorato di Howard Hughes, il mitico miliardario massacrato dalle nevrosi. E, a contrasto con le orgogliose affermazioni di indipendenza rilasciate dopo il divorzio, un altro marito lo avrebbe voluto, ma sbagliò uomo: John Ford sarebbe stato l´uomo ideale prima dell´incontro con Tracy. Lo avrebbe voluto al punto di offrire 150 mila dollari a Mary Ford perché lasciasse il marito. Invano. “Se John mi lascia non vedrà più sua figlia, ed è troppo religioso per divorziare. Sarò la signora Ford finché campo”, reagì la signora. Un amore impossibile, un matrimonio negato, come quello che le negò Spencer Tracy. Bellissima, una splendida carriera, amata in tutto il mondo: ma fu veramente felice la vita di Katharine Hepburn, la donna che negò la sua femminilità?» (Maria Pia Fusco, “la Repubblica” 1/7/2003). «La filosofia dell´abbigliamento di Katharine Hepburn (“mai la gonna se non quando lo richieda il copione”, con relativa spiegazione razionale: “Non ho mai potuto sopportare i vestiti, non mi piacciono le calze, non mi stanno su”, e con relativi incidenti, dalla diffida a entrare al Claridge di Londra in quella tenuta, alla difficoltà di renderla presentabile nelle occasioni ufficiali) non è solo la base di uno stile estetico senza tempo, ma, soprattutto e più importante l´aspetto esteriore del suo gusto per la libertà fisica e psicologica. Quello stesso gusto per la libertà che, bambina, la spingeva ogni estate a farsi tagliare i capelli quasi a zero. Lo ricorda, assieme ad altre gustosissime cose, il suo amico Garson Kanin nella celebre biografia-di-coppia: Spencer e Katharine. Perché? Credo, rispose all´amico che la interrogava in proposito, allora i bambini erano soliti acchiappare le bambine per i capelli... Quel gusto per la libertà che, adulta, la fece essere la star più segreta, schiva e selvatica circa la propria vita privata. Che la portò ad essere un´attrice fuori dagli schemi, pronta ad accettare gli alti e bassi della carriera, piuttosto che abbassarsi ai compromessi: piena di iniziative, invenzioni e spregiudicatezza, capace di trasformarsi in produttrice di se stessa ogni volta che ce ne fosse l´occasione, e a rinunciare a nove decimi del suo cachet ogni volta che ne valesse la pena. Che, nonostante un´esperienza matrimoniale di sei anni, la fece restare miss Hepburn per tutta la vita, anzi per molti, commenterà: “Zia Kat, una generazione perduta. Non sono mai stata una bambina e mai una madre, ma sempre e soltanto zia Kat. Ero l´amica dei miei genitori, e sono sicura che questo è il motivo per cui non ho mai desiderato alla follia di essere sposata”. I suoi pantaloni e le sue camiciacce, dunque, il suo “berretto trovato in Germania tra le due guerre”, di cui “ho fatto innumerevoli copie” e che “è pratico, è chic, ma soprattutto comodo”, la giacca da lavoro che era “una robetta smessa di mio fratello”, e che “porto larga perché sto fuori un sacco di tempo e mi va la roba comoda. Del resto non mi è mai importato un accidente di come vesto”, non appartengono alla scuola hollywoodiana delle grandi ambiguità, non hanno nulla in comune con i Tuxedos e gli abiti maschili di Marlene Dietrich e delle sue emule, con la loro scelta di glamour al maschile e al super-femminile. Ma corrispondono alla sua appartenenza a quella che Garson Kanin chiama “la vera stirpe degli originali americani”: i malati d´indipendenza, da Thoreau a Gertrude Stein, da Edison a Dashiell Hammett. E non è un caso se questa “originalità” anche nel caso di Katharine venne, al momento opportuno, attribuita a delle simpatie “rosse”. La grande originalità di Katharine è soprattutto il suo “femminismo” (se così vogliamo chiamarlo): pragmatico e per nulla teorico, ironico e disinvolto. Nessuno stupore se, figlia di una madre pioniera nel campo del controllo delle nascite, che spesso esercitò questa sua “missione” contro gli interessi e la rispettabilità borghese del marito, stimato urologo, Katharine dicesse: “Tutto questo chiasso e il movimento femminista... Naturalmente io sono dalla loro parte. Quello che mi infastidisce è che credono di averlo inventato, d´essere impegnate in qualcosa di nuovo. Buon Dio, uno dei miei antichi ricordi è mia madre che tiene discorsi e fa casini...”