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 2002  marzo 04 Lunedì calendario

JUAN CARLOS (de Borbon y Borbon). Nato a Roma il 5 gennaio 1930. Re di Spagna. «Nel vagone-letto dove l’hanno sistemato, mentre il Lusitania Express viaggia nel buio da Lisbona a Madrid, il piccolo principe può finalmente piangere

JUAN CARLOS (de Borbon y Borbon). Nato a Roma il 5 gennaio 1930. Re di Spagna. «Nel vagone-letto dove l’hanno sistemato, mentre il Lusitania Express viaggia nel buio da Lisbona a Madrid, il piccolo principe può finalmente piangere. Sin allora non ha potuto farlo. Mentre usciva da Villa Giralda, la casa sulla costa di Estoril dove ha lasciato i genitori e i fratelli, le lagrime gli erano già spuntate negli occhi. Ma suo padre è subito intervenuto con voce brusca: ”Ricordati che un Borbone piange soltanto nel suo letto”. Il bambino è riuscito a trattenersi. Ha varcato la soglia della villa senza voltare il capo, e una grande automobile nera lo ha condotto alla stazione. Ma adesso che nella cuccetta del Lusitania Express è rimasto solo (i suoi accompagnatori, il visconte di Rocamora e il duca di Sotomayor, sono nello scompartimento a fianco), può dare sfogo alla sua tristezza. Il principe si chiama Juan Carlos, ha dieci anni. Una prima, bruciante solitudine l’aveva conosciuta due anni prima, quando era entrato in un collegio religioso a Friburgo. Ma stavolta è peggio. A Friburgo, dov’era giunto accompagnato da suo padre, l’avevano accolto altri bambini e preti sorridenti. Mentre adesso, nella stazioncina prima di Madrid dove poco dopo l’alba il treno viene fatto fermare eccezionalmente, trova un gruppo di anziani signori vestiti di scuro, sui volti un’espressione grave. Sono duchi o marchesi o conti di fede monarchica, e gli s’avvicinano chiamandolo Vostra Altezza: gli chiedono se il viaggio è andato bene, e se sta bene suo padre, che essi chiamano ”el Rey”, il re. ”El rey està bien”, risponde compunto il piccolo principe. Dopo di che la comitiva si trasferisce non lontano da lì, in un convento carmelitano, per assistere ad una messa. Nella cappella del convento fa un gran freddo, e il bambino, che non ha ancora fatto colazione, trema per tutto il tempo della messa. [...] quel rigido mattino di novembre del 1948, quando gli aristocratici che gli sono andati incontro hanno chiesto notizie di suo padre ”el Rey”. In realtà il padre del bambino non è affatto re. Don Juan di Borbone è soltanto il pretendente al trono di Spagna, una Spagna che nel 1948 il generalissimo Francisco Franco tiene da quasi dieci anni, da quando ha vinto la guerra civile, strettamente in pugno. vero però che se sul suolo spagnolo il generalissimo ha ormai domato con la forza (e migliaia di fucilazioni) ogni opposizione o resistenza, sulla scena internazionale il regime franchista è in gravi difficoltà. Qualcuno, nelle cancellerie di Londra, Parigi e Washington, sta addirittura pensando a come farlo cadere. Le nazioni democratiche uscite vincitrici dalla Seconda guerra mondiale non hanno infatti intenzione, per il momento, di perdonare a Francisco Franco i suoi rapporti col nazifascismo, né il sistema duramente autoritario, parafascista, che ha instaurato in Spagna con l’appoggio indecente della Chiesa. Esse non hanno perciò relazioni diplomatiche con Madrid. Franco è totalmente isolato, e il paese è allo stremo. A tre anni dalla fine della guerra civile la situazione economica risulta disastrosa, e senza aiuti internazionali rischia di farsi drammatica. principalmente per questo che Franco ha cominciato a pensare ad una restaurazione della monarchia. Il trono di Spagna è vacante dal 1931, da quando Alfonso XIII - padre di don Juan e nonno del piccolo principe - ha abdicato in favore dei suoi successori trasferendosi a Roma. E quel che è avvenuto in seguito, è noto. L’instaurazione (e l’instabilità) della Seconda repubblica, la sollevazione dei generali golpisti e tre anni sanguinosi di guerra civile. Ma se Franco ha trionfato, la Spagna è adesso, dopo la disfatta del nazifascismo, un rottame dell’Europa sognata da Hitler e Mussolini. Uomo di leggendaria scaltrezza, il Caudillo si mette quindi alla ricerca d’una via d’uscita dall’isolamento. E presto intuisce che ventilare una restaurazione della monarchia, suggerendo così l’idea d’una transitorietà del franchismo, potrebbe servire alla sopravvivenza del regime. Nel ’47 promulga perciò una legge costituzionale che fa della Spagna una monarchia con lui, Franco, reggente a vita, e subito dopo avvia i contatti col pretendente don Juan. Come altri ex re e pretendenti in esilio, questi abita ad Estoril, poco fuori Lisbona: il