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 2002  marzo 04 Lunedì calendario

KAMMERLANDER Hans

KAMMERLANDER Hans. Nato a Acereto (Bolzano) il 6 dicembre 1956. Alpinista. «Maggio 1991, una data che spezza in due la sua vita. Con gli amici d’infanzia, gli alpinisti sudtirolesi con i quali è cresciuto, punta al Manaslu, 8.163 metri. Troppa neve, brutto tempo, si ritrovano solo in tre a tentare la cima: Kammerlander, Grossrubatscher e Mutschlechner. Ma non ci arriveranno. Grossrubatscher torna indietro da solo, cade e muore spezzandosi il collo, poi è la volta di Mutschlechner. Non proverà più il Manaslu, Kammerlander. Dopo il K2, oggi sarebbe l’ultimo ottomila che manca alla sua collana, per inanellarne quattordici come Messner, De Stefani e Martini, fra tre italiani e altri quattro fra gli alpinisti di tutto il mondo. ”Ma io odio il Manaslu, odio questa montagna che mi ha strappato gli amici - si sfoga - Non lo farò, riaprirebbe ferite che preferisco dimenticare”. Se fosse così, sarebbe davvero il primo. Il coraggio di un alpinista si misura anche nella capacità di rinunciare. Il suo coraggio, la sua forza l’aveva intuita quasi vent’anni fa Reinhold Messner, quando cercava un compagno per le sue imprese himalayane: prima il Cho Oyu, poi Hidden Peak e Gasherbrum II senza tornare giù, prima traversata assoluta di due ottomila, e ancora il Dhaulagiri, l’Annapurna, il Makalu, il Lhotse. Sempre legati assieme, con Kammerlander che però non rifiuta di stare nell’ombra, di lasciare le luci della ribalta al ”re degli ottomila”. Anche se quando tornano a casa, due valli quasi contigue a sud e a nord della Pusteria, i festeggiamenti più sfrenati sono per l’alpinista dal lavoro oscuro. Si scatena perfino una guerra fra bande musicali, dopo la traversata di Hidden Peak e Gasherbrum: quella di Campo Tures, che va ad aspettarlo nel piazzale dell’aeroporto di Monaco di Baviera, e l’altra di Acereto, la frazione dov’è nato, che riesce a suonare le sue trombe direttamente sotto la scaletta del Boeing. Le trombe, le grancasse, i corni alpini hanno suonato di nuovo a Campo Tures diciassette anni dopo. Festa di paese, anzi di valle per il ritorno vittorioso dal K2. Festa con le autorità e i compaesani, i turisti e le bande, gli inevitabili sponsor e uno stuolo di giornalisti e fotografi. Una cosa del genere non si ricordava dai tempi delle grandi spedizioni nazionali degli anni d’oro, ma questa volta i fan che arrivano da ogni parte d’Italia e d’Austria sono qui per un uomo solo. Uno la cui foto occupa due intere pagine, sulla brochure turistica delle valli di Thures e Aurina: lo trovi nei tabacchini sulle carte Telecom - che gli fornisce il telefono satellitare per restare in collegamento con casa fino alla tenda dell’ultimo campo, quasi a quota ottomila - la sua Alpinschule, la scuola d’alpinismo di cui si occupa sua moglie Brigitte, quando lui è via, e che era stata fondata da Messner, è alloggiata in centro al paese, proprio sopra l’ufficio informazioni. Un eroe, per il Sudtirolo, un esempio per i ragazzini, un mito per i turisti che, in molti, tornano ogni anno perché c’è lui, neanche fosse una squadra di calcio. Ma dell’eroe, del mito Kammerlander non ha nulla. Capelli lunghi, magro, con la barba incolta, il sorriso sempre sulle labbra se non è appeso a qualche parete, se non corre sulla sua montagna preferita, il Moosstock, che incombe sul maso di famiglia - la prima, salita a otto anni - è capace di stenderti, a bere birra bionda sui tavoli del Gasthof Sonne. Perché in spedizione è di un rigore ascetico, lo speck di casa e il pane cotto dalla sorella sono gli unici piaceri che si concede. Ma al ritorno dalla vetta è un’altra cosa, è normale vederlo con una sigaretta accesa e un boccale in mano. A parlare in tedesco con chiunque lo avvicini: ”Mi spiace, noi l’italiano lo impariamo di solito al servizio militare, ma mia madre è morta quando avevo dieci anni e io ho due fratelli, quindi non l’ho fatto. So farmi capire, ma basta, però parlo discretamente il nepalese. E anche l’inglese”» (Leonardo Bizzarro, ”la Repubblica” 6/8/2001).