Varie, 1 marzo 2002
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Jackson Michael
• Gary (Stati Uniti) 29 agosto 1958, Los Angeles (Stati Uniti) 25 giugno 2009. Cantante • «L’ex Peter Pan del pop, che un tempo sembrava vivere esclusivamente di purissimo ossigeno» (Marinella Venegoni) • «Una favola che si trasforma in un incubo. così che potrebbe essere raccontata la carriera di Michael Jackson. Una storia di gloria e declino che ha pochi eguali nello showbusiness americano [...] Michael Jackson inizia la sua avventura nel mondo dello spettacolo come bambino prodigio, accanto ai suoi fratelli, Jackie, Tito, Jermaine, Marlon e Randy, i famosi Jackson 5 che dopo un lungo allenamento sotto la guida del padre Joe nella nativa Gary, Indiana, alla fine degli anni Sessanta diventano rapidamente dei divi. Dal 1969, data di pubblicazione del loro primo album, per la Motown, I want you back, segnato proprio dalla voce del giovanissimo Michael, nell’arco di dieci anni i fratelli Jackson pubblicano altri diciannove album, tra dischi ufficiali, antologie e album speciali, e arrivano addirittura a invadere la tv con un loro cartone animato. Ma la vera star è lui, il piccolo Michael dotato di una voce straordinaria, il bimbo dall’aria furba e carina che pian piano cresce, diventa ragazzo e inizia a pensare con la sua testa. Nel 1978, partecipa come attore alle riprese del film The Wiz, con Diana Ross, del quale incide anche la colonna sonora e nel 1979 fa il grande salto, lascia i fratelli e realizza il suo primo grande successo come solista, l’album Off The Wall. l’inizio di un progetto diverso e nuovo, che prevede, da parte di Jackson, il controllo totale del proprio ”prodotto”. lui a decidere tutto, tutto quello che riguarda i dischi, dalle copertine alle canzoni, tutto quello che riguarda i suoi show, dalle scenografie alle coreografie, fino al moonwalk, il tipico passo di danza all’indietro. La strategia paga, e nel 1982 Jackson conquista il mondo intero, vendendo [...] oltre sessanta milioni di copie del suo secondo disco, Thriller, che rapidamente diventa uno degli album più venduti della storia della musica leggera, un disco che racchiude tutti gli elementi giusti per convincere tanto il pubblico afroamericano, quanto i bianchi. Con Thriller Jackson apre, soprattutto, l’era della videomusica, realizzando alcuni celeberrimi clip che contribuiranno in maniera sostanziale allo sviluppo del genere, come Thriller (con la straordinaria regia di John Landis) e Billie Jean, diventati oggi dei veri e propri classici. Jackson diventa, assieme a Madonna, la star più popolare del mondo, in tutto il pianeta si scatena la Michaelmania, termine che volutamente accosta il fenomeno Jackson a quello che, circa venti anni prima, aveva avuto per protagonisti i Beatles. Dopo il grandissimo successo di Thriller, che varrà a Michael la conquista di sette Grammy Awards, bisognerà attendere fino al 1987 per vedere nuovamente l’artista in azione con un proprio album. Ma il suo ritorno coincide con una inquietante metamorfosi. Il successo oceanico ha trasformato il sorridente Michael in una star megalomane, egocentrica, capricciosa e piena di fobie, che si spinge fino al punto di ridisegnare completamente anche la sua faccia e il colore della pelle, così che, per dirla in termini teatrali, la maschera non si è più solo sovrapposta, ma alla fine si è impressa indelebilmente sul volto. Il ”nuovo” Michael Jackson non conosce il successo del suo predecessore; anche se sia Bad del 1987, che Dangerous, del 1991, vendono decine di milioni di copie nulla torna ad essere come prima. Il mito inizia a cedere, il trionfo del rap lo mette ai margini della musica nera, l’avanzata delle boy band lo spinge lontano dalle classifiche dei ragazzi bianchi e Jackson non riesce a rispondere alla crisi in nessun modo. Le cose peggiorano nel 1993, quando arrivano le prime accuse di molestie ai minori. Jackson allora prova a presentarsi in maniera diversa, nel 1994 si sposa brevemente con la figlia di Elvis, Lisa Marie Presley, nel 1996 arriva la seconda