Varie, 4 marzo 2002
LIZZANI
LIZZANI Carlo Roma 3 aprile 1922. Regista • «[…] due nonni garibaldini, figlio di Mario, commercialista, giornalista e fotografo dilettante, di famiglia repubblicana e ”tiepidamente antifascista”. […] ”Mio padre non immaginava che fra il 1942 e il ”44 da casa erano passati tutti i capi del partito comunista clandestino: perfino Luigi Longo, alla vigilia dell’8 settembre. Avevo spacciato Trombadori, Mario Alicata, Pietro Ingrao, più grandi di me, per assistenti universitari. Finché un giorno, mio padre incrociò Giorgio Amendola che, con il suo fisico imponente, quasi non entrava dalla porta, ”e questo chi è?’, domandò, inventai che si trattava di un produttore cinematografico. Dopo l’8 settembre, piombarono a casa come furie Maurizio Ferrara, Vasco Pratolini, Emilio Vedova, Giulio Turcato, a chiedere armi. Mostrai le mie uniche armi nascoste: i manifestini di Alicata” . Uno di noi, un comunista. Trombadori è amico di Rossellini, che aveva appena trionfato con Roma città aperta, mettendo al centro della vicenda il sacerdote partigiano interpretato da Aldo Fabrizi, sa che il regista è vicino alla Dc. Troppo vicino? Meglio affiancargli Lizzani, iscritto al Pci, giornalista cinematografico e militante, che infatti vien promosso sul campo aiuto regista e sceneggiatore di Germania anno zero. Ha anche il compito di vigilare sul film e sui suoi contenuti: ”mi impegnai a riferire ad Antonello – per lettera – tutto quello che succedeva”. A Parigi, ”Rossellini era il re. Marlene Dietrich era pazza di lui, cenavamo con Jean Gabin, Edith Piaf, Jean Paul Sartre. A Berlino erano solo macerie, c’era ancora odore di cadaveri dappertutto. Riuscimmo a filmare il dramma tedesco, senza interruzioni, fra strade divelte e piazze bombardate. Conobbi là mia moglie Edith, tedesca antinazista, che ci face capire l’altra Germania”. Intanto, Rossellini vorrebbe accanto a sé la sua donna di allora, Anna Magnani. Lei invece, lo chiama a Roma. ”Aveva paura degli aerei – sorride Lizzani – e lo tormentò. Diceva: ”che vengo a fa’ a Berlino, la fame? N’abbiamo già fatta tanta!’ Tra una litigata e l’altra, ho avuto la fortuna di girare io da solo alcune scene […] Mi sono servito del cinema per capire la realtà, mi sono anche molto divertito”. Da attore a storico, da regista a professore: ha giocato in tutti i ruoli con le immagini. Ha diretto la mostra di Venezia fra il 1979 e il 1983, riuscendo a dilatare i tempi cinematografici, proiettando al festival il Fassbinder di Berliner Alexanderplatz, 12 ore, e la versione integrale del viscontiano Ludwig, 5 ore. Ha lavorato anche per la tv […] I suoi film, dai primi come Achtung banditi!, proiettato in anteprima davanti a Togliatti in una sala della Lega delle Cooperative a Cronache di poveri amanti, al Processo di Verona con una straordinaria Silvana Mangano che interpreta Edda Ciano, intrecciano le due anime del regista. ”Ma la mia carriera politica finì presto, per fortuna. Nell’inverno fra il ”43 e il ”44 avevamo fondato un Cln giovanile, un comitato di liberazione studentesco e facevamo un giornale clandestino, ”Gioventù nuova’, che stampavamo nella tipografia della madre del giornalista Emanuele Rocco, alle spalle di via del Tritone. Al momento della svolta di Salerno di Togliatti, feci un errore imperdonabile: relegai la notizia in due colonnine basse. Fui quasi processato da Ingrao e Alicata e costretto a rimediare – di malavoglia – con il numero seguente, titolo a tutta pagina, per recuperare quella che fu definita una terribile gaffe. Capii poi che non ero adatto alla vita di partito quando in via Nazionale, nella nostra sede, arrivò Enrico Berlinguer (Lizzani girerà, quaranta anni dopo, nel giugno 1984, il film dei funerali del segretario comunista, ndr ): lavoravamo insieme nel movimento giovanile, ma non avevo la sua stessa pazienza, la capacità di parlare per ore, di stare al tavolo da lavoro anche un’intera giornata”. Neorealismo ed egemonia culturale comunista sembrano camminare insieme: i produttori si allineano e scelgono di finanziare anche i film impegnati e difficili che raccontavano la nuova società. ”Ragioni di mercato – spiega Lizzani – in quegli anni si staccavano 800 milioni di biglietti all’anno […]. Ci aiutava e ci sosteneva la legge Andreotti, benemerita, magari averla oggi. Tassava i film stranieri e offriva ai nostri produttori i ”buoni di doppiaggio’, rimborsava in anticipo le tasse erariali, costringeva i distributori a tenere in cartellone una quota di pellicole