. E nessuno stupore che i suoi personaggi siano sempre stati lontani dalla convenzione cinematografica americana, e abbiano creato una galleria di nuove femminilità: nevrotiche, alla mano, arroganti, spregiudicate, indipendenti e impetuose» (Irene Bignardi, “la Repubblica” 1/7/2003). «Come si fa a non invidiare coloro che hanno visto Katharine Hepburn in teatro, quando le semplici foto di scena già testimoniano il carattere straordinario conferito da Miss Hepburn ai suoi personaggi? Nel bene e nel male, beninteso. Quando, già Star nel cinema, Hepburn affrontò un´abbastanza melensa commedia, The lake 1933, ed ebbe un clamoroso insuccesso, si sentì dire, o meglio, lo trovò scritto in una critica firmata da Dorothy Parker: “Andate al Martin Beck Theatre a vedere Katharine Hepburn percorrere tutta la gamma delle emozioni dalla A alla B”. Ma nel 1939 per Scandalo a Filadelfia di Philip Barry illustri critici, tra cui il perfido e terribile Brook Atkinson, scrissero di lei in termini dall´entusiasta in su. Probabilmente Miss Hepburn aveva semplicemente trovato anche in teatro quell´equilibrio tra il suo essere una grande attrice e il suo statuto di grande Star che aveva così facilmente realizzato in cinema. Perché si tende a dimenticare, di fronte all´imponenza della sua carriera cinematografica, che Miss Hepburn è nata attrice di teatro per diventare più tardi attrice di cinema. L´unico dubbio che nessuno si sia permesso su di lei: che non fosse nata attrice, attrice, attrice. Benedetta da una delle facce più belle che si siano mai viste, fornita di un corpo agile (era una sportiva e un´atleta) con in più l´estrema grazia di una sorta di dubbiosa androginia, ancora una volta benedetta da tempi comici come pochissimi (Cary Grant, a volte Spencer Tracy), come tutti gli attori comici poteva affrontare la tragedia con estrema facilità. Nella sua autobiografia, sobriamente intitolata Io ammette di essersi resa conto abbastanza presto, nei suoi primi contatti con gli spettatori, di “avere la capacità di farli ridere e farli piangere”. Non rinunciò più al palcoscenico, Miss Hepburn da quella sera del 1939 (il 28 marzo) quando si rese conto durante la prima di Scandalo a Filadelfia, di “avercela fatta” di “essere brava”, forse serbando gratitudine al teatro dopo che il successo della commedia produsse un fantastico successo cinematografico. E restò fedele all´autore contemporaneo che stimava ed amava, Philip Barry, finché incontrò un altro autore cui dedicherà sul palcoscenico un´assoluta devozione, con un tradimento e infine un divorzio. L´autore era inglese e si chiamava William Shakespeare. 