Varie, 4 marzo 2002
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Lafontaine Oskar
• Saarlouis (Germania) 16 settembre 1943. Politico. Leader del partito di estrema sinistra ”Die Linke”. In politica dal 1974, divenne sindaco del suo paese Saarbrücken per nove anni. Dal 1985 al 1998 fu primo ministro del Saarland tra le file del Spd, il partito socialdemocratico. Nel 1990 fu il candidato cancelliere dell’Spd ma perse le elezioni contro il cristiano-democratico Helmut Kohl. Nel 1995 fu nominato segretario della Spd e portò il partito a vincere le elezioni del 1998 con Gerhard Schröder. Nel nuovo governo Lafontaine fu nominato ministro delle Finanze. Dopo un anno si dimuse dal governo e da tutte le cariche nel partito attaccando duramente la politica riformista e troppo liberista dell’esecutivo. Nel 2005 fondò il movimento Lavoro e giustizia sociale-Alternativa elettorale. Il movimento si è poi alleato con il Pds, il partito di sinistra tedesco, dando vita a Die Linke, letteralmente ”la sinistra” • «Alla fine si è ritrovato in piazza. Come quando era già il più giovane borgomastro di una grande città tedesca e stella in ascesa della Spd, allora al governo, ma non esitava a sfilare contro gli euromissili e contestare prima il ”suo” cancelliere, Helmut Schmidt, accelerandone di fatto la caduta, poi il successore, Helmut Kohl. fatto così. La piazza, l’opposizione fisica, anche se mai violenta, i cortei e le azioni esemplari, hanno per lui un fascino irresistibile. A dispetto degli anni, dei ruoli, della lezione di tante battaglie perdute, dei mille discorsi sulla sinistra di governo; a dispetto perfino delle contraddizioni. L’ex ministro delle Finanze e leader della socialdemocrazia tedesca ha aderito ad Attac, il fulcro non violento e più sofisticato del movimento antiglobalizzazione, sigla che raccoglie decine di gruppi in una trentina di Paesi e che vanta 55 mila aderenti. […] Colui che i giornali popolari britannici, ai tempi della sua breve esperienza ministeriale, definirono ”l’uomo più pericoloso d’Europa”. C’è una coerenza, romantica e inutile, nella tenacia con cui il Napoleone della Saar ama periodicamente sfidare la Storia, rimettersi in discussione, fare la cosa (per lui) giusta, mandare in aria in un solo momento anni di pazienti costruzioni politiche, sfidare l’opinione pubblica. Gli euromissili, chiesti all’origine dallo stesso Schmidt, furono soltanto l’inizio. Nel 1990, a Muro di Berlino appena caduto, ebbe l’ardire di remare contro l’unificazione tedesca, già benedetta dal suo mentore, Willy Brandt. Pagò caramente quella posizione. Sul piano personale, evitando di poco la morte sotto i colpi di un pazzo, che lo pugnalò alla gola durante un comizio elettorale. E su quello politico, portando la Spd, da candidato alla cancelleria, alla più disastrosa sconfitta del Dopoguerra. Cinque anni dopo, stanco della gestione incolore e moderata di Rudolf Scharping, il suo successore alla guida della Spd, tornò in alto. Con un solo discorso, forse il più bel discorso della sua vita, incantò la platea dei delegati al congresso di Mannheim. Rieletto al vertice del partito, costruì il suo capolavoro, domò la rissa interna, spianò la strada alla vittoria di Gerhard Schröder, diventò il più potente superministro delle Finanze nella storia della Repubblica. Gli furono fatali la convinzione che la politica debba guidare l’economia e non viceversa, la certezza manualistica di possedere la formula magica per combattere la disoccupazione, aumentando i salari, tassando di più le imprese, costringendo d’imperio la Bundesbank ad abbassare i tassi d’interesse. Ma anche lì, avrebbe potuto pragmaticamente adattarsi. Invece, quando si accorse che troppi erano i vincoli interni ed esterni alla sua libertà di azione, scelse il colpo drammatico e plateale. Si congedò dal potere, lasciò ogni carica, perfino il seggio in Parlamento. Con l’adesione ad Attac, mostra ancora una volta di non essere cambiato. Da ministro, chiedeva un impossibile controllo mondiale delle fluttuazioni monetarie. Da militante, sceglie la causa della ”Tobin Tax”, la tassa sulle transazioni finanziarie internazionali, proposta inizialmente nel 1972 dall’omonimo economista e Nobel americano, che è diventata un po’ la Terra Promessa del movimento antiglobalizzazione. E soprattutto, il tribuno socialdemocratico conferma ancora una volta di non capire e non accettare i tempi della politica, di preferire le soluzioni belle e impossibili. Certo, nessuno, neanche lui è perfetto. E appartiene probabilmente all’umana debolezza il fatto che il suo massimalismo ideologico e idealistico possa conciliarsi con i lauti compensi che riceve dal gruppo editoriale Springer, paladino dei moderati e nemico giurato del movimento antiglobalizzazione. Il nostro, infatti, è editorialista di punta di ”Welt am Sonntag” e ha pubblicato con la casa di Amburgo il suo livoroso libro di memorie, nel quale salda il conto con Schröder. Non è chiaro se, al momento di iscriversi, quelli di Attac gli hanno chiesto spiegazioni» (Paolo Valentino, ”Corriere della Sera” 13/8/2001).