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 2002  marzo 01 Venerdì calendario

Jaeggy Fleur

• Zurigo (Svizzera) 31 luglio 1940. Scrittrice. «Scrittrice nota, stimata dalla critica, con un invidiabile respiro internazionale. I suoi romanzi, cinque in tutto, compresa una raccolta di racconti, sono stati tradotti in moltissime lingue» (Antonio Gnoli). «Raccontare Fleur Jaeggy è una faccenda piuttosto complicata, non fosse altro che per le difficoltà di tradurre in parole scritte, afone, il suono - cupo, o struggente, o appassionato, o solo assente - dei suoi lunghi, ripetuti silenzi, che muti non sono. Pause interminabili, mai inerti [...] donna con viso da bambina cresciuta, lieve accento romano, erre marcatamente arrotata [...] oltre metà della vita accanto a Roberto Calasso [...] nel ’68 [...] Adelphi pubblica Il dito in bocca, debutto della scrittrice nata a Zurigo ma italiana a tutti gli effetti [...] “Sono venuta via da bambina sono stata da parenti... assai poco con i miei genitori e i vari collegi e poi la casa romana di mia madre anche se stavo in collegio quella era casa mia... da sola prima del ’68 ho vissuto qualche tempo a Parigi come tutti”. [...] libri, spesso tradotti [...] Il più noto, e premiato, I beati anni del castigo, del 1989, i collegi, la giovinezza. Iosif Brodskij: “Intinta nell’inchiostro azzurro dell’adolescenza, la penna di Fleur Jaeggy è il bulino di un incisore che disegna le radici, i ramoscelli e i rami dell’albero della follia che cresce nello splendido isolamento... Durata della lettura: circa quattro ore. Durata del ricordo, come per l’autrice, il resto della vita”. Una scrittura che non di rado i recensori associano ad aggettivi tipo algida, fredda, glaciale: “Linguaggio... tentare di dire le cose poi il ritmo qualcosa che abbia un senso che funzioni... [...] Mentalmente scrivo tutti i pomeriggi ma non lo faccio e spesso invece scrivo davvero e passano le ore e io non me ne accorgo guardo così poco l’orologio [...]” Suo padre si chiamava Paul, sua madre Pia ed era di una famiglia italiana trasferita in Svizzera. “Forse quando c’erano gli austriaci a Parma non mi sono mai interessata della mia famiglia... [...] i miei genitori mi sembrano figure così astratte [...]”» (Stefano Jesuruum, “Sette” n. 47/2001). «Lo stile di Fleur Jaeggy è fatto di paratassi. Nasce dalla semplicità e da uno sforzo quasi maniacale di riduzione. Nessuna ricerca di originalità. Emozioni tenute sempre sotto controllo, mai sottolinearle. Un certo disprezzo per ogni forma di scandalo. Nessuna tentazione intellettuale o mentale. L’uso della mente è rigorosamente escluso, ed è la cosa, nella qualità di questo stile, che stupisce di più, perché i pensieri fanno ressa intorno alle parole dandosi convegno come tanti uccelli che scendano dal ramo. Ma si posano al suolo per il tempo di un istante, il tempo di fuggirne. Beccano qualcosa e non li vedi più, sono già in volo, attirati da qualche altro richiamo. Impenetrabile, incisivo, lo stile della semplicità sembra sdegnare e perfino disprezzare il pensiero, quanto più il pensiero cerca di sopraffare la semplicità e di violarla. I beati anni del castigo, per chi non li abbia letti, raccontano una storia nata da ricordi di collegio, non si sa quanto autobiografica e quanto inventata. Poco importa, il segreto di ogni vero scrittore è di fare dell’autobiografia senza farla. Ma di lì a poco, Fleur Jaeggy cambiò punto di vista. Non cambiò voce, o stile, ma la distanza. Sostituì alla prima la terza persona, recise ogni complicità con se stessa e si assentò dall´emozione di raccontare. Ne nacque un libro di soave ferocia, La paura del cielo: sette storie ambientate nella Svizzera che crediamo di conoscere, fatta di giardini fioriti, villette con tendine, piccoli e grandi commercianti, famiglie silenziose, prati impeccabilmente curati. Ogni storia un delitto. Dietro le tendine, il demonio» (“la Repubblica”, 3/2/2002). «Ho avuto un’educazione molto cattolica, con degli obblighi precisi: la messa al mattino presto, assistere alla comunione degli altri, il silenzio spirituale. Tutto questo fa parte di qualcosa che è molto remoto» ( “la Repubblica” 24/6/2001).