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 2002  marzo 04 Lunedì calendario

Lelouch Claude

• Parigi (Francia) 30 ottobre 1937. Regista. Palma d’Oro a Cannes nel 1962 con Un uomo e una donna. «Adoro le storie d’amore, soprattutto quelle vere. Per natura sono molto diffidente, mi rilasso solo quando mi innamoro. Almeno finché non iniziano i sospetti e i tradimenti. Una storia d’amore per me è una vacanza a termine, per questo la racconto come un thriller […] Dieci anni fa ha bussato al mio ufficio un tale Valentin - racconta il regista -. Voleva consegnarmi una busta con dentro 50mila franchi. Sosteneva di avermeli rubati qualche anno prima dalla cassaforte della mia società. In seguito, colpito da un tumore al cervello, prima di entrare in sala operatoria, si era ripromesso che, se fosse sopravvissuto all’intervento chirurgico, avrebbe risarcito tutte le persone derubate. Tenga pure i soldi, gli ho risposto, piuttosto le compro l’idea. Prima o poi ne farò un film» (G. Ma., “Corriere della Sera” 27/5/2002) • «[...] un giocoliere della verità, un maestro della dissimulazione. Affabulatore sperimentato, ha fatto della sua naturale eloquenza un podio di sentenze a effetto speciale [...] mago e charmeur del cinema francese [...] adorato dalle sue prede - gli spettatori -, detestato o irriso dagli immuni: gli altri registi e i critici. [...] “[...] Non mi reputo infallibile. Di tutti i film che ho realizzato, una buona parte ha avuto grande o medio successo, la parte residua è stata una catastrofe. Ogni volta mi sono rialzato. Anzi, sono convinto che sono stati i film meno riusciti, non i più acclamati, a darmi la spinta per andare avanti [...] Io ho sempre lasciato entrare la realtà nel mio mondo e dunque nel mio cinema. Ci sono autori che non aprono la porta alla vita nei loro film, che raccontano solo le proprie storie, chiudendosi in laboratorio, come Bresson o Godard. Altri, come Sautet e io, lasciano scivolare nelle proprie esperienze le vicende degli altri. È la vita il personaggio principale, il protagonista vero di tutti i miei film. Altri registi, come Antonioni, devono spogliarsi della realtà quotidiana per esprimere se stessi. Io no. Se devo girare una scena con un’automobile in strada, l’automobile sarà vera, sarà vera la strada. Per far entrare nel film quel che l0automobile e la strada ci regaleranno il giorno delle riprese. La vita è maestra di regia, molto superiore a me: io ne sono un goloso vassallo-vampiro [...] La realtà è una macedonia di generi, come vogliono essere i miei film. Se al bar vedo una bella ragazza, la vita mi si trasforma in film sentimentale. Se con lei ascolto dischi, diventa musical. Se la sera ci vado a letto, siamo subito al porno. Un film dovrebbe contenere tutte queste possibilità. Se si restringe a un solo genere, si autocensura, si priva delle possibilità che ha a portata d’occhio [...] la musica è quanto di meglio s’indirizza all´inconscio, alla irrazionalità, che è la parte migliore di noi stessi. Non parla alla intelligenza, di cui mi fido meno: la razionalità è limitata, è funzionale soprattutto al business. Esistono migliaia di corsi, di scuole per misurare e sviluppare l’intelligenza. Non ce n’è una per misurare e sviluppare l’inconscio. Attraverso la musica mi rivolgo non all’intelligenza che provoca riso o lacrime, ma all’inconscio dello spettatore [...] Ogni mio film si costruisce come una spirale: o ci si entra o si resta fuori. Io stesso sono così: o tutto o niente. O amo o non amo. Sono sempre all’estremo. La parola "medio" non esiste nel mio vocabolario. A ben guardare, non c’è un solo piano medio nei miei film: o primi piani o totali [...] I figli e i film sono quel che so fare meglio [...]”» (Mario Serenellini, “la Repubblica” 21/10/2007).