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 2002  marzo 01 Venerdì calendario

IGGY

IGGY POP (James Newell Osterberg) Muskegon (Stati Uniti) 21 aprile 1947. Cantante • «L’icona più selvaggia del punk rock americano. Il sound metallico, monolitico degli Stooges, la sua prima band, ha ispirato decine di gruppi trash metal, punk, grunge. Lo stesso dicasi per lo stile del personaggio, sempre estremo sempre all’avanguardia sulla scena come nella vita. Al punto che David Bowie, suo mentore e amico, dovette ammettere che nei suoi spettacoli, ogni trovata gli venisse in mente, Iggy l’aveva già realizzata prima di lui. Inutile negarlo, Iggy Pop è stato per tre generazioni il cattivo maestro dalla vita spericolata al cui confronto Vasco Rossi sembra quasi un seminarista. Un aspetto questo colto brillantemente anche da Trainspotting (il film di Danny Boyle ispirato all’omonimo racconto di Irvin Welsh). Il brano Lust for life cantato da Iggy fa da motivo conduttore alla progressiva dissoluzione e il senso di vuoto, il glamour autodistruttivo dei protagonisti. Non solo. Iggy è stato l’artista rock che ha saputo spingere il pedale della trasgressione verso il teatro della crudeltà. In scena, sempre a torso nudo, sembrava Rankxerox, l’eroe cibernetico tutto muscoli e circuiti elettrici disegnato da Tanino Liberatore per ”Frigidaire”. [...] Sull’argomento droga, del resto, Iggy non è mai stato reticente. ”Prima di salire sul palco di solito prendevo un paio di grammi di anfetamine, qualche pasticca di Lsd e fumavo quanta più marijuana possibile”, racconta nella sua autobiografia intitolata emblematicamente I need more (Datemene ancora). Ma adesso, basta. ”Sono stato fortunato - dice - a esser sopravvissuto a tutte quelle stronzate”. Nel frattempo Morrison, Hendrix e Kurt Cobain sono morti. Iggy è ancora tra noi. Il circo del rock pullula di volgari imitatori, vedi Marilyn Manson, che riscuotono successo mostrando il sedere, mimando masturbazioni con scene di nudo, buffonate sataniche e insulti al pubblico. Gesti che non emozionano più, non inquietano, non disturbano. Se non per il cattivo gusto. [...]» (Alberto Dentice, ”L’Espresso” 16/9/1999).