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 2002  marzo 04 Lunedì calendario

LA RUSSA Ignazio

LA RUSSA Ignazio Paternò (Catania) 18 luglio 1947. Politico. Eletto alla Camera nel 1992, 1994, 1996, 2001, 2006, 2008 (Msi, An, Pdl). Ministro della Difesa nel Berlusconi IV (2008-2011). Avvocato, ex leader del fronte della Gioventù • «Fino al 1994 sulla Navicella il suo nome di battesimo era: Ignazio, sì, ma anche Benito. (E Maria, tanto per complicare le cose). Poi, più o meno in coincidenza con il lavacro di Fiuggi, Benito è scomparso. Chissà come l’ha presa il papà, l’avvocato Nino, già giovanissimo federale di Paternò e a lungo parlamentare del Msi. E tuttavia, in tempi di accelerati e vistosi cambiamenti, anche l’anagrafe è sempre a repentaglio. Per cui oggi l’onorevole La Russa, già Benito (e Maria), rischia soprattutto di essere “Gnazio”. Così lo ha in pratica ribattezzato Fiorello, facendo risuonare l’appellativo alla radio e in tv. E la domanda - certo maliziosa anche se pienamente legittimata dall’andazzo della vita pubblica italiana - è la seguente: sarebbe La Russa diventato (ugualmente) coordinatore di An senza la popolarità regalatagli dal popolarissimo Fiorello? Ora, “digiamolo” pure, nessuno intende qui sopravvalutare il potere dei comici sugli organigrammi dei partiti. Lo stesso presidente della Camera Casini, una volta, fece lo spiritoso in aula: “A dire il vero non capisco se l’onorevole collega che sta parlando è La Russa o Fiorello”. Però è anche vero che pochi altri personaggi incarnano, come La Russa, il senso profondo di una trasformazione della politica nel senso degli spettacoli. Nessun’altra carriera trasmette anche a destra l’idea che il lunghissimo dopoguerra, con le sue sacre esclusioni e le altrettanto inviolabili auto-esclusioni, è arrivato al capolinea. Nell’immaginazione, più che Mussolini, La Russa rimpiazza semmai De Michelis. Il grande pubblico non sa bene cosa propone, ma ne riconosce immediatamente la faccia, gli occhi azzurri, la barbetta mefistofelica, le smorfie, la voce roca, l’accento siculo-milanese, perfino il curioso nome che, a sua volta, Ignazio-Benito ha affibbiato al suo primogenito: Geronimo. Cosa c’entra più il fascismo? Da “uomo nero” La Russa si è trasfigurato in “uomo in vista”, uomo televisivo di prima serata, vip mondanissimo, beniamino di “Novella 2000”. In questo perfino l’aspetto tra il saraceno e l’orientale l’aiuta, se è vero che uscendo dal “Ketum Bar” un romanissimo avventore l’ha apostrofato: “Ahò, a’ Bin Laden!”. Lui lo sa che si è davvero chiusa un’epoca. Che per ironia della storia, e delle sue tragiche rese dei conti, il tabarin ha finito per scongelare i ghiacciai ideologici e attenuare le correnti dell’odio. La Russa non rimpiange gli anni di piombo a corso Monforte, il bar Pedrini e i sanbabilini, i massacri dei camerati, le vendette. Per la verità era un tipo un po’ appariscente anche allora, uno dei pochi “fasci” con i capelli lunghi. Girava con un cane lupo, Schranz, una femmina piuttosto aggressiva di cui ha poi raccontato: “Aveva imparato da sola a reagire non appena sentiva la parola ‘compagni!’, e a quel punto si metteva a cercare e ad acchiappare quelli con l’eskimo. Ma giuro che non gliel’avevo insegnato io”. Sarà. Nella festa che seguì il matrimonio di Viviana Beccalossi, alla metà degli Anni Novanta, venne scattata una fotografia che raffigurava La Russa con il braccio teso, come se stesse facendo il saluto romano. Le foto sono foto, vai a sapere. Curioso comunque l’argomento che egli mise in campo per cavarsi dai guai: “Ma no. Stavo mimando una canzone di Celentano, là dove dice: ‘e dal pugno chiuso una carezza nascerà’...”. L’odierna politica tende inesorabilmente a trasformare i suoi beniamini in personaggi e in attori. Alcune volte, per forza di cose e smania di visibilità, anche in macchiette. Ma l’importante è tenere la scena, fare audience. In questo La Russa è tanto più bravo quanto più appare distante dagli antichi ritegni e dalle truci cupezze di un mondo “a parte”, quello degli “esuli in patria”. Ma quali esuli! La Russa, caso mai, esagera sul versante opposto, siccome è simpatico sta sempre in mezzo, dà l’idea di spassarsela, rinuncia a poche dolcezze del potere. Si inventa i titoli per le canzoni del presidente Berlusconi e di Apicella, compare nei cartoni animati satirici, presta la propria voce ai Simpson, tiene una rubrica di mondanità sul sito Internet, organizza una festa per i deputati con la danza del ventre, protegge un’associazione di amici del cabaret, dà rappresentanza a Briatore, introduce la Santanché nel corpo di An, invia comunicati stampa con acclusa vignetta, risponde ai giornalisti con le parole di una canzone di Lucio Battisti: “Lo scopriremo solo vivendo”. È complicato stabilire, a priori, quanto tutto questo sia utile alla vita di un partito che non sa più tanto bene cosa è