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 2002  marzo 04 Lunedì calendario

Karzai Hamid

• Kandahar (Afghanistan) 24 dicembre 1957. Politico. Presidente afghano. Proviene da una famiglia pashtun. Negli anni 80 partecipò attivamente alla lotta antisovietica, stringendo solidi legami con gli Stati Uniti, dove si trasferì negli anni di dominio dei talebani. Nel 2001 rientrò in Afghanistan e assunse la presidenza a interim; nel 2004 si impose alle presidenziali con oltre il 55% dei voti. Pur avendo perso consensi negli ultimi anni, accusato di malgoverno e corruzione, si presentò da favorito alle presidenziali del 20 agosto 2008: il successo al primo turno, avallato dalla commissione elettorale (con oltre il 54% dei voti), fu rimesso in discussione dalle accuse di brogli e dalle verifiche della commissione reclami, di nomina Onu, che indisse un ballottaggio con il suo principale sfidante Abdullah Abdullah poi saltato per la rinuncia di quest’ultimo • «[...] Scelto dall’amministrazione Bush nell’autunno del 2001 come pedina chiave per la strategia Usa nell’Afghanistan post-talebano, a lungo è apparso come l’uomo capace di traghettare il Paese verso la pace e la democrazia. La sua origine pashtun gli ha garantito le simpatie di una parte consistente dell’etnia più importante della regione [...] ha studiato a Kabul, poi a Nuova Delhi, prima di assistere i profughi afghani fuggiti in Pakistan dopo l’invasione sovietica del 1979. Tornato a Kabul negli anni ”90, dove è stato vice-mi nistro degli Esteri, nel 1996 gli fu offerto dai talebani di diventare loro ambasciatore all’ Onu. La cosa però non andò in porto e Karzai divenne un punto di riferimento delle forze anti-talebane fuggite a Pe shawar. La sua stella divenne più brillante che mai alla Loya Jirga di Bonn, nella primavera del 2002. Ma iniziò ad offuscarsi nel 2006. Corruzione, nepotismo, inefficienza, ritardi, palese incapacità nella gestione quotidiana degli affari di Stato [...]» (Lorenzo Cremonesi, ”Corriere della Sera” 3/11/2009) • «[...] è un liberale musulmano, un politico e all’occasione un guerriero, una figura di confine a suo agio tanto con i capitribù quanto con la diplomazia internazionale. soprattutto un patriota coraggioso. [...] Affidandogli la guida del governo di transizione, la Conferenza di Bonn ha premiato anche l’audacia di un’impresa in cui Karzai ha giocato il tutto per tutto, ed ha vinto. Ma sarebbe bastato un solo intoppo, un solo errore, e il futuro primo ministro dell’Afghanistan oggi penderebbe da un lampione di Kandahar. [...] Karzai e sette comandanti mujahiddin [...] raggiunsero il confine con l’Afghanistan, si arrotolarono sulla testa i turbanti, comprarono quattro motociclette nel bazar oltreconfine, e partirono per Kandahar. Non avevano il minimo dubbio sulla sorte che sarebbe toccata a ciascuno se i Taliban li avessero intercettati: sarebbero stati torturati per giorni prima d’essere impiccati. E le probabilità d’essere catturati erano alte. A condannarli sarebbe bastato il telefono satellitare che portavano in una borsa, la prova che erano in contatto con gli americani. Inoltre la barba che Karzai s’era lasciato crescere non era abbastanza lunga, e per quanto il camicione da contadino lo aiutasse a mimetizzarsi, egli è una figura nota, da tempo in cima alla lista nera dei Taliban. La polizia segreta dell’emiro gli assassinò il padre, Abdul Ahad, a Quetta nel luglio 1998. Lui stesso sfuggì ad un agguato pochi giorni dopo, quando entrò in Afghanistan per seppellirvi il padre. Avvertiti da una spia, i Taliban mossero due tank per intercettarlo sulla via del ritorno. Anche Karzai aveva i suoi informatori, e si sottrasse alla trappola. Altri tempi, però. Con la guerra in corso, e la polizia segreta in allerta, Kandahar poteva diventare una trappola mortale per gli otto motociclisti. Arrivarono in città a sera, e vi restarono due giorni. La prima notte tennero un consiglio di guerra con alcuni mujahiddin di Kandahar, alcuni dei quali, divenuti comandanti Taliban, da tempo s’erano dichiarati disponibili a ribellarsi all’emiro. Le possibilità di scatenare una rivolta in città – si concluse in quei conciliaboli – erano scarse. L’emiro aveva fatto affluire rinforzi e Kandahar era pattugliata giorno e notte da decine di fuoristrada: anche se una parte dei Taliban afgani si fosse ammutinata, i Taliban stranieri, in gran parte arabi o pakistani, avrebbero immediatamente represso l’insurrezione. Così Karzai decise di ripiegare sul piano di riserva: avrebbe raggiunto la sua tribù, i Populzai, sulle montagne a nord di Kandahar, e da lì avrebbe lanciato un’offensiva più politica che militare sulla città. Intendeva coalizzare tribù, attrarre Taliban delusi, fare il vuoto intorno all’emiro. Dalle stesse montagne e con lo stesso medodo, dieci anni prima Karzai era riuscito ad ottenere la resa incruenta di Kandahar, allora governata dal regime filosovietico di Najibullah. […] Quando raggiunse la sua tribù, di cui il padre era stato capo, non sapeva cosa avrebbe trovato. S’era fatto precedere da un comandante leggendario, ma non poteva escludere che lo aspettasse un agguato. In quei giorni il suo amico Abdul Haq, come Karzai entrato clandestinamente in Afghanistan, era stato venduto ai Taliban dagli anziani di una tribù, e assassinato. Secondo l’opposizione afgana la trappola era stata organizzata dal servizio segreto pakistano, deciso a estromettere dal gioco afgano ogni leader pashtun di cui non avesse il controllo. E Karzai, seguace dell’ex re afgano, rischiava la fine di Abdul Haq. Le spie non tardarono ad avvertire i mullah di Kandahar che Karzai era in zona. Ma quando una colonna di Taliban apparve all’improvviso, i Populzai, benchè colti di sorpresa, li fronteggiarono con i kalashnikov. Karzai e i suoi mujahiddin ebbero il tempo di fuggire per sentieri di montagna, ma tallonati da bande di Taliban. Marciarono per 36 ore, finchè finalmente l’aviazione americana bloccò l’inseguimento con le bombe e soccorse i fuggiaschi con viveri e coperte. Nelle settimane successive Karzai fu in grado di riprendere i fili della rivolta delle tribù. [...] anni fa, durante la mischia tra le bande di mujahiddin che si contendevano Kabul, un razzo colpì l’ufficio di Karzai, all’epoca viceministro degli Esteri. Karzai rimase privo di sensi per ore. Il colpo era partito dalle postazioni fedeli al presidente Rabbani, che si proclamò innocente. […] L’Afghanistan pareva un caso disperato, Karzai un velleitario, un menagramo. Paradossalmente, lui e i suoi comandanti erano pronti a scatenare la rivolta delle tribù già nel febbraio del 2001. Avevano arsenali nascosti in Afghanistan, una rete clandestina, la disponibilità di Taliban delusi. Mancava il sostegno politico e finanziario dell’Occidente. Karzai lo cercò inutilmente» (Guido Rampoldi, ”la Repubblica” 6/12/2001).