1950, New York, 26 gennaio, prodotto dal Theatre Guild, Come vi pare con Hepburn nel ruolo di Rosalinda fornisce all´attrice una meravigliosa esperienza, un estatico successo. Nel ’57 a 50 anni, Hepburn si permette il ruolo di Porzia in Il mercante di Venezia. Nello stesso anno interpreta Beatrice in Molto rumore per nulla: un critico (Paul V. Beckley) sul New York Herald Tribune, afferma che Shakespeare, quel ruolo, quelle battute, li aveva scritti per lei. Tre anni dopo si permette Viola in una memorabile Dodicesima notte, e il critico più sobrio la definisce “una benedizione”. Non contenta, in quella stessa stagione, è Cleopatra in Antonio e Cleopatra avendo al suo fianco un´altra star cinematografica: Robert Ryan. Ci fu, come abbiamo detto, un tradimento a Shakespeare, consumato peraltro a favore di un altro grandissimo: G.B. Shaw. Di lui Hepburn interpretò una clamorosa La milionaria, nel 1952, poi la commedia diventerà un film, titolo cambiato per l´Italia, forse per via dell´inflazione, in La miliardaria, con Sophia Loren nel 1960. Nel 1969 Miss Hepburn, che non sapeva cantare, affronta il musical, con Coco, biografia fantasiosa di Coco Chanel scritta da Alan Jay Lerner e musicata da André Previn; raggiunge un onorevole numero di repliche (332), ottiene ovazioni dal pubblico e imbarazzate lodi dalla critica. Tornerà a Broadway nel ´76 (A matter of gravity di Edith Bagnold) e ancora nel 1981 con The west side waltz di Ernest Thompson. Ma l´indomita Kate, ha trovato una nuova strada e gira per la tv, con due gemme assolute: Amore fra le rovine con Laurence Olivier nel ´75 e il Il grano è verde nel ´79, entrambi di George Cukor» (Alvise Sapori, “la Repubblica” 1/7/2003). «Da ragazza era bellissima: d’una bellezza originale, ardente e aristocratica, incantevole e diversa da tutte le bellezze del suo tempo, la divina Garbo, la carnale Jean Harlow, la cattiva Joan Crawford, la composta Norma Shearer; d’una eleganza naturale e insieme sofisticata, sicura, inarrivabile. Diva amatissima, attrice brillante brava come poche, però mai interprete d’uno di quei grandi film che stanno nella storia del cinema a segnare un’epoca: mentre le commedie anche più riuscite e divertenti vengono presto dimenticate. Adesso la sua apparizione memorabile resta forse l’icona nevrotica discendente nell’ascensore interno d’una villa surrealmente lussuosa, la madre crudele innamorata del figlio morto in Improvvisamente l’estate scorsa. Carattere prepotente: quando si sposò per la prima e unica volta a ventun anni, nel 1928, con un giovane uomo d’affari e di mondanità di Filadelfia, Ludlow Ogden Smith detto Luddy (durò poco, appena quattro anni), impose al marito di modificare il proprio nome in Smith Ogden Ludlow: “Non volevo essere chiamata Smith, lo trovavo un nome deprimente: Kate Smith, per carità!”. Carattere tenace: ha lavorato fin oltre il possibile. A 87 anni è apparsa in Love Affair con Warren Beatty. A 78 anni ha recitato con Nick Nolte in Agenzia omicidi il personaggio di una vegliarda stanca di vivere che si rivolgeva a un killer professionista per venire uccisa. A 74 anni ebbe il quarto Oscar per Sul lago dorato interpretato con Henry Fonda (gli altri Oscar erano stati per il suo terzo film Gloria del mattino nel 1933, per Indovina chi viene a cena accanto a Spencer Tracy nel 1967 e nel 1968 insieme con tutti gli attori de Il leone d’inverno, film in cui, figuriamoci, Anthony Hopkins debuttava nel cinema). A 68 anni fece il suo primo western a fianco di John Wayne, il terribile Torna El Grinta. A 60 anni il suo primo musical, Coco, impersonando Coco Chanel. Ma già prima aveva affrontato con pragmatismo e forza i personaggi più tristi per una star ex meravigliosa, quelli di donna sola invecchiata e innamorata: Tempo d’estate con Rossano Brazzi, Il mago della pioggia con Burt Lancaster, La Regina d’Africa con Humphrey Bogart. Carattere brutto, per il costume di Hollywood: la definivano intrattabile e indomabile, capricciosa, asociale. Alle donne come lei non erano abituati. Colta e progressista, nata nel Connecticut in una delle grandi famiglie del Sud impoverite dopo la guerra di Secessione, figlia d’un chirurgo famoso e d’una suffragetta