Varie, 4 marzo 2002
LANTE DELLA ROVERE Lucrezia
LANTE DELLA ROVERE Lucrezia Roma 19 luglio 1966. Attrice • «Stimabile carriera, che però ancora non le ha dato la popolarità. ”Non ho mai fatto cose da grandi numeri, non ho mai avuto una strategia né ho definito un tipo di ruolo. E rifiuto le ospitate in tv, mi vergogno. Penso di non essere vista come simpatica, la mia timidezza è scambiata per alterigia. E il cognome fa pensare a una che vive nei palazzi, viziata, con la carrozza sotto casa, che non ha bisogno di lavorare, in realtà anche mia madre ha sempre lavorato [...] ho fatto il Centro Sperimentale, ma non sono mai stata una studentessa modello. Sono andata via di casa per bisogno di indipendenza e perché la famiglia mi ha sempre spinto a lavorare. Il primo passo di attrice è stato un provino con Monicelli per Speriamo che sia femmina e poi ho avuto la fortuna del teatro, ho cominciato con Quartullo e ho sempre lavorato [...] I quattro anni di teatro con Barbareschi sono stati importanti, anni di formazione con scontri e sofferenza, ma dopo ho capito che mi ero fortificata, ero padrona di me stessa. Poi con Emanuela Giordano ho scoperto la complicità femminile, con lei e con Dodi Conti è stato un bel lavoro di scambio, ho scritto una commedia, ho fatto l’imprenditrice, da sola non l’avrei mai fatto [...] Mi piacciono le cose che fa Meg Ryan, la commedia leggera che in Italia non è frequente» (Maria Pia Fusco, ”la Repubblica” 2/8/2004) • «Sono secca e lunga, ho un fisico aristocratico e non ho l’anima popolare, non sono Sabrina Ferilli, sorrisi e pacca sulla spalla ”e ’nnamo” [...] Mio padre fino a quando avevo 18 anni non poteva permettersi il telefono e faceva attenzione allo scaldabagno per le bollette. [...] Era impiegato al cinema Rouge et Noir di Roma, prendeva un milione 200 mila lire al mese [...] La mia famiglia è nobile, ma mia nonna durante la guerra s’è ritrovata sette figli da tirar su e il marito scappato con un’altra donna. Papà è cresciuto a Villa Lante a Bagnaia, vicino Viterbo. Poi hanno dovuto vendere la villa e... [...] A un certo punto papà non ce l’ha fatta, è rimasto vittima del suo passato, della sua fragilità. I miei erano separati e sono cresciuta per metà in una situazione di povertà. per l’altra metà con mia madre che mi mandava a studiare in America [...]» (Valerio Cappelli, ”Sette” n. 43/1997).