Varie, 4 marzo 2002
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LA FORGIA Antonio Forlì 24 dicembre 1944. Politico. Ds, fece molto discutere il suo passaggio con Prodi • «Ha mollato il potere e il partito e se n’è andato con Prodi e Di Pietro
LA FORGIA Antonio Forlì 24 dicembre 1944. Politico. Ds, fece molto discutere il suo passaggio con Prodi • «Ha mollato il potere e il partito e se n’è andato con Prodi e Di Pietro. Ed è stato come togliere la chiave di volta a un edificio che sembrava ancora solido nonostante gli anni: le pareti hanno cominciato a scricchiolare, i muri si sono sbrecciati, l’intonaco è andato a pezzi, qualche pietra è caduta, qualche altra è rimasta in bilico. [...] come arriva un uomo della fatta di La Forgia, una vita nel Pci-Pds-Ds, a decidere di smascherare e far precipitare quella crisi nel modo più plateale? [...] Funzionario Pci lo era diventato nel ”70 [...]una laurea in Fisica, alle spalle un anno di insegnamento, uno come ricercatore al Cnr, tre come segretario della sezione universitaria del Pci a Bologna. Segue scuola e cultura e si ritrova subito in minoranza su un documento economico giudicato troppo accondiscendente verso le ragioni dello sviluppo capitalistico. Sindaco Renato Zangheri, entra in Consiglio comunale: ci resterà fino al ”95. un po’ ingraiano, all’epoca, e simpatizza con il gruppo del ”manifesto”: forse per questo non se ne fa niente, quando si parla di lui come segretario del locale Istituto Gramsci. Nel ”77 di Bifo e Radio Alice, diventa assessore all’organizzazione, poi anche al personale: ”Lì, nel retrobottega, nella sala macchine, imparo un sacco di cose: non solo del partito, ma dell’economia, dei rapporti di lavoro, dei sindacati, delle cooperative”. Si dichiara operaista, ma ne fornisce una strana e personalissima lettura: ”Gli operai lavorano come bestie? Facciamo lavorare un po’ anche i pubblici dipendenti, che diamine!”. Risultato, sarà stato l’81 o ”82, gli sfilano contro davanti alla federazione Pci in via Barberia inalberando la scritta ”La Forgia, Agnelli, fratelli gemelli”. Lui se ne frega, e avvia il controllo di gestione nelle attività dell’amministrazione. Stacca un po’ nell’85: ”Sindaco Renzo Imbeni, ci inventiamo un assessorato ai rapporti con Università, imprese, mondo del lavoro: è allora che conosco Prodi, alla sua prima presidenza dell’Iri. Che impressione mi fa? Un presidentone: competente, curioso, lievemente troppo sicuro di sé e delle sue idee”. A fine ”87 dovrebbe rientrare in federazione: serve un nuovo segretario, in lizza ci sono lui e Mauro Zani: ”Poi entra in corsa anche Walter Vitali. E vince Zani”. Diavolo d’un Vitali: e dire che era anche un po’ un suo pupillo [...] ”89, l’anno della svolta di Occhetto. La Forgia è con lui, e finalmente si ritrova in maggioranza, nel partito. ”Fino al primo luglio 1994”, precisa ironico: è il giorno in cui D’Alema diventa segretario. Quegli anni, però, sono per lui quelli della scalata al potere, nella forma metodica e consolidata della progressiva occupazione delle caselle lasciate libere da chi sta un gradino sopra. Funziona così: 1991, Zani va a fare il segretario regionale, La Forgia lo sostituisce come segretario della federazione di Bologna. 1992: Zani va a Roma nella segreteria nazionale, ma il suo posto lo prende Pierluigi Bersani [...] 1993: Bersani diventa presidente della Giunta regionale, La Forgia passa segretario regionale. 1996: Bersani diventa ministro, La Forgia diventa presidente della Giunta. Un cursus honorum da nomenklatura d’altri tempi. Non fosse per quel primo luglio ”94, elezione di D’Alema al vertice senza neanche un congresso. Antipatia personale? ”No, non è questo. Ma le radici della crisi Ds stanno lì”, azzarda La Forgia. Prima che l’Ulivo seccasse al sole, prima persino che nascesse, l’Ulivo. [...] Che combina di così terribile il D’Alema segretario? ”Nella mia relazione al primo comitato regionale dopo la sconfitta del ”94 io dico che abbiamo sì perso la battaglia, ma vinto la guerra: il sistema politico si è finalmente sbloccato, la nuova legge elettorale ha liquidato l’illusione centrista, la prossima volta vinciamo noi”. il momento di forzare la transizione: del sistema politico e del Pds. Che fa invece D’Alema? ”Esordisce spiegando che considera sostanzialmente conclusa la transizione. Che è ora di diventare un paese normale e bisogna consolidare i soggetti politici che hanno preso forma”. In seguito, quando nasce l’Ulivo, fa anche di peggio: ”Lo definisce un ”ente di secondo grado’, con le sue brave gambe, una moderata e una di sinistra, la Cosa 2. Un’alleanza, strategica quanto si vuole, ma senza alcuna ”cessione di sovranità’ dei partiti al centrosinistra”. L’accusa di La Forgia è pesante: è come dire che l’affossamento dell’Ulivo stava fin dall’inizio nel disegno di D’Alema. Anche Prodi e Veltroni, però, hanno le loro responsabilità: ”Comprensibilmente presi a non crearsi troppi guai con i partiti per salvaguardare il governo, hanno sottovalutato il pericolo. Prodi calcolava che, subito dopo l’ingresso nella moneta unica, sarebbe scoppiato il bailamme: ne abbiamo parlato in più di un’occasione. Ma non s’aspettava certo di essere liquidato così in fretta”. La gestione della crisi La Forgia la giudica scandalosa. E vive il governo D’Alema come ”il congelamento della transizione, il rilancio della repubblica dei partiti”. Peggio ancora giudica le reazioni diessine all’iniziativa di Prodi: ”Il bastone dell’irrisione all’ennesimo partitino e la carota della presidenza europea. Indecente. A quel punto io mi sono sfilato via. In fretta. E, devo confessare, senza incertezze”. [...]» (Roberto Di Caro, ”L’Espresso” 11/3/1999).