militante, Katharine Hepburn era cresciuta tra le battaglie civili condotte dai genitori per il controllo delle nascite e per il voto alle donne, in un’atmosfera di grande libertà intellettuale e di dura disciplina fisica: letture serali ad alta voce di testi di Emerson o Shaw; nuoto, tuffi, golf, tennis, salti mortali, atletica, nutrizione controllata e tutti gli esercizi (verticale, marcia sulle mani) utili a perfezionare l’uso del corpo come strumento efficiente e a porre in lei le radici perenni di un salutismo spietato. Ostilità e maldicenza non la turbavano: “Ci eravamo abituati presto a venir snobbati dai reazionari”. Finta semplice, convinta sempre d’aver ragione, capace di pretendere e ottenere rispetto dai produttori, giudicata subito da George Cukor nel 1932 “una ragazza di buona famiglia, un po’ snob e totalmente insicura”, arrogante nei modi e unica (“Come lei non c’è nessuna”, diceva Billy Wilder), Katharine Hepburn era tuttavia pure una finta ribelle. Diversa da ogni star, certo: rarissime interviste, rimproveri ai cacciatori d’autografi, silenzio sulla vita privata, sempre in giro in pantaloni, con pochi amici tra i cineasti e molti tra gli intellettuali, invitata a prendere il tè dal presidente degli Stati Uniti Roosevelt. Però anche amica del produttore più potente Louis B. Mayer, amante dell’agente Leland Hayward, amante del produttore-industriale più tirannico Howard Hughes (“Tutti e due venivamo da un ambiente ‘giusto’, eravamo cresciuti negli agi e divorati dal desiderio di celebrità”), assente nelle questioni politico-sociali: la sua carica polemica si esprimeva soprattutto nell’ottenere privilegi per se stessa e nel recitare personaggi femminili forti, brillanti, indipendenti e spesso vincenti in bellissime commedie dirette da Cukor sull’eterna guerra dei sessi quali La costola di Adamo, La donna del giorno, Susanna, Scandalo a Filadelfia. Hollywood non la amava. [...] I produttori la soprannominavano Box Office Poison, inserendola in una lista nera fasulla degli attori di sicuro insuccesso commerciale inventata per punire i disobbedienti e quelli “moralmente indesiderabili”. Il pettegolezzo la voleva lesbica o almeno bisessuale, e l’accusa di essere troppo “boysh”, mascolina, le fece perdere dopo un magnifico provino l’occasione di interpretare Via col vento. Lei replicava con l’indifferenza o con battute sprezzanti: “La Stuarda era un’oca”, commentava per spiegare la poca riuscita di Maria di Scozia; del troppo sentimentale Tempo d’estate diceva: “In realtà è la storia di David Lean a Venezia”; di John Wayne parlava come d’un cavallo: “Spalle larghe, petto poderoso, buone gambe, sedere magro...”. Nel 1942, sul set de La donna del giorno di George Stevens, incontrò Spencer Tracy, accanto al quale avrebbe interpretato nove film. Se ne innamorò e lo amò per oltre un quarto di secolo, formando con lui una coppia esemplare: “Avevo trentatrè anni quando l’ho conosciuto. Un divo di autentico valore. Era già sposato, e a me non interessava sposarmi. L’ho amato: non mi è stato facile, perché sono decisamente egocentrica. Avrei fatto qualsiasi cosa per lui. Non lo avrei mai lasciato. Ero sua. Volevo che fosse felice”. Quando arrivò l’infelicità della malattia, per cinque anni lei smise di lavorare per assisterlo, alternandosi alla moglie di lui Louise. Tornò sul set soltanto con lui in Indovina chi viene a cena, non si allontanò da lui fino al giugno 1967 della morte. Dopo le rimase il lavoro, portato avanti nonostante i tremitio e i tormenti del morbo di Parkinson, e la fedeltà al principio superbo di sempre: “Voglio essere, per tutti, soltanto me stessa”» (Lietta Tornabuoni, “La Stampa” 1/7/2003).