varie, 4 marzo 2002
LIPPI
LIPPI Marcello Viareggio 12 aprile 1948. Allenatore. Dal luglio 2008 ct della nazionale, carica già ricoperta dal 2004 al 2006, quando condusse gli azzurri al quarto titolo mondiale. Con la Juventus vinse cinque scudetti (1994/1995, 1996/1997, 1997/1998, 2001/2002, 2002/2003), una Champions League (1995/1996, arrivando in finale anche nel 1997, 1998, 2003), una coppa Intercontinentale (1996), una Supercoppa europea (1996), una coppa Italia (1994/1995), quattro supercoppe italiane (1995, 1997, 2002, 2003). In mezzo alle due esperienze bianconere, una sfortunata parentesi all’Inter. Ha guidato anche le giovanili della Samp, Pontedera, Siena, Pistoiese, Carrarese, Cesena, Lucchese, Atalanta, Napoli • «" troppo bello per diventare qualcuno nel calcio" aveva sentenziato Fulvio Bernardini che pure lo fece debuttare in serie A. [...] Papà Salvatore pasticciere, mamma Adele sarta. Era il figlio di mezzo di tre, una sorella, un fratello minore [...] La sua prima squadra si chiamava [...] Stella Rossa. Aveva un anarchico per allenatore, Ilario Niccoli, detto "Carrara" [...] Gli procurò un provino con la Sampdoria. Marcello aveva 16 anni. [...] Restò a Genova per 16 anni. Scoprì la serie A [...] Un libero moderno, dotato di buona tecnica, capace di costruire e anche di segnare. Realizzò un bel gol anche a San Siro contro l’Inter. Presto esordì in nazionale, nell’under 23, il 17 febbraio 1971, a Bari: Italia-Israele 2-0 [...] Dopo 239 partite in maglia blucerchiata, Giorgis non lo volle più [...] Allora, nel ’79, passò alla Pistoiese e provò l’ebbrezza della promozione in serie A. Dopo tre anni alla Pistoiese e l’ultima stagione alla Lucchese, dopo il supercorso di Coverciano, Mantovani lo rivolle alla Sampdoria e gli affidò la panchina della Sampdoria. Era il 1984. [...] Pontedera, Siena (primo esonero), Pistoia, Carrara. Nel 1989, con il Cesena, scoprì la serie A come allenatore. Conquistò la salvezza. Ma l’anno successivo, alla 17ma giornata Edmeo Lugaresi lo sostituì. Lippi ricominciò dalla Lucchese. Ritrovò la A con l’Atalanta. Fece bene a Napoli. Nel 1994 ebbe l’investistura: la panchina della Juventus. [...]» (Claudio Gregori, "La Gazzetta dello Sport" 26/6/2004). «Io so di essere un tecnico segnato. Non si può stare tanto tempo come me alla Juventus e non finire per farne profondamente parte. La verità è che io sono ormai juventino nei cromosomi, dovunque mi capitasse di andare. E l’ho capito da tanto tempo. Sapevo che era quasi impossibile tornarci, per questo è stato straordinario che sia accaduto […] Ho avuto molti avversari, tantissimi attacchi, anche ingiustificati, ma ho spesso reagito male. Non mi piacevo. Mi sono detto che se avessi avuto un’altra occasione non l’avrei sprecata a litigare […] Gli schemi sono tutti validi. Le idee anche. […] Non è il tipo di gioco ad essere fondamentale. La cosa più importante è avere 23-24 giocatori, tutti bravi. Questo è decisivo: che siano tutti bravi. Poi giocherai il calcio che meglio si adatta alla squadra cha mandi in campo» (Mario Sconcerti, ”Guerin Sportivo” 14/5/2003). «Un conto è gestire giocatori di serie B e un altro giocatori di 15 nazionalità diverse, gente da 5-10 milioni di euro l’anno. Chi non l’ha provato, non se ne può rendere conto. Allenare la Juve non è così facile [...] Le mie battaglie più grandi hanno sempre avuto come traguardo quello di incrementare nei miei giocatori la consapevolezza della propria forza, quasi a raggiungere la presunzione. [...] Se si è alla costante ricerca della propria forza, significa che non esiste la sensazione di potere [...] Lo stile-Juve è una favola e non ha nulla da spartire con il potere e l’arroganza. Lo stile- Juve è organizzazione e severità nelle regole di comportamento [...] Quando, da giocatore, andavamo a Torino contro la Juve oppure a San Siro, la sensazione era che gli avversari prima o poi ci avrebbero fatto gol. Con i loro grandi giocatori e con qualche altro aiuto. Il fatto è che di tutte le squadre che vincono per 4- 5 anni di fila si dice che siano aiutate dagli arbitri [...] Dicono che sono arrogante, presuntuoso e permaloso. Ma ci sono abituato. Prima di arrivare alla Juve nessuno mi descriveva in questo modo. Poi però, quando ho incominciato a vincere... La verità è che per certe cose conta il contatto diretto. Non ha idea in quanti, dopo avermi conosciuto da vicino, mi dicono ”non pensavo fosse così’ [...] Fondamentalmente allenare mi piace ancora. Mi sento attratto da questo lavoro e dalle emozioni che mi dà, inclusi gli stress [...] Il mare. Il mare è la mia valvola di sfogo. La pesca, una semplice mareggiata [...] Preferivo i Beatles ai Rolling ma ho vissuto soprattutto le mitiche stagioni della Versilia, i primi anni Sessanta, quelli del boom economico. Il direttore di sala della ”Bussola’ era mio cugino e mi faceva entrare gratis, in caso contrario non me lo sarei potuto permettere. Ascoltavo Mina, Celentano, Aznavour. Sono stati anni bellissimi» (Alberto Costa, ”Corriere della Sera” 11/8/2003). «Napoli è una delle sedi in cui ho lavorato meglio. Mi ci sono trovato subito benissimo, anche perché io sono nato in riva al mare e a Napoli abitavo in un piccolo appartamento affacciato sulle acque di Posillipo, da dove scorgevo Ischia, Capri e il Vesuvio. Un paradiso […] Chiunque faccia l’allenatore sogna di arrivare un giorno alla guida della nazionale. Non troppo presto però. Io vorrei combinare ancora qualcosa di buono in squadre di club prima di mettermi in fila per succedere a Trapattoni» (’Corriere della Sera” 10/2/2001). Roberto Perrone, ”Sette” n. 20/1998).