Varie, 4 marzo 2002
LA ROSA Anna
LA ROSA Anna Gerace (Reggio Calabria) 1 giugno 1955. Giornalista Rai • «Che l’indomita conduttrice di TeleCamere, goda di un credito così smisurato da essere definita “la pioniera della politica in tv” è un suo diritto, e anche un suo merito. [...] Di Anna La Rosa è stato scritto: “Tra i suoi titoli di merito, vanta quello di essere stata la prima a inaugurare un modo nuovo per parlare di istituzioni”. Ma chi è Anna La Rosa? Un genio, una star del giornalismo, una Biagi in gonnella? [...] non siamo nel campo del giornalismo ma in quello delle pubbliche relazioni. Le più spudorate. Ogni servizio è uno spot, ogni ritratto è un canto d’allegrezza. Cosa ci sia da essere tanto allegri in questo uso distorto del servizio pubblico nessuno lo sa» (Aldo Grasso, “Sette” n. 45/2000) • «Popolare autrice e conduttrice di TeleCamere, la trasmissione che ci svela tutte le domeniche la vita privata dei politici [...] molti anni passati tra i palazzi del potere a scarpinare, a faticare, a riportare come un segugio notizie esclusive all’Adn Kronos o al Tg2. [...] “Sono originaria di Gerace, provincia di Reggio Calabria, nella Locride. Un paese bellissimo, patrimonio dell’Unesco. Sono nata nella contrada Doria. Non c’era nemmeno la strada. Ci si arrivava col mulo. L’acqua la si andava a prendere alla fonte con gli orci sulla testa. I panni si lavavano nelle acque gelide della fiumara e si stendevano sulle ginestre. Mio padre suonava la chitarra, la fisarmonica, cantava. Era un uomo molto allegro. Io e mio cugino Bruno andavamo a scuola a piedi. Le salite erano talmente ripide che avevamo imparato ad andare in groppa alle capre tenendole per le corna. Andavo in giro senza scarpe, seminuda, libera, felice, mia nonna mi aveva insegnato a non aver paura nemmeno dei serpenti, bastava rivolgersi a san Paolo e i serpenti se ne andavano. Sono stata in Calabria fino a sette anni. Poi ci siamo trasferiti a Roma. Fu un dramma [...] Parlavo solo dialetto. Ogni volta che aprivo bocca i bambini ridevano. Per la vergogna non chiedevo nemmeno di andare a fare la pipì, e schiattavo. A Doria ero una leader. A Roma un’emarginata. La maestra era cattiva, non aveva un briciolo di comprensione. Alla fine mi disse: ‘Smetti di studiare. Fai la sarta’ [...] In prima media ho incontrato un professore di lettere molto umano. Mi spiegò che dovevo leggere molto, ad alta voce. Trascorrevo le mie notti a registrare su un vecchio Geloso Il fu Mattia Pascal. Posso ancora citarlo a memoria. Lessi talmente tanto che alla fine ero la prima della classe in italiano. E nei temi prendevo sempre dieci [...] Cominciai a collaborare a ‘Gioia’ e al ‘Messaggero’, ma mi piacevano gli uffici stampa. Mandai il curriculum a tutti i ministri. Mi rispose l’ufficio stampa di Gianni Goria, ministro del Tesoro. Andai a lavorare lì pochi mesi. Una noia [...] A 16 anni ero comunista, addirittura trotzkista, giravo con la medaglietta di Trotsky sul gubbino. Poi piano piano, leggendo, sono diventata socialista, lombardiana. A forza di curriculum arrivai all’ufficio stampa di Gianni De Michelis. Una delle intelligenze più fervide, laiche, libere che abbia mai incontrato. Dopo un po’ mi stufai. Andai da Pippo Marra, calabrese come me, proprietario dell’agenzia Adn Kronos… [...] Sono andata, mi sono presentata e venni assunta. C’era il caporedattore del politico, Guglielmo Gabbi, uno che ci mancava poco che ci frustasse. C’erano Maria Teresa Meli, Francesco Lo Sardo, Ferdinando Regis, Tonino Satta, Mauro Mazza [...] Alla fine sono andata al Tg2 [...] Era la lottizzazione. Ho avuto la fortuna di lavorare con Mimum che era caporedattore del politico. Bravissimo. Poi arrivò Tangentopoli, l’epurazione dei socialisti. E le grandi migrazioni. Socialisti militanti, mica come me, che lavoravano all’Avanti, che andavano da Intini tutte le mattine, che avevano fatto gli spot elettorali per Craxi, scoprirono la gioiosa macchina da guerra di Occhetto [...] Ce ne sono stati moltissimi che sono riusciti con questo sistema a evitare l’epurazione. Per esempio Michele Cucuzza. Socialisti rimanemmo in pochi, io, Giuliana Del Bufalo, Paolo Cantore, Antonio Bagnardi. Tutti emarginati [...] Dai dirigenti, dal sindacato Usigrai. Amedeo Martorelli, che pure era un socialista e aveva lavorato con Manca a Perugina, mi fece una guerra pazzesca [...] Era ovvio che noi guardassimo a Berlusconi. Eravamo stati messi da parte, eravamo contro i Ds che ci avevano cacciati a pedate, che cosa dovevamo fare? [...] Io ero una riformista lombardiana. Niente a che vedere con Occhetto[...] Ho il mio stile. Non aggredisco gli ospiti. Non punto il dito accusatore come fa Michele Santoro. Ma domande scomode le faccio. Ho chiesto a Berlusconi se aveva il cancro. Altro che carezze!” [...]» (Claudio Sabelli Fioretti, “Sette” 20/9/2001).