Varie, 4 marzo 2002
KUSTURICA
KUSTURICA Emir Sarajevo (Bosnia) 24 novembre 1954. Regista. Nel 1981 con Ti ricordi di Dolly Bell?, storia di adolescenti jugoslavi degli anni Cinquanta alle prese con la culutra occidentale, vince il Leone d’oro a Venezia e, nel 1985, la Palma d’oro al Festival di Cannes con Papà è in viaggio d’affari. Nel 1989 conferma il suo successo a Cannes vincendo il premio della giuria con Il tempo dei Gitani. Chiamato a insegnare alla Columbia University, utilizza il soggetto di uno studente per Il valzer del pesce freccia. Nel 1995 vince la seconda Palma d’oro a Cannes con Underground, sulla guerra nella ex Jugoslavia (’liberal”, 2/9/1999). «Nel 1995, l´anno in cui veniva firmato il trattato di pace per la Bosnia, al Festival aveva vinto la Palma d´oro il suo mirabile Underground, film su quella spaventosa guerra, giudicato filoserbo ”da un paio di filosofi francesi che non l’avevano neppure visto”. Nel 1988, un anno prima che Milosevic diventasse presidente della repubblica serba, con Il tempo dei gitani il regista, allora serbobosniaco, aveva vinto il premio della regia; nell’85, trentenne sconosciuto, al suo ammirevole Papa è in viaggio d’affari che rivelava la Jugoslava dopo il da lui molto odiato Tito, era stata assegnata la sua prima Palma d´Oro. Il suo ultimo film di esplosiva vitalità, Gatto nero, gatto bianco, aveva vinto nel ´98 il Leone d’oro alla Mostra di Venezia. Poi si era messo a girare il mondo facendo musica con la sua indiavolata No smoking Orchestra, forse per allontanarsi dall’amarezza di non poter più tornare nella sua città, Sarajevo, ”dove la mia casa è stata saccheggiata e incendiata dai musulmani e i miei amici di un tempo ormai mi rifiutano”. [...] faccia viva e malinconica, soliti capelli lunghi e spettinati, solito sigaro tra le dita, solita maglietta a righe bianche e azzurre [...] Racconta d´essere cristiano-ortodosso, di madre e padre di origine musulmana. ”Non sono né la religione né l’etnia a definirmi, ma la lingua, che è il serbocroato, e la mia cultura, che è serbac”. [...] Ciò che non gli viene perdonato, dice il regista, è di non essere manicheo, di non aver voluto dividere i protagonisti dello spaventoso conflitto in buoni e cattivi» (Natalia Aspesi, ”la Repubblica” 15/5/2004).