primo tramite cui Franco ricorre è quindi suo fratello Nicolàs, ambasciatore in Portogallo. Una cosa è però certa sin dall’inizio: Franco detesta don Juan. Il pretendente è troppo maturo, volitivo, politicante, perché il generalissimo (il cui istinto più forte e profondo è la diffidenza) possa volerlo sul trono. Così, dopo un lungo scambio di lettere e un intenso va e vieni di mediatori, Franco mette sul tavolo la proposta d’educare in Spagna il principe Juan Carlos. Impegni circa la data della restaurazione, non ne prende: né dice chi sarà, se il padre o il figlio Juan Carlos, il re di Spagna. Anzi, per anni terrà contatti con gli altri pretendenti al trono (col fratello sordomuto di don Juan, don Jaime, e con il ramo Carlista dei Borbone) così da conservarsi intero lo spazio di manovra. Per ora, quel che gli serve è soltanto mostrare all’esterno che un giorno, forse, la Spagna sarà di nuovo una monarchia. Il piccolo principe che giunge a dieci anni nella patria dei suoi avi, diventa così la carta più importante nella partita apertasi tra la Casa Borbone e il generalissimo. Sulla sua testa pesano da subito, e peseranno per altri ventun anni (sino a quando nel ’69 Franco non lo indicherà ufficialmente come suo successore), gli intrighi, le astuzie, i voltafaccia e la reciproca avversione dei due giocatori della partita: suo padre e il Caudillo. L’infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza di Juan Carlos trascorrono quindi marcati dalla nostalgia della famiglia e dall’incertezza del futuro. Prima in una villa nei dintorni di Madrid, Las Jarillas, dove lo mettono a studiare insieme a tre rampolli dell’aristocrazia e tre dell’alta borghesia, con precettori di stretta osservanza franchista. Poi, dai dodici ai quindici anni, a San Sebastiàn, nell’ex residenza estiva di suo nonno Alfonso XIII. Quindi di nuovo a Madrid dove viene preparato per l’ingresso nelle accademie militari, e infine all’Accademia dell’Esercito a Saragozza. Che tipo di formazione viene all’adolescente Juan Carlos dagli studi che gli impartiscono i precettori scelti dal generalissimo? Quale cultura, quale visione politica e sociale ricava dai militari, dagli anziani aristocratici, dai preti (ce n’è uno a Las Jarillas, il padre Ignacio de Zulueta, un franchista fanatico, le cui lezioni di etica e religione angustiano in modo particolare il piccolo principe) che gli sono stati messi attorno? Le voci che circolano a Madrid verso la fine dei Cinquanta non sono affatto lusinghiere. Juan Carlos viene descritto come un giovanotto con grandi doti sportive ma non molto intelligente, che matura a fatica, e comunque totalmente sottomesso all’influenza di Franco e dei suoi consiglieri. Così, quando si presenta la prima volta all’Università, la Gioventù Falangista - che è repubblicana - inalbera cartelli con su scritto ”No queremos principes imbeciles” e ”Abajo los principes tontos”. Il giudizio non corrisponde al vero, come si vedrà bene in seguito, ma al momento è il più diffuso. [...] l’unico ad essere convinto che si trattasse d’un giovane intelligente e di carattere forte, era Francisco Franco: uno che si sbagliava raramente nel giudicare gli uomini. Il Caudillo s’è affezionato al giovane Juan Carlos. Negli anni Sessanta comincia a vederlo frequentemente, lo studia, lo ammaestra. E infine (anche per i consigli dei tecnocrati dell’Opus Dei che stavano intanto ammodernando l’economia spagnola) si decide a delineare la successione. Nel ’69, con una nuova legge, stabilisce infatti che alla sua morte Juan Carlos salirà al trono. Se leggiamo oggi il discorso d’accettazione che il principe pronunciò davanti alle Cortes, emerge clamoroso il contrasto con tutto quel che Juan Carlos è stato in seguito: un democratico convinto, il re che ha riconciliato i vinti e i vincitori della guerra civile, il paziente ma implacabile demolitore del vecchio regime. Il discorso alle Cortes fu infatti di tono e contenuti strettamente franchisti. I deputati applaudirono entusiasti, la tesi che il successore fosse poco più d’una marionetta manovrata dal Caudillo (e alla scomparsa di questi manovrabile dal ”bunker”, come veniva chiamato il nucleo duro del regime) si diffuse in Spagna e all’estero. Ma poi, quando trent’anni fa Juan Carlos divenne re, il discorso del ’69 si rivelò per quel che era: una penosa ma inevitabile finzione. Beninteso, la svolta verso una politica che presto non avrebbe avuto più nulla di franchista dovè essere cauta perché il ”bunker” faceva buona guardia. Ma dalle prime elezioni democratiche del ’77 in poi, il re di Spagna fece capire di che pasta è fatto. Si trattava di smantellare i