Varie, 4 marzo 2002
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Kuffour Samuel
• Kumasi (Ghana) 3 settembre 1976. Ex calciatore. Col Bayern Monaco vinse la Champions League 2000/2001 e perse la rocambolesca finale del 1998/1999 contro il Manchester United (lo si ricorda tra i più disperati). Giocò anche con Roma, Livorno, Ajax • «[...] Può giocare da centrale, ruolo da lui preferito, ma anche da terzino destro nella difesa a quattro [...] torna in Italia dopo l’esperienza, da giovanissimo, nel Torino. Granata a tredici anni, grande amico di Bobo Vieri (giocarono insieme nella Primavera), dopo quattro anni va al Bayern Monaco a decorarsi il petto con una Champions League, 6 scudetti, una Intercontinentale, tre coppe di Germania e una Supercoppa Europea. Nella stagione ’96-’97, una parentesi al Norimberga. [...] nel gennaio 2003, il dispiacere più grande: la morte della sua bambina di quindici mesi ad Accra, affogata in piscina. [...]» (Ugo Trani, “Il Messaggero” 9/6/2005) • «[...] Quando aveva 14 anni, Sammy giocava a piedi nudi con una squadretta locale dall’immaginifico nome di Fantomas e guadagnava qualche soldo facendo lo sciuscià a Kumasi (Ghana). In campo aveva talento. Perciò sua madre prese la solenne decisione di vendere il televisore di famiglia per comprargli un paio di scarpe da calcio. È una storia di grande e cruda modernità, a pensarci bene: in genere il televisore in famiglia arriva dopo, coi primi stipendi del figlio campioncino. La stessa modernità, Kuffour la sperimentò ancora l’anno dopo: quando nel 1991 il Ghana vinse il mondiale under 17 di Montecatini, lui e i suoi compagni Mohamed Gargo e Emanuel Duah furono i primi “baby calciatori” africani ad essere acquistati da una squadra italiana, il Torino. Da allora non si è mai spenta - e giustamente - la polemica sul fatto che operazioni del genere debbano considerarsi una specie di schiavismo mutante, ma tant’è. Il Torino girò Gargo al Borussia (e da lì all’Udinese e al Genoa), mentre Duah partì per il Portogallo. A Kuffour, tutto sommato, andò anche meglio: lo prese il Bayern Monaco. Dopo un anno di apprendistato col Norimberga, Sammy ha incontrato a Monaco la scuola di calcio all’italiana di Giovanni Trapattoni (“Per me è come un padre”, ha ripetuto spesso il difensore), che - come si sa - è un misto di senso del limite umano e di sottomissione ai voleri divini. Così è diventato parte integrante dello squadrone che ha vinto Champions League e Coppa intercontinentale nel 2001 (il gol contro il Boca Junior lo segnò lui). Praticamente un campione. Non è una bella storia? Sì, abbastanza. In realtà il legame tra Kuffour e i suoi tifosi si è stretto per sempre nella brutta serata della finale di Champions League 1998-99, quando il Manchester United sfilò la Coppa al club tedesco: Sammy, fin lì conosciuto per i rap afro-tedeschi improvvisati alle feste del club e per una scappatella con una connazionale sulla quale molto aveva ricamato la Bild, fu beccato dalle telecamere a piangere tutte le sue lacrime e a battere pugni sull’erba. Non se lo dimenticarono più. Nacque dopo quella serata la “preghiera del difensore prima del calcio di rigore”, che Kuffour svelò una volta ai giornali: “Prima che l’arbitro fischi chiedo a Dio: basta lacrime”. Molto trapattoniana. Un po’ sciamanica. Pianse ancora, Sammy, quando il Ghana sconfitto dal Sudafrica nel 2000 buttò via una possibilità buona di riportare a casa la Coppa d’Africa. Lunghi singhiozzi in campo. E pianse - ma questa è un’altra storia, troppo più seria - quando nel 2003 sua figlia Gaudiva morì annegata nella piscina di casa sua ad Accra: “Dio prende, Dio dà - disse in quell’occasione - Lo ringrazio per quello che è successo. Solo il Signore sa quello che è giusto per noi”. Chiaro che, con tutta la carriera che ha alle spalle, i tifosi romanisti non possono aspettarsi più di tanto da lui (men che meno altre lacrime). Con l’aria che tira, una coppia come Kuffour-Chivu in difesa è roba di lusso. Negli anni Kuffour - che pure ha un fisico da cattivo - è diventato uno stopper dai gesti misuratissimi e di grande eleganza, che bada alla posizione più che alla forza. Forse un po’ compassato. [...] la somma delusione della sua carriera [...] quando [...] il ct della nazionale ghanese Ratomir Dujkovic lo ha escluso dalla selezione che è si è qualificata (per la prima volta in quarant’anni!) al Mondiale di Germania. Il difensore, già capitano della squadra, era stato lasciato in panchina in occasione di un’eliminatoria con la Repubblica Democratica del Congo, ufficialmente infortunato. Ma il giorno dopo si era lamentato in un’intervista alla Bbc del fatto che la federazione ghanese aveva mentito sul suo stato di salute, perché lui in realtà stava benissimo. Perciò l’allenatore si è incazzato, lo ha tolto di squadra e ha chiesto le sue scuse. Da quel giorno Kuffour suda freddo, e fa quel che può: chiama al telefono Dujkovic e si scusa, ma il temibile giramondo serbo (ex Stella Rossa, ex ct di Venezuela e Ruanda), spiega che vuole scuse pubbliche. Allora dà un’intervista a una tv ghanese e pronuncia timide parole di riconciliazione, però lo stesso Dujkovic dice di non credere a niente di quel che ha sentito, anzi sostiene che l’intervista è tutta una manovra della lobby dei giornalisti per fare pressione su di lui. Persino il leggendario Abedì Pelè, ambasciatore numero uno del calcio ghanese nel mondo, si accalora e chiede ai due di fare pace (“Solo gli stupidi non cambiano mai idea”). [...] In Ghana il calcio è cosa serissima, legata a doppio filo ai destini politici e ai sottostanti equilibri tribali della nazione. [...]» (Alberto Piccinini, “il manifesto” 19/10/2005).