Varie, 4 marzo 2002
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KIAROSTAMI Abbas Teheran (Iran) 22 giugno 1940. Regista. Campione del ”cinema indipendente”: «Un cinema che non dipende dal capitale, il cinema di chi ha il coraggio di sperimentare e non si dispiace se in sala ci sono sole tre file di spettatori
KIAROSTAMI Abbas Teheran (Iran) 22 giugno 1940. Regista. Campione del ”cinema indipendente”: «Un cinema che non dipende dal capitale, il cinema di chi ha il coraggio di sperimentare e non si dispiace se in sala ci sono sole tre file di spettatori.» (Maria Pia Fusco, ”la Repubblica” 21/11/2002). «Nella poetica di Abbas Kiarostami, autore di cinema tra i più acclamati, è lo sguardo a dare evidenza alle immagini, a significare uno stile, a valorizzare la precisione dell’inquadratura. In tutti i suoi film prevale questo aspetto intensivo del reale, questa perennità del pensiero-immagine, in una visione umanista che riflette l’importanza dell’impercettibile, in una ”coscienza di sé”, che si identifica cartesiamente (ergo sum) nel rapporto con l’esistente. Da Dov’è la casa del mio amico a Ten, l’opera di Kiarostami si snoda attraverso una serie di piani sequenza che articolano un percorso rosselliniano, alla scoperta di un mondo, arcaico e insieme moderno, dove la macchina cinema si fa sguardo, che definisce il punto di vista e si identifica, da protagonista, con lo sguardo dello spettatore. Un cinema dove la fotografia e il film sviluppano un nuovo modo di guardare, identificando l’oggetto e creando una forma, tra movimento e contemplazione, in cui l’immagine data dal regista diviene lo sguardo del film» (’La Stampa” 27/6/2003). «Nasconde lo sguardo dietro le perenni lenti scure degli occhiali, occulta gli occhi neri languidi tagliati a mandorla: vuol guardare, non essere guardato. E’ laconico, parla poco, a meno che non debba tenere una lezione, una conferenza, un discorso. Ha un bellissimo sorriso, quando sorride: ossia raramente. Non va al cinema: ”Non so perchè, ma ho perso l’abitudine di farlo. Se mi capita esco dalla sala a metà spettacolo, non riesco più a stare seduto: i film sono vuoti, violenti, spesso privi di identità”. Non va meglio con la televisone (’Tra cinema e televisione c’è la stessa differenza che esiste tra un libro e un giornale”), anche se per la televisione lavorava già quasi quarant’anni fa, come assistente di Bernardo Bertolucci per La via del petrolio, documentario prodotto dall’Eni nel 1965. Ama l’automobile, che compare da semi-protagonista in molti suoi film: ” una specie di stanza privata, è un amico con cui andare dappertutto, è una casa ideale”. Non teme la censura: ”L’Iran è uno dei paesi in cui la censura è più presente, ma è anche il paese in cui è più facile fare il regista. Nelle nostre produzioni è frequente la figura del regista-produttore. Da noi il potere è in mano ai registi, non ai produttori...Ovviamente le leggi religiose hanno un grande potere e ci sono delle regole che bisogna rispettare. Nel Sapore della ciliegia, con la creazione del personaggio del seminarista sono riuscito a salvare il mio film: tutto quello che mi avrebbero dovuto dire loro dopo, me lo sono fatto dire prima attraverso quel personaggio. In questo senso nel mio film ha avuto un ruolo un rappresentante della censura...”. Ama una frase di Jean-Luc Godard: ”La realtà è un film fatto male”. [...] Un bell’uomo vigoroso, energico. nato a Teheran nel 1940, s’è laureato pittore alla facoltà di Belle Arti, per mantenersi agli studi ha lavorato come impiegato della Polizia Stradale e come grafico pubblicitario. Negli anni 1962-1968 ha realizzato almeno 150 spot pubblicitari. Poi è entrato al Kanun, l’istituto per lo sviluppo intellettuale dei bambini e dei ragazzi, per organizzarvi quel dipartimento cinematografico destinato a diventare uno degli studi di produzione più importanti del paese. Il primo riconoscimento internazionale l’ha ottenuto nel 1989 al festival di Locarno per Dov’è la casa del mio amico?: l’inizio d’una serie ininterrotta di premi per Close-up, E la vita continua, «Sotto gli ulivi e gli altri film. E’ uno dei cineasti più premiati, ammirati, stimati e amati nel mondo. Una figura di artista completo: pittore, poeta (ha pubblicato da noi due raccolte di versi, Un lupo in agguato da Einaudi, Con il vento da Castello), fotografo, regista teatrale, videoartista. Il suo cinema di alta purezza e semplicità si esprime in lunghi piani-sequenza; esplora l’arcaico paesaggio iraniano soprattutto nella zona nordica di Kokert, impressionante ed evocativa come la nebbiosa Grecia settentrionale di Anghelopoulos o come la Monument Valley di Ford; racconta storie d’amicizia, d’amore e di solitudine in cui gli stessi personaggi si inseguono da un film all’altro e in cui il cinema (set, macchine da presa, regista, lavorazione) è sempre presente non soltanto come parte della vita ma come motore della vita stessa; utilizza perlopiù attori non professionisti che ignorano la storia del film; raggiunge livelli meravigliosi di eloquenza e intensità. [...] In ogni caso, diceva Akira Kurosawa: ”I film di Kiarostami sono meravigliosi. difficile trovare le parole giuste per descriverli. Consiglio semplicemente di andarli a vedere per capire quello che intendo”» (Lietta Tornabuoni, ”La Stampa” 18/9/2003).