italiane”. Associati forse più dalla dolce vita intellettuale che dalle organizzazioni sindacali di categoria, che pure esistevano e che il geniale Trombadori aveva ricalcato dal modello fascista del Cineguf (l’associazione degli studenti universitari fascisti, ”cui veniva praticato lo sconto al Barberini, da 7 a 3 lire, una pacchia”), creando il ”circolo romano del cinema”, poi Associazione nazionale autori cinematografici, in realtà registi attori e produttori non sono proprio tutti comunisti. ”Ma la sinistra li difende dalla censura, li protegge dagli attacchi dei giornali: basta andare a rileggere un articolo del Messaggero del 1954, dove venivano definiti come comunisti il socialista Monicelli, l’anticomunista Germi, il saragattiano Lattuada – uno che non scioperò un minuto neppure il 14 luglio del 1948, dopo l’attentato a Togliatti, mentre giravamo Il mulino del Po e tutto il Paese si fermò – , il lontanissimo Michelangelo Antonioni, il moderato Vittorio De Sica. Per non parlare di Blasetti, Rossellini, Soldati e degli emergenti Bolognini e Fellini. Fra il 1953 e il 54, per contrastarci, ci fu una sorta di maccartismo nostrano”. Il miracolo di allora, impensabile oggi, è che gli autori riescano a lavorare tutti insieme: ”Andate a rileggere le liste degli sceneggiatori dei grandi film italiani, è un elenco che non finisce mai. Ricordo le discussioni interminabili, una volta Antonioni e De Santis si fermarono per giorni perché Antonioni voleva accennare a un rapporto omosessuale fra donne e De Santis non voleva. […] Sa chi ha progettato il primo film occidentale sulla Cina di Mao? I due produttori della grande commedia all’italiana, Carlo Ponti e Dino De Laurentiis. Mi spedirono in Cina nel 1957 per girare un documentario con questa promessa: ”Faremo scrivere il testo da Hemingway’, io partii. Poi sparirono sia lo scrittore sia i due produttori. Ma l’idea andò avanti e sono stato due anni là per realizzare La muraglia cinese, incontrai a Pechino in ospedale Curzio Malaparte, lui cantava le lodi della rivoluzione e donò perfino ai cinesi la sua villa di Capri. Io capii, invece, che la rivoluzione che avevo sognato era destinata a fallire: 700 milioni di contadini poveri non avrebbero mai cambiato le regole del mondo capitalista, mai fatto crollare le metropoli occidentali. E, nelle mie lettere puntuali ad Antonello Trombadori, raccontai la mia delusione”» (Barbara Palombelli, ”Corriere della Sera” 19/3/2005). «Nella sua lunga carriera iniziata una sessantina d’anni fa come ”aiuto’ di Blasetti e De Sica, ha consolidato la propria vocazione al cinema di ricostruzione, di denuncia, di impegno sociale. Ha diretto i massimi attori italiana, da Gian Maria Volonté a Ugo Tognazzi, da Gina Lollobrigida a Giovanna Ralli, da Silvana Mangano a Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, Giulietta Masina. a pieno titolo uno dei padri fondatori del nostro cinema» (Gloria Satta, ”Il Messaggero” 29/12/2001). «Quando ero ragazzo, ottant’anni sembravano un orizzonte di tipo galattico. Invece ci sono arrivato più velocemente del previsto […] Non posso lamentarmi, so che avrei potuto raggiungere vette più alte nel cinema se avessi seguito un solo sentiero. Ho fatto un cinema popolare, mi sono cimentato con tutti i tipi di personaggi, mi sono divertito, il cinema mi ha portato in Africa, in Cina, in America. Forse mi sono servito del cinema per vivere con maggiore intensità, ma non ho mai messo la mia vita al servizio del cinema. E non ho tralasciato altri interessi, la saggistica, la scrittura, gli incarichi in varie strutture […] Alcuni film li amo più di altri, Cronache di poveri amanti per esempio, Il processo di Verona, Fontamara, Celluloide, Banditi a Milano, che è stato anche il più commerciale. Poi c’è il primo, Achtung Banditi, era il primo film completo sui partigiani, sulle loro tecniche e soprattutto c’era la fabbrica, un collegamento tra operai e Resistenza che, a parte I compagni di Monicelli, pochi hanno raccontato. Però il film più amato resta Lo svitato con Dario Fo, il figlio sfortunato, aveva un linguaggio troppo in anticipo sui tempi […] Sogni? Tanti. Vincenzoni mi ha proposto una storia su Carnera, una figura che ha risvolti poco noti e affascinanti. Mi piacerebbe un film da Nievo, Le confessioni di un italiano, e un altro sogno nel cassetto è Vinca il migliore, vorrei raccontare l’ultima riunione della giuria di un festival, chiusa in una nave: sarebbe un divertente spaccato di umanità» (Maria Pia Fusco, ”la Repubblica” 3/4/2002).