diventato; e che invano, ormai da una decina d’anni, continua a cercarsi. Ma intanto La Russa c’è. E quindi racconta quando l’ha fatto la prima volta; con chi; in che modo; e quanti giorni ha resistito senza farlo. A suo modo, con quell’occhietto azzurro, esprime una vitalità che impressiona favorevolmente larghi settori del pubblico - non si dirà qui dell’elettorato - femminile. “È più che un femminaro - ha scritto di lui Pietrangelo Buttafuoco sul Foglio - è sanamente malato di pacchio. Ogni colpo di scopetta è una tortora. Ovunque ci sia una tana di femmina, c’è lui”. A un elettore dell’allora Pds, Alberto Mazza, di Milano, nel marzo 1997 Ignazio Benito Maria La Russa ha addirittura dato i numeri al Lotto. In sogno. Pinuccio Tatarella ne fu così lieto da far pensare che si trattasse di un suo scherzo» (Filippo Ceccarelli, “La Stampa” 30/7/2003). «Adesso che non è più un brutto anatroccolo, tutti da lui pretendono un digiamolo dal vivo, perché gli italiani ormai lo ri-conoscono, anche quelli che non lo conoscono. E a tutti racconta che la sua bruttezza ha una lunga divertita storia, da Striscia la notizia al Bagaglino, dai cabaret di Milano sino “ai mille giornalisti che hanno cercato di farmi losco e screditato” […] “l’Unità” , senza neppure un accenno di sorriso, si era appellata, sia pure dopo ventidue pagine di paziente scorrimento, all’antifascismo di Fiorello perché smettesse di imitarlo: “Non si possono dare attestati di simpatia a un post-fascista, a un erede di Mussolini”. Dunque davvero, prima di Fiorello, era un brutto anatroccolo questo politico di An con il naso adunco e righignato, con le nari larghe, la barbetta sotto il mento, le ciglia aspre come setole, gli occhi come due palle di fuoco, e l’ormai famosa voce, che è rasposa più che rauca. E difatti chi aprisse quel frigorifero della realtà che è l’archivio di un giornale, alla voce La Russa scoprirebbe mille episodi dove il sospetto fascista è descritto ora come il brutto che suscita odio, ora come il brutto che fa paura, ora persino come il brutto che soffre, ma sempre come il brutto da liquidare con sprezzante e divertita intolleranza. E invece Fiorello per la prima volta gli ha dato dignità umoristica, e ha messo in scena una satira all’italiana dove la vittima sembra un compare, perché davvero La Russa incarna quello stereotipo, davvero somiglia al fascista stupido e violento. E La Russa sa di somigliargli. Perciò rivendica e cerca l’ironia, per prendere le distanze da quel se stesso che Fiorello così bene strapazza. Un giorno di tanti anni fa ha dovuto scegliere: o ridere o cambiarsi i connotati. E ora confessa che solo la goliardia lo ha difeso in quella riserva indiana che fu l’estrema destra, e dice di avere una fede assoluta nel motto di spirito che, solo, dà alla politica una cinica franchezza, una crudezza e talvolta un’indecenza. Per esempio racconta che proprio per distinguersi da lui, e batterlo nel collegio di Milano nel 1992, il vecchio Servello fece stampare un milione di manifesti elettorali con la scritta: “Vota Servello, lui è serio”. E volentieri ora La Russa fornisce aneddoti su questa sua nuova identità che chiama “simpatia”. Molti gli chiedono: “Quanto hai pagato?”, e suo figlio di sette anni lo ha chiamato al telefono: “Papà, digiamolo”. E tutti ora scoprono che anche La Russa è simpatico, “e persino Fiorello gli deve qualcosa”, insomma che il loro è stato un duetto riuscito benché improvvisato. E forse tra i due c’è una solidarietà insulare, quella risata che permette di convivere con la distanza: capita ai siciliani di dover scegliere tra l’ironia e la tragedia. Ora La Russa racconta che lo fermano per strada e gli fanno l’elogio dell’ironia, si congratulano per la sua autoironia. Anche se ammette con un sospiro che neppure Fiorello gli ha risparmiato il pittoresco: “Certo, ha fatto la caricatura dell’uomo delle caverne, di un selvaggio di destra ossessionato dalla virilità”, ma La Russa non vi ha mai visto la voglia di offendere, di ferire profondamente, di delegittimare e neppure di far perdere o guadagnare voti: solo di divertire. Così la più riuscita delle irrisioni ha fatto giustizia di tutte le irrisioni patite. E fosse pure per qualche settimana Fiorello e La Russa hanno riconciliato la satira con la politica, hanno dato una lezione di gusto, di talento, di misura. Il pericolo è che La Russa, dopo essersi guadagnato un passaporto per la simpatia, ci creda un poco troppo, e che si convinca di aver scoperto, con la favola Andersen, il travaglio necessario al bello per “rivelarsi” dal brutto. Va dicendo infatti: “Che posso farci se sono simpatico?”. Insomma il pericolo è che ora Gnazio chini il collo e davvero veda nell’acqua, anziché la solita sgraziata immagine del brutto anatroccolo, quella, digiamolo, del candido cigno» (Francesco Merlo, “Corriere della Sera” 14/5/2002) • Fratello di Romano.