4 marzo 2002
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Kemp Lindsay
• . Nato a Liverpool (Gran Bretagna) il 3 maggio 1938. Coreografo. «Artefice di un teatrodanza parodistico e rituale, trasgressivo e mélo, sempre di grande effetto (il suo capolavoro, Flowers, ha girato il mondo per 25 anni)» (Leonetta Bentivoglio). «Poeta e saltimbanco, affabulatore e giocoliere, equilibrista e ballerino, ha attraversato la danza e il music-hall, il circo e il teatro giapponese kabuku, le pantomime occidentali e i classici della letteratura, in una sorta di viaggio magico negli stili e nei luoghi del mondo, portandosi sempre dietro la fantasia della sua arte [...] ”E pensare che mia madre si è opposta fino alla fine alla mia vocazione di ballerino. Per lei, dovevo essere un marinaio, come mio padre, mio nonno, e tutti gli uomini della famiglia. Era rimasta vedova quando avevo due anni, ma continuava ad amare il mare e i marinai... sono diversi dagli altri uomini: sfidano la morte ogni giorno e tutta la loro vita diventa una celebrazione della vittoria sul pericolo. In fondo, sono come i ballerini: danzare è ringraziare la vita che ancora rimane con noi e non ci abbandona. Poverina, mi iscrisse a varie scuole navali, da cui venivo regolarmente cacciato, e intanto, per potermi pagare i corsi di danza, facevo il lavapiatti, lo spogliarellista, il modello alla scuola d’arte, il facchino. Quando la commissione esaminatrice del Royal Ballet di Londra, dopo un provino, mi disse che ero inadeguato alla danza, per temepramento e attitudine fisica, invece che scoraggiarmi, mi impegnai ancora di più. [...] Ho amato molto David Bowie, un angelo entrato per pochi attimi nella mia vita, e poi volato via... Abitavamo a Soho, e io gli ho curato la regia di Ziggy Stardust, forse il suo spettacolo più famoso. Insieme abbiamo scritto canzoni, studiato trucchi e abiti, sognando momenti di gloria. Poi è finita, e non ci siamo più incontrati [...] Marcel Marceu, il mio maestro, che mi ha fatto amare le mie mani, quasi ridonandomele: mani callose, pesanti come pietre, che nascondevo agli sguardi degli altri. Lui mi ha insegnato che potevano essere leggere come farfalle. [...] Una vecchia leggenda inglese dice che ogni marinaio scomparso negli abissi si trasforma in gabbiano [...] Ecco, io forse volevo diventare cone mio padre, non marinaio ma gabbiano” [...]» (Lucia Castagna, ”Sette” n. 10/1997).