residui pilastri del regime: il Movimiento - la struttura politica del franchismo - e l’esercito. Il Movimiento era ormai decrepito, cadente, e metterlo fuori gioco non fu difficilissimo. Mentre l’esercito era, nella Spagna del 1975, il potere stesso. E all’interno dell’esercito l’ala conservatrice, per non dire reazionaria, restava la più forte. In quei primi anni del regno, la Spagna era dunque ancora in bilico tra passato e futuro. Mentre il sovrano dialogava con tutti i partiti politici, il comunista compreso, e si varavano le autonomie regionali dopo i quasi quarant’anni del rigido centralismo franchista, a Madrid si rincorrevano le voci d’un prossimo colpo di Stato ad opera degli alti gradi militari. Sinché nel febbraio dell’81 il putsch non venne effettivamente tentato, con l’irruzione d’un reparto della Guardia Civil nel Parlamento e vasti movimenti di truppe in direzione di Madrid. Fu la giornata cruciale nel [...] lungo regno di Juan Carlos de Bòrbon y Borbòn. Un giro di boa che relegò tra le ombre del passato quel che ancora restava del regime franchista. Il sovrano sconfessò infatti i generali golpisti, rassicurò il paese, e il putsch fallì. Da allora, con una rapidità imprevedibile e mettendo in mostra energie e intelligenza politica stupefacenti, la Spagna imboccò la strada che l’ha portata ad essere uno dei paesi più vivi, moderni e meglio governati dell’Occidente» (Sandro Viola, ”la Repubblica” 6/11/2005). «Possiede una simpatia e una affabilità che colpiscono chiunque lo incontri. Ha, in sommo grado, il don de gentes, il dono di saper trattare in modo garbato con tutte le persone. Tale qualità gli verrebbe dalla mancanza di affetto sofferta nella sua infanzia che, invece di farne un individuo introverso, lo ha reso aperto alle relazioni umane. Il desiderio di essere amato provocherebbe affabilità. [...] Le sofferenze e la dura lotta per recuperare una corona perduta dai Borbone prima della sua nascita. E il lunghissimo scontro tra Franco e don Juan, il padre legittimo aspirante al trono, con il bambino, adolescente e adulto Juan Carlos al centro della disputa. Il Generalissimo, che nutriva verso il giovane Borbone affidato alla sua tutela un affetto paterno, affetto ricambiato, voleva l’instaurazione di una nuova monarchia, continuatrice del franchismo, mentre don Juan era per la restaurazione della vecchia monarchia. Voleva regnare, ma l’onnipotente Franco aveva scelto non il padre ma il figlio come erede e monarca. Un dramma shakespeariano. [...] Una volta designato da Franco come suo successore ”a titolo di re”, è stato capace di coniugare gli obiettivi, apparentemente incompatibili, di essere fedele ai principi del ”movimiento” franchista, per il rispetto dei quali aveva giurato solennemente, con l’instaurazione di una monarchia democratica costituzionale [...] Molto prudente, abile, saggio, intuitivo. Non molto colto ma dotato di buon senso e naturale intelligenza. Un uomo capace di sopravvivere alla camarilla che attorniava il vecchio dittatore e che non lo vedeva di buon occhio, perché sospettato di simpatizzare per la democrazia. E di sopravvivere ai difficili anni della Transizione, quando volavano i coltelli, e ai golpisti del febbraio 1981, quando con il suo intervento televisivo salvò la democrazia diventando il re di tutti gli spagnoli. Da allora ha potuto essere come la regina d’Inghilterra, un capo di Stato cerimoniale che lascia ai politici la politica e cerca di vivere al meglio la propria vita e la propria professione. [...] Un episodio tragico ha marcato la sua vita privata: la morte accidentale di Alfonso, il fratello minore. Nel marzo del 1956 Alfonsito, un quattordicenne simpatico e cocco dei genitori, viene trovato morto nella stanza dei giochi della villa di Estoril in Portogallo, dove don Juan risiedeva con la famiglia. Una pallottola lo aveva colpito in pieno volto. Il comunicato ufficiale dell’ambasciata spagnola parlò di un colpo partito da una pistola mentre Alfonsito la stava pulendo. Era con lui il fratello maggiore, allora diciottenne. Immediatamente si diffusero voci che la pistola era in mano a Juan Carlos quando partì il colpo. Passato del tempo, la madre disse che Juan Carlos, per gioco, aveva puntato la pistola e premuto il grilletto. Era sicuro che fosse scarica. Preston sostiene che lo stesso sovrano avrebbe confermato a un amico portoghese di avere sparato per scherzo, convinto che il revolver non fosse carico. La pallottola rimbalzò contro una parete della stanza e colpì in faccia il povero Alfonsito» (Mino Vignolo, ”Corriere della Sera” 26/3/2003). Vedi anche: Sara Gandolfi, ”Sette” n. 1-2/2000;