moglie, Debbie Rowe, che diventerà la madre dei suoi due figli. Ma il successo planetario è finito, gli album si susseguono senza eco, le raccolte restano invendute, si moltiplicano le voci di una bancarotta economica, alla fine degli anni Novanta la Michaelmania di un tempo è solo un ricordo. Lontano dal successo e dalle classifiche, negli ultimi anni sono solo le cronache giudiziarie a interessarsi dell’ex bambino prodigio, del giovane Michael, che per dieci anni è stato l’indiscusso re del pop» (Ernesto Assante, ”la Repubblica” 14/6/2005) • «Quando cantava Thriller, circondato da un manipolo di morti viventi, era il divo pop più famoso e amato. Quando ha lanciato We are the world era considerato la star più potente e generosa della musica. Quando si è messo a raccontare ”sono cattivo, lo sai, sono cattivo” con Bad molte delle sue stranezze erano già di dominio pubblico. Le stranezze vere e quelle infiocchettate dagli specialisti di gossip e di panzane. Michael che per non invecchiare si chiude in un letto iperbarico, Michael che si rifà la faccia per assomigliare al suo idolo Diana Ross, Michael che si schiarisce la pelle per diventare bianco che più bianco non si può, Michael che vive in una reggia da Re Sole con elefanti, lama, giraffe, giostre, ruota panoramica, pista da go kart. Bizzarie da artista strambo. Ma vendeva dischi come nessun altro prima (arriva a 300 milioni più o meno il suo imbattibile record, imbattibile perchè i dischi non si vendono più come prima), i suoi concerti spopolavano, nelle sue casse entravano dollari a palate. Insomma, tutto quello che faceva o toccava il Peter Pan del pop diventava oro. Poi sono cominciati ad arrivare i matrimoni e i figli, Prince Michael Junior, Paris Catherine e Michael Prince II: uno dietro l’altro come i conigli, concepiti in qualche modo. La fantasia, in questo caso, è libera di sfrenarsi: è certo, però, che tutti curiosamente hanno tratti somatici tipici della razza bianca (e per quanto Michael si sia schiarito, colpa della vitiligine o di una follia esistenziale è impossibile che abbia modificato i propri cromosomi). E, dopo i matrimoni e i figli, sono arrivati a ruota, come un castello di carte che crolla improvvisamente, le accuse infamanti, i primi sospetti di rapporti particolari con i suoi amici bambini (i tanto amati bambini per cui il munifico Jackson non badava a spese), le vendite di dischi che crollano [...], i rapporti con la casa discografica che si fanno difficili, i ricatti, i milioni di dollari che vanno in fumo per vanificare le denunce, perfino Al Bano che ricorre ai magistrati lanciando l’accusa di plagio (finita in una bolla di sapone, per il magistrato sia Will you be there che I cigni di Balaklava , sono state ispirate da una medesima canzone popolare indiana). Una voragine si apre sotto i piedi di un artista straordinario ma inafferrabile. E la sua storia comincia a essere letta in modo diverso, assume toni drammatici, da fantasma del palcoscenico. Ecco, la Michael Story potrebbe benissimo essere lo spunto per uno di quegli immaginifici e terrificanti musical di Andrew Lloyd Webber fatti di diavolerie e giochi meccanici: sarebbe il racconto di un ragazzo di grande talento, dall’infanzia difficile (il padre sadico, gli obblighi di carriera che arrivano prima dell’adolescenza), dalle grandi ambizioni, dalla personalità inafferabile e sfuggente. Una sorta di Dorian Gray, il protagonista del celebre racconto di Oscar Wilde, la cui immagine pubblica contrasta con il ritratto privato e quel viso, sottoposto a troppi continui interventi chirurgici (i primi furono determinati da incidenti di lavoro), che si va deformando (come dimostrano i terribili primi piani che ogni tanto le telecamere riescono a rubare). Una storia incredibile di un uomo che riesce con il suo talento a mettere insieme un impero smisurato, a sfamare il suo appetito di gloria comprando i diritti delle canzoni del gruppo più famoso del mondo (i Beatles) e sposando (sappiamo con quale esito) la figlia di quello che è tuttora considerato il re del rock, Elvis