Varie, 1 marzo 2002
Tags : Lleyton Adelaide Hewitt
HEWITT Lleyton Adelaide (Australia) 24 febbraio 1981. Tennista. Ha vinto gli Us Open 2001 e Wimbledon 2002 • «Quando Pat Cash in finale inchiodò Ivan Lendl alle radici del centrale a forza di volées, e poi scalò gli stands per abbracciare il suo clan, nell’anno di grazia 1987 era un cucciolo di sei anni che strappava il permesso a papi per stare alzato di notte davanti alla tv e bersi con gli occhi il futuro
HEWITT Lleyton Adelaide (Australia) 24 febbraio 1981. Tennista. Ha vinto gli Us Open 2001 e Wimbledon 2002 • «Quando Pat Cash in finale inchiodò Ivan Lendl alle radici del centrale a forza di volées, e poi scalò gli stands per abbracciare il suo clan, nell’anno di grazia 1987 era un cucciolo di sei anni che strappava il permesso a papi per stare alzato di notte davanti alla tv e bersi con gli occhi il futuro. […] Non è il più giovane vincitore di Wimbledon - Becker ci riuscì a 17 anni - ma a 21 anni, dopo la vittoria agli Us Open 2001, con questa laurea in verde ha chiarito definitivamente che il n. 1 del mondo è proprio lui, piaccia o no. Non ha colpi da Tyson, il fenomeno, non ha un talento puro, ma per il momento conta su una tigna che ricorda quella di Connors - il proto-maleducato - e sulla solidità mentale, la disciplina tattica e il fiato di un Borg. […] Attorniato e cullato dal suo clan - la fidanzata Kim Clijsters, il coach Stoltenberg, un nugolo di australiani fra cui lo stesso Cash che oggi commenta per la Bbc - si è detto incredulo della vittoria, ma mentiva: oggi non ha un vero rivale, se togliamo la metà raziocinante di Safin, i resti di Sampras e Agassi. Ha il merito di aver riportato l’Australia dentro la storia di Wimbledon, dove aveva banchettato fra gli Anni 50 e 60 ma vinto appena due volte dal ”71» (Stefano Semeraro, ”La Stampa” 8/7/2002) • «Figlio di una insegnante di educazione fisica e di uno che giocava il football australiano, roba da spaccaossi. A 16 aveva già vinto un torneo, a 20 era n. 1 e agguantava il suo primo Slam a New York, a 21 è entrato nel Tempio. Ama i suoi simili: Michael Schumacher, Tiger Woods. Ma loro hanno qualcosa che lui non ha: il talento. Lui gioca da mediano, non ricama, morde. Ti fa sempre giocare la palla, ma te la fa giocare male. E appena ti distrai ti agita il pugno sotto il naso e ti scippa la partita. Ha insultato il pubblico, dato dello spastico a un giudice di sedia, offeso gli avversari. Che lo odiano, ma lo rispettano. Perché è il più bravo a giocare un tennis frenetico, dove l’arte conta poco e vince chi corre più forte, chi tira più forte, chi pensa più veloce e non smette mai di pensare. Ecco: pensare. Dicono che abbia la solidità di un Borg, ma attenzione, l’Orso smise a 26 anni, con i neuroni usurati, come è capitato anche a Jim Courier, un altro prodigio di grande volontà e poca arte finito presto in archivio» (’La Stampa”, 9/7/2002) • «Che fosse mirabile, credo di averlo scritto sin dalla sua prima – per me – recita. Il giorno in cui lo vidi uscire dalle qualificazioni dell’Australian Open 1997. A 15 anni e 11 mesi era il più giovane qualificato della storia, e si andò a vederlo tutti noi scribi, e l’archivio di questo giornale annota un altro dei miei pronostici sbagliati: ”Questo Hewitt lo ritroveremo tra i Primi Dieci”. Perché non avevo scritto Numero Uno, come mi era accaduto nel caso di Laver, di Mac, di Sampras? Ma perché lui non aveva un solo colpo irresistibile, non l’attacco a tutto campo di Laver, non la manina benedetta di Mac, non il serve and volley di Sampras. Aveva anche, lui, un servizio, al più, regolare, ed era goffo sulle volè. Quel che non avevo intuito, e che avrei ammirato negli anni successivi, erano le straordinarie qualità atletiche, e insieme sottili, di questo tipetto, non più alto di un metro e 80, e quindi sotto la media del giocatore tutto stupore e ferocia contemporaneo. Non avevo capito che il suo servizio era in evoluzione, e sarebbe divenuto, se non omicida, regolarissimo. Non avevo visto che la sua risposta al servizio era solo un filino meno esplosiva di quella di Agassi, ma forse più regolare. Infine, non l’avevo ammirato nei colpi in allungo, la sua miglior qualità, quella che gli consente di rimettere in gioco punti che appaiono perduti. Non sembri banale ricordare che, anche oggi, c’è gente che gioca spesso meglio del Numero Uno» (Gianni Clerici, ”la Repubblica” 18/11/2002) • «Nel tennis ci sono sempre stati i talenti, quelli puri, che spesso si battevano da soli. I fondocampisti (o terraioli, se giocavano bene solo a primavera), quasi sempre noiosi anche se fortissimi. I feticisti dell’ace, che dietro quel colpo non nascondono niente. I picchiatori, i pistoleri, più o meno divertenti. E poi ci sono sempre stati, oggi anche di più, quelli senza troppo talento, senza colpi vincenti, costretti ogni volta a giocare oltre le loro potenzialità. Lleyton Hewitt, idolo degli Australian Open più per anagrafe che per appeal, appartiene a questa categoria. Gianni Clerici ha più volte sottolineato come Hewitt sia diventato numero 1 al mondo quando la generazione dei vecchi (Sampras) stava lasciando, quella nuova (Federer) non era ancora uscita e quella intermedia (Safin) si batteva da sola. Hewitt non ha un gran talento, sa di non poter vincere se non è fisicamente oltre il proprio meglio. totalmente consapevole che perfino Gaudio o Coria possono permettersi passaggi a vuoto (sul rosso, possibilmente): lui, no. [...] Hewitt è sempre sull’orlo del precipizio, a guardarlo giocare non riesci mai a capire come abbia fatto a vincere US Open (2001) e Wimbledon (2002). Come sia stato numero uno [...] Andrea Gaudenzi [...] ha rivelato di averlo visto una volta quando aveva sedici anni, in un torneo juniores: ”Se qualcuno mi avesse detto che quel ragazzino australiano sarebbe diventato il numero uno, gli avrei detto che di tennis non capisce niente”. Non ha sbagliato pronostico Gaudenzi, è Hewitt che sta ”sbagliando” carriera. un fingitore, prima o poi scopriranno il bluff e allora gli accadrà come a Muster [...] Hewitt tradisce il suo bluff con un’ansia perenne, esplicitata da un corollario - che lo ha reso più famigerato che famoso - di pugnetti, ”c’mon” e ”fuck”. [...]» (Andrea Scanzi, ”il manifesto” 21/1/2005).