4 marzo 2002
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Kukoc Toni
• . Nato a Spalato (Croazia) il 18 settembre 1968. Giocatore di basket. Alto 2 metri e 11 centimetri, è mancino, gioca ala. uno dei formidabili «monelli di Spalato», che con la Jugoplastika conquistarono 3 Coppe dei Campioni a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. In Italia, conquistò lo scudetto con la Benetton Treviso (1992). Con la Croazia è stato argento ai Giochi ’92. I Chicago Bulls lo ingaggiarono nel ’93: con Jordan ha vinto tre titoli di fila. Ha poi giocato a Philadelphia ed Atlanta. Dal 2002 è a Milwaukee. «C’era anche lui assieme a Michael Jordan e a Scottie Pippen con i Bulls che, nella metà degli anni Novanta, recuperato ”Air” dopo il primo dei suoi ritiri, si erano rimessi a dominare il campionato professionistico. Poi, finita la magia di quello squadrone, Phil Jackson lo avrebbe voluto con sé a Los Angeles, in maglia Lakers. Ma non se ne fece nulla. [...] Quindicenne cominciava a stupire tutti per il suo incedere dinoccolato (una sorta di marchio di fabbrica: lo chiamavano ”Pantera Rosa” o ”Uomo Ragno”) e per quel tiro mancino del tutto inconfondibile. [...] ”Ho sempre preferito segnare nei momenti che contano. Fa parte della mia cultura e del desiderio di prenderti le responsabilità quando è l’ora di farlo”» (Riccardo Romani, ”Corriere della Sera” 3/5/2003). «[...] Ero appena arrivato e due giorni dopo assassinarono il padre di Jordan. Poi Michael decise di ritirarsi. Non parlavo ancora bene l’inglese, ma ero presente quando Jordan ci disse che se ne andava. La mia prima stagione, però, fu molto buona: in tre o quattro occasioni segnai il canestro decisivo allo scadere del tempo [...] Quando arrivai a Chicago c’erano due fazioni: quelli che dicevano che il merito dei successi dei Bulls fosse dei giocatori e allenatori e chi dava credito alla dirigenza. Io, siccome fui portato da Jerry Krause, venni considerato il suo pupillo. Ma furono i giornali a ingigantire tutto. Io con Pippen andavo d’accordo, anzi è stato uno dei giocatori che mi ha aiutato di più [...] Jordan? Ero venuto anche per lui e invece per due anni lasciò il basket. Fuori dal campo non lo vedevo mai. Aveva una vita impossibile. Non poteva andare da nessuna parte senza essere soffocato dalla gente. Ma quando tornò a giocare fu un’esperienza magnifica. I momenti più belli erano gli allenamenti. Era incredibile la pignoleria con cui lavorava sulle sue giocate. La sua professionalità ti lasciava di stucco e poi ti stuzzicava di continuo. A ogni allenamento ti spingeva a dare tutto. Con uno come lui in squadra era impossibile non migliorarsi [...] A Chicago ho anche due buoni amici serbi. Ma ai tempi della guerra fu difficile. Io penso ancora che noi croati siamo stati più colpiti rispetto ai serbi. So che Vlade Divac è una brava persona, ma durante la guerra non avevamo molto da dirci. Perché quando chiedevi come va la famiglia, che cosa potevi rispondere? Che vive in un sottosuolo per ripararsi dalle bombe che il tuo esercito le sta tirando addosso? [...] Nei due anni con Treviso sono stato benissimo. Ho l’unico rimpianto di non aver mai vinto con loro la coppa dei Campioni. Sarebbe stato il miglior modo per sdebitarmi con la famiglia Benetton che mi ha aiutato tanto» (Massimo Lopes Pegna, ”La Gazzetta dello Sport” 24/2/2005).