Presley. Aveva tutto Michael Jackson. Forse non bastava per essere felice» (Marco Molendini, ”Il Messaggero” 14/6/2005) • «Il re di mille orgogliose canzoni cantate in tutto il mondo, ma ormai da un decennio ridimensionate a sfondo opaco di infamanti accuse. Lui che 20 anni fa ha anticipato tutte le mode della musica contemporanea, lui che fin da ragazzo è stato un genio e che è diventato precocemente milionario, non è mai riuscito a liberarsi dell’ossessione di un’infanzia - la propria - che va continuamente cercando dentro i volti di tanti piccoli fans. Suo padre Joseph Jackson, un vero padre-padrone, ha ammesso in un’intervista di averlo spesso preso a cinghiate, quando, povero piccino, aveva appena tre anni di vita e avrebbe preferito stare in braccio alla mamma invece che esser costretto a cantare e ballare con i fratelli maggiori. La famiglia Jackson viveva in una povera casa di Gary, nell’Indiana del Sud, in una pianura piatta e grigia popolata solo di fumi e raffinerie. Era una famiglia numerosa, con sette figli, cinque maschi e le femmine Janet e La Toya, ma anche un po’ particolare, segnata sì dalla miseria, ma anche rallegrata dalla musica: la madre Katherine occasionalmente cantava, papà suonava la chitarra in una piccola band di rhythm’n’blues e i figli più grandi avevano cominciato per caso ad accompagnarlo, suonando e cantando. Padre Joseph li seguiva con attenzione. E intuendo da musicista le loro potenzialità, non ci aveva messo molto a ipotizzare una strada per liberarsi finalmente dell’indigenza e di quella squallida vita senza futuro nel grigio dell’Indiana. Così, aveva messo sotto i maschietti: Jackie, il primogenito nato nel ’51, e poi Tito, Marlon, Jermaine e infine Michaelino, che aveva visto la luce il 29 agosto del 1958 e che fin dai primi ’60, quando ancora non capiva cosa stesse facendo e tutto gli sembrava un gioco, aveva rivelato ottime doti vocali. La data ufficiale di nascita della formazione è il 1964. Michael ha sei anni e già balla che è una meraviglia. Il debutto nazionale, nel ’69, avviene proprio grazie al talento del piccolo, che letteralmente trascina i fratelli verso orizzonti di gloria, dai piccoli club locali al contratto con la leggendaria Motown di Detroit, che produce I Want You Back, due milioni di copie subito vendute, primo di un’incredibile serie di successi. I ”Jackson Five” sono il gruppo più famoso che ci sia stato nella musica nera di quell’epoca; si muovono dalla tradizione dei Temptations, ma evolvono verso suoni più moderni che anticipano la moda del soul-disco-pop: i media vanno pazzi per Michael, il bambino prodigio la cui prima apparizione televisiva avviene a 11 anni. Al seguito della Motown, che si trasferiva a Los Angeles, traslocarono anche i maschi della famiglia, che trovarono alloggio presso la cantante Diana Ross e il patron dell’etichetta Berry Gordy. I suoi dissidi con il padre-padrone inducono i Jacksons a firmare un nuovo contratto, ma la stella del gruppo tramonta; Michael, che già sapeva cantare e ballare benissimo, ha intanto scoperto doti di scrittura. E dimostrando anche un bel talentaccio per gli affari, comincia la propria avventura solista nel 1979, scegliendosi come produttore il mago Quincy Jones: Off the Wall» sale al numero tre delle classifiche di vendita e prepara la strada ad un successo che diverrà ineguagliabile con Thriller dell’82, che ha venduto almeno 50 milioni di copie. Anticipatore della ventata dance, Thriller apre anche l’epoca dei videoclip, diretto da John Landis, e diventa il biglietto d’ingresso dei neri nella emergente Mtv. Michael si trova all’improvviso in un irrangiungibile iperuranio dove si mescolano star system e controllo maniacale della produzione, isolamento, studi scrupolosi di danza, ma anche i primi sogni dell’infanzia perduta, destinati a ossessionarlo; mette in piedi un’enorme struttura di beneficienza a favore dei bambini e la domina, proponendosi come personaggio asessuato, senza età e senza un definito colore della pelle; il suo volto è ormai completamente diverso da quello delle foto ricordo