Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  marzo 04 Lunedì calendario

Lewis Lennox

• West Ham (Gran Bretagna) 2 settembre 1965. Ex pugile. Fu campione del mondo dei pesi massimi • «Campione sobrio alto quasi due metri, uomo generoso pesante 115 chili. [...] Londinese di madre giamaicana cresciuto in Canada» (Corrado Zunino, “la Repubblica” 23/4/2001) • «Gli dobbiamo una bella battuta: “L’avversario che mi ha fatto più male? Mia madre. Mi ha colpito con un gancio destro perché da ragazzo avevo lasciato i vestiti in disordine”. Una passione insolita per i pugili: gli scacchi. E gli dobbiamo una bella boxe, anche se non molto aggressiva. [...] Ha vinto Tyson, ha sconfitto Holyfield. [...] Ha perso poco: solo due incontri su quarantaquattro in 14 anni di carriera. È stato un peso massimo grosso e alto, un gigante dal viso dolce e dalla voce morbida, un ragazzone un po’ orso, difficile da far imbestialire. Nato a Londra, emigrato in Canada, gioventù difficile, oro ai Giochi di Seul nell’88, quindi passaporto inglese, Lewis ha avuto il torto di non convincere mai nessuno. Per gli americani sul ring era troppo indolente e vigliacco, per gli inglesi era estraneo alla loro tradizione, in più aveva l’accento canadese. E soprattutto loro amavano l’istrionico Frank Bruno. Almeno li faceva ridere. Lewis invece stava per conto suo. Quando mai si era visto un peso massimo dedicarsi nel tempo libero a uno sport riflessivo come gli scacchi? Angelo Dundee, mitico allenatore di Alì, l’aveva bollato così: “Ti fa molto male, ma a livello di pancia non è granché”. Stava a significare che il ragazzo aveva tutto: picchiava con colpi devastanti, soprattutto con il sinistro, accompagnato da grande intuito. Solo che gli mancava la voglia di essere sempre e comunque guerriero. Non a caso i pochi incontri persi erano per l’indifferenza agonistica, perfino lo slogan scelto e che portava scritto sul berrettino non era da macho: fotti la paura. Lennox andava stuzzicato, infastidito, provocato. Allora sì che si scatenava. Ci riuscì Tyson che alla presentazione dell’incontro provò a morderlo e fu subito rissa da saloon in grande stile. Poi sul ring vero nel giugno del 2001 Tyson fu punito, molto e duramente. Non ci fu storia e tutto finì all’ottavo round. Proprio un tipo tranquillo Lewis. Lontano da ogni esaltazione. Nemmeno una riga sulla sua vita privata. “Non m’interessa che i giornali scrivano con chi esco”. L’ultimo combattimento, a giugno 2003, fu contro l’ucraino Vitaly Klitschko, sconfitto per kot alla sesta. [...] A giudicare dallo sguardo terrorizzato con cui guardava sempre sua madre, una donna piccolina, con due braccia da scaricatore di porto, sembrava che Lennox fosse finito sul ring perché quello era l’unico posto dove lei non poteva andare a cercarlo» (Emanuela Audisio, “la Repubblica” 7/2/2004).