Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  marzo 04 Lunedì calendario

KAURISMAKI Aki Orimattila (Finlandia) 4 aprile 1957. Regista. Scrittore. Produttore. Inizia come critico, poi nel 1981, fonda insieme al fratello una casa di produzione e distribuzione

KAURISMAKI Aki Orimattila (Finlandia) 4 aprile 1957. Regista. Scrittore. Produttore. Inizia come critico, poi nel 1981, fonda insieme al fratello una casa di produzione e distribuzione. Tra i suoi film: La Boheme (1993), Ariel (1989), I cowboy di Leningrado vanno in America (1989). «Prima di diventare regista, tra i più singolari e affascinanti, ha avuto a che fare con ben altri mestieri. Alto e robusto, i capelli biondi spettinati sugli occhi che, se non sono appannati da micidiali cocktail di birra e cognac, birra e whisky, risplendono di un azzurro pallido, limpido e pulito come solo i cieli del Nord, mostra con orgoglio le mani, grandi e forti come lui. ”Prima del cinema, anch’io ho fatto lavori onesti – dice quasi a scusarsi – . Per anni sono stato sguattero in metà dei ristoranti di Stoccolma: 19 ore al giorno con le mani in acqua e sapone. Lavavo piatti anche nei sogni. In Svezia un mestiere per finlandesi o marocchini, la feccia della società. Il giorno che mi sono accorto che cominciavo a pensare in svedese sono scappato. In tasca un bel gruzzolo, tempo per spenderlo non ne avevo mai avuto. Tornato in Finlandia, a ogni angolo incontravo qualcuno che tendeva una mano. A ciascuno davo qualcosa e invitavo tutti a bere. Tempo pochi giorni, i soldi non c’erano più. Così passai all’edilizia, diventai muratore. Me la cavavo bene, avrei potuto far carriera. Ma ero troppo pigro per un lavoro onesto, così sono finito a fare cinema […] Solo il 20 per cento dei registi ha una morale. E solo il 10 per cento ne ha una forte: Kiarostami, Loach, Jarmush, Idrissa Quedraogo... Da voi Nanni Moretti. Quanto a me, faccio i film come un tempo facevo le case”. Con semplicità, forza, verità. Mattoni con cui ha costruito opere di tenero cinismo e allegra disperazione come Leningrad Cowboys Go America, Ho affittato un killer, Nuvole in viaggio, L’uomo senza passato […] Santo bevitore dello schermo, mette in pratica da integralista dello sguardo qual è: gli piacciono i film muti? E lui non esita a girarne uno. ”Juha, non solo muto, ma anche in bianco e nero, la prova che sono un uomo d’affari”, sorride ironico accendendosi l’ennesima sigaretta e tracannando l’ennesimo bicchiere […] Vive tra i boschi, solo con la moglie e tre cani, del mercato non gli importa molto. I suoi lussi sono migrare in inverno in Portogallo e organizzare a giugno un Festival al Circolo Polare Artico dove, approfittando delle notti bianche, i film vengono proiettati 24 ore su 24. ”Se l’umanità vuole uccidersi per i soldi, faccia pure. Alla fine non resterà nulla, solo tante banconote svolazzanti. Col prezzo di un fucile si potrebbero sfamare 600 bambini. Non perdonerò mai alla destra la sua idolatria per il denaro. Io non ho ideologie. Il comunismo dal volto umano non è mai esistito, ma Marx aveva ragione. Bush no. E tanto meno i cani che gli stanno intorno scodinzolanti. Ce n’è uno anche da voi […] Sono pessimista, penso che il mondo finirà nel luglio del 2021. Ma se vediamo un bambino con gli occhi felici, diciamogli che succederà più avanti, nel 3003... Nel frattempo, anche se la fine è vicina, una cosa la dobbiamo fare: scendere in piazza”» (Giuseppina Manin, ”Corriere della Sera” 4/12/2002). «Non è leggenda, è vero, non consegno la sceneggiatura a nessuno. I dialoghi dei miei film sono freschissimi, li invento poco prima della ripresa. Si gira subito, senza provare. Se vedo due attori in un angolo a ripetersi le battute li insulto. Ed è sempre buona la prima ripresa, un secondo ciak costa soldi e tempo. Sono anche il produttore dei miei film, devo risparmiare […] Oggi la vita è troppo dura e senza speranza, voglio compensare la gente con una favola, ”e vissero felici e contenti” e spargere un po’ di ottimismo. Basto io a essere disperato. Ci sono autori come Ken Loach o Jim Jarmusch bravi nel raccontare la triste realtà sociale dell’oggi, io ho preferito ispirarmi a Frank Capra di La vita è meravigliosa”. Quanto all´origine del suo sarcastico pessimismo: ”Basta guardare il mondo, nessuna delle illusioni della mia generazione si è realizzata. In più io sono finlandese. I finlandesi si odiano l’un l’altro ma fanno finta di volersi bene. Con un carattere nazionale così devastante e una lingua che nessuno capisce è naturale che al Parlamento europeo abbiamo pochissimo potere. Che fare? Non so il resto del mondo, io continuerò a fare cinema, per soldi e per diventare ancora più grasso”» (’la Repubblica”, 23/5/2002). «Schivo, ironico e soprattutto alfiere di una cinematografia che mette i perdenti al centro dell’attenzione. [...] ”Che lavoro avrei fatto se non fossi diventato un regista? Ho in tasca quaranta specializzazioni per altrettanti lavori non qualificati, compreso il lavapiatti”. Il rapporto con la modernità, che dai film di Kaurismäki esce sempre piuttosto malconcia, è esplicito: ”Ho avuto pensieri di suicidio a questo riguardo. Sono caratterialmente un nostalgico che non si ritrova in questi tempi. Non mi piacciono neanche le forme delle auto moderne, non a caso nei miei film faccio vedere solo modelli di vent´anni fa. [...] Il cinema non è necessariamente sparare e correre veloci in macchina. Una volta mi è stato chiesto di fare l´elenco delle dieci pellicole migliori, involontariamente sono arrivato a 600 e mi sono addormentato. Fra i miei preferiti comunque c´è Umberto D di De Sica. [...] Come spettatore vado sempre più indietro nel tempo, in questo periodo sto guardando i film muti, dunque non sono in grado di dare giudizi. Qualche anno fa però il film belga Rosetta mi ha dato qualche speranza. [...] Coloro che vengono a vedere i miei film sono inevitabilmente degli emarginati, forse per questo si identificano con i protagonisti. Probabilmente ci vedono i loro alter ego”» (Franco Giubilei, ”La Stampa” 16/3/2004).