con i ”Jackson Five”, i tratti perdono ogni connotato della sua razza. Di quegli anni è l’acquisto di un ranch in California ribattezzato ”Neverland” e dell’85 We Are The World, la canzone benefica dell’associazione ”Usa for Africa” che scrive con Lionel Richie. Acclamato in tutto il mondo, sempre più autorecluso, Michael Jackson arriva con nuovi successi e carico di gloria al 1993, quando comincia la sua inarrestabile crisi in seguito alla denuncia del padre di un ragazzino a lungo suo ospite. L’anno successivo, sposerà Lisa Marie Presley, la figlia di Elvis: un matrimonio che dura poco e non serve a dissipare l’onda di diffidenza nei suoi riguardi, né a frenare la sua crisi come artista» (Marinella Venegoni, ”La Stampa” 20/11/2003) • «Nel tempo passato da quando fece la sua prima apparizione in tv, con i suoi fratelli ad 11 anni, si è evoluto da prodigio della musica e danza soul nell’autoproclamato ma largamente riconosciuto ”Re del Pop”» (The Rolling Stone Encyclopedya of Rock&Roll, Rolling Stone press 2001) • «In un solo giorno è in grado di spendere 6 milioni di euro in ”volgari copie” di antichità egiziane. In giardino ha un luna park, uno zoo, un ”albero della generosità” sul quale si arrampica quando si sente giù di morale, centinaia di statue di Peter Pan. Da quando era bambino odia il naso con il quale è nato perché secondo il padre era la prova della sua illegittimità. […] Raramente concede interviste. A Neverland, il ranch che è il suo rifugio dal mondo, non ha mai ammesso nessun estraneo. Del rapporto coi tre figli e le loro madri non ha mai parlato. Soltanto con Bashir, una star del firmamento giornalistico britannico, si è aperto […] Il personaggio che ne emerge è un uomo fragile oltre i limiti dell’immaginazione, che da una parte non è mai cresciuto e dall’altra è un despota al quale nessuno osa dire la verità. ”Sa essere incantevole e allo stesso tempo sconcertante”, sottolinea Bashir […] Della sua infanzia da piccolo prodigio, delle violenti cinghiate prese dal padre Joseph parla liberamente, ma alcuni argomenti sono off-limits. Come la chirurgia plastica, il sesso, l’impossibilità di avere rapporti con donne adulte, l’abuso di bambini. ”Si difende ricordando di non essere mai stato trovato colpevole di violenze sessuali contro minori. Il fatto è che se la presunta vittima ritira le accuse dopo aver ricevuto pagamenti miliardari, come nel caso di Jordan Chandler, nel ”94, la gente non può che pensare il peggio” commenta Bashir» (Paola De Carolis, ”Corriere della Sera” 3/2/2003) • «Ama dividere il suo letto con i ragazzini anche se, ha assicurato, ”non ho mai fatto sesso con loro”. […] Ha raccontato di aver dormito anche con il piccolo attore Macaulay Culkin e con un dodicenne malato di cancro, ma ha ripetuto che i suoi sentimenti sono ”innocenti e non hanno nulla a che fare con il sesso”. E ha poi aggiunto: ”Perché non dovresti dividere il tuo letto? la cosa più dolce da fare: vedo Dio nel volto dei bambini. La loro innocenza è la mia fonte di ispirazione”. […] ”Può essere affascinante ma è anche un individuo inquietante, con un potere economico che gli consente di fare tutto ciò che vuole” ha commentato Martin Bashir […] Il padre, ai tempi dei Jackson Five, li faceva provare per ore usando anche la cinta se si rifiutavano, finché non cadevano a terra sfiniti per la stanchezza» (Carlo Moretti, ”la Repubblica” 5/2/2003) • «Che cosa pensare di una persona accusata dieci anni fa di abuso sessuale nei confronti di minori, la quale dovette sborsare 18,5 milioni di dollari per evitare che il caso finisse in tribunale? Si può pensare che forse era innocente e che preferì pagare quella cifra pazzesca piuttosto che affrontare un processo tanto scandaloso. Anche se risulta sconvolgente il fatto che si possa evitare il corso della giustizia a suon di bigliettoni. Che cosa pensare se quella stessa persona, intervistata in tv davanti a 15 milioni di spettatori, afferma di dormire con tanti bambini nel suo letto? Si può pensare che è vero, dormire con il proprio bambino è un piacere cui pochi genitori riescono a sottrarsi. Ma non si può non constatare che detta da Michael Jackson quella frase suona ambigua quanto basta per far parlare mezzo mondo. E lui, certo, con la sua aria postumana, lo sa bene. Del resto, come non potrebbe saperlo uno che dell’esaltazione feticistica di sé ha fatto una religione da proporre ai suoi fan fino a sfiorare l’autolesionismo? […] Un cantante che assume l’ambiguità fisico-sessuale e l’instabilità psichica, il neutro un po’ mostruoso come requisito di successo. L’ambiguità in sé non è certo un male, e chi vuole può farne una bandiera del proprio comportamento senza offendere nessuno. Il guaio è che in Jackson l’edificazione di questa immagine di trasformismo psicofisico e di un sentire artificiale non esita a coinvolgere con puntualità l’infanzia. Anzi, proprio evocando l’infanzia ha raggiunto il culmine dello scandalo e dunque del successo. Con la stessa apparente idiota innocenza, può far penzolare dalla finestra di un hotel il suo bambino di sei mesi oppure può dichiarare il suo impegno umanitario a favore dell’infanzia affamata. Un giorno può comperare il silenzio di due genitori che lo accusano di aver molestato il proprio figlio e il giorno dopo può dichiarare di andare a letto con tanti bambini per un puro ”atto d’amore”. Un giorno può urlare ai quattro venti che accudisce un ragazzino malato di cancro e il giorno dopo può imporre ai figli di uscire con il viso coperto per evitare i paparazzi. Come sfuggire al sospetto che si tratti solo di un gioco duro unicamente votato allo spettacolo? Il fatto che in questo gioco vengano coinvolti bambini, figli e no, è l’estrema provocazione. Inaccettabile» (Paolo Di Stefano, ”Corriere della Sera” 1/3/2003) • « a dir poco bizzarra l’idea che uno possa trasformarsi così radicalmente fuori – prendersi ad accettate in faccia, farsi impacchi di acido muriatico, soffocare i capelli nel midollo di placenta, sfondare le barriere dell’ignoto tanto dall’estetista che dal chirurgo plastico – e dentro restare un essere umano. La verità è che Michael Jackson è l’esperimento più avanzato di disincarnazione. Quella marionetta paranoide sta volando in un altro posto e ha già messo molti fusi tra sé e il territorio dell’umano. la prova che The fly non era un film di fantascienza, che smaterializzarsi e rimaterializzarsi in forme non antropoidi è possibile. Che cosa sia adesso non è facile dirlo. Potrebbe essere qualsiasi cosa. Uno spremiagrumi, uno yorkshire, una trebbiatrice, qualsiasi cosa. […] Chi avrebbe mai tollerato da un uomo diciamo ”non trattato” quel vezzo – un po’ coreografia, un po’ tic – di aggiustarsi il cavallo, a piena mano, ballando? Sarebbe parso tremendamente volgare se a farlo fosse stato uno come Bruce Springsteen, per esempio. Invece la mossetta copulatoria di Jackson non ha mai sconvolto nessuno. Il perché è fin troppo evidente: a nessuno saltava in mente che quell’entità, già da subito molto avanzata sulla strada del nostro futuro, potesse produrre allusioni sessuali. Ora, d’un tratto, pare possibile. Ma come? Guardiamo insieme la sua evoluzione. Rivediamo attentamente il video di Thriller: il Jackson licantropo dell’ 82 non era molto più simile a un uomo di quanto non sia la mummia sbendata comparsa nelle interviste più recenti? E poi, se ancora non vi bastasse, considerate il terrore per le malattie che aveva quando era ancora a metà del guado: già mutante, ma non del tutto un ex uomo, già personaggio di fantasia da visitare insieme a Topolino e gli altri di Disneyland, ma non del tutto disincarnato dalle fobie reali. Considerate tutta la mitologia delle notti in camera iperbarica, delle abluzioni deionizzate, eccetera. Avrebbe potuto, uno in quello stadio, desiderare di dormire con i bambini, ovvero con i più grandi portatori di germi patogeni? Vorrà dire pur qualcosa se non è più terrorizzato da bronchiti, varicelle, influenze intestinali. Mi sembra ovvio che, anche rispetto al presunto stadio Vecchio Porcone Vestito Da Peter Pan, lui sia già molto, molto più in là» (Mauro Covacich ”Corriere della Sera” 1/3/2003).