Varie, 5 marzo 2002
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Makhmalbaf Mohsen
• Teheran (Iran) 29 maggio 1957. Regista • «Molti anni fa, quando ancora l’Iran si chiamava Persia e al potere c’era lo scià, un giovane rivoluzionario di 17 anni, capo di un piccolo movimento di guerriglia, si armò di un coltello e cercò, in piena Teheran, di disarmare una guardia, con il progetto poi di svaligiare con quell’arma una banca e finanziare così il suo gruppuscolo rivoluzionario. L’ avventura costò al ragazzo un colpo di pistola allo stomaco e quattro anni e mezzo di carcere. La rivoluzione di Komeini lo liberò e lo trasformò in un leader culturale. In un personaggio continuamente - e abilmente - dissenziente. E in una superstar dell’Iran moderno e del cinema internazionale. Ora, il ragazzo che aveva lasciato la scuola a 11, ha al suo attivo quindici film e ventotto libri, è il motore di una casa di produzione di grande successo, e il capo di un clan familiare attivissimo e brillante. Sua figlia Samira ha fatto tre film premiatissimi [...] Hana a 8 anni ha debuttato al Festival di Locarno con un corto (Il giorno che la zia si è ammalata) [...] Il fratellino piccolo, Maysam, a 10 anni ha realizzato un documentario intitolato Come Samira ha fatto ’Lavagne’ - e cioè il secondo film di Samira dopo il debutto con La mela. E Marzieh Meshkini - che è la seconda moglie di Mohsen, la sorella della sua prima moglie morta tragicamente e la madre del bambino più piccolo - ha debuttato, almeno lei, in età adulta, dopo aver visto, per sua ammissione, ben poco cinema, ma con ottimi risultati, in un film intitolato The day I became a woman, che è finito dritto dritto al festival di Venezia. Bisogna ammettere che, benché si siano viste passare nel mondo del cinema molte grandi dinastie di tono e stili diversi - dai Barrymore ai Redgrave, dai Chaplin ai De Filippo, dai Barrault ai Cervi e ai Douglas - la famiglia Makhmalbaf è, in assoluto, la più stupefacente. Makhmalbaf dopo il successo di Viaggio a Kandahar, giunto sugli schermi con sconvolgente tempestività a parlare della guerra in Afghanistan, si è dedicato soprattutto alla produzione, aiutando per esempio il più importante regista afgano, Siddiq Barmak, a realizzare il suo film Osama, presentato con successo a Cannes, e producendo una serie di corti afgani, i primi del dopoguerra. [...] Un uomo orchestra. Un padrino culturale. Un centro di potere sempre sull’ orlo del dissenso. La base operativa di tutta questa frenetica attività si chiama Makhmalbaf Productions e si trova in una stradina riparata del centro di Teheran. La ”ditta” è nata nel 1995, ai tempi in cui, rievocando l’ avventuroso episodio della sua giovinezza, Makhmalbaf girò Pane e fiore, dove compare il poliziotto che aveva accoltellato da ragazzo e che un bel giorno di molti anni dopo arrivò da lui chiedendogli un ruolo in un film. Per Pane e fiore il ministero della cultura chiese dei tagli che Makhmalbaf non era disposto a fare, e il film non venne distribuito. Come ripagare i finanziatori? Mohsen convocò la famiglia per una riunione d’ emergenza e furono tutti d’ accordo: si sarebbe venduta la casa di famiglia. Per fortuna il film, distribuito all’estero, ha guadagnato e i finanziatori occidentali si sono moltiplicati. Da quella volta, la casa ha rappresentato il capitale con cui sono stati fatti i film di Makhmalbaf, continuamente messa sul mercato e recuperata con gli introiti delle produzioni. Un metodo non certo unico ma originale: e una garanzia per Makhmalbaf padre, che considera la casa di famiglia l’assicurazione contro qualsiasi attentato alla sua integrità artistica. Anche dal punto di vista educativo il clan Makhmalbaf sfida la tradizione. Poco importa la scuola, dice babbo Mohsen - comprensibilmente, visto che lui l’ha lasciata a 11 anni. è più importante quello che s’impara dalla vita. Risultato: Hana e Samira hanno abbandonato la scuola tradizionale e hanno imparato tutto quello che sanno a casa e facendo cinema con il padre e con tutti coloro che entrano nel cerchio del clan Makhmalbaf. Senza gerarchie precostituite: Marziyeh, che era una geologa, ha cominciato il suo lavoro nel cinema dopo Samira come assistente della figliastra. Lui fa da montatore e producer alle figlie. Mentre la ”ditta” familiare rappresenta una forza poderosa e si batte generosamente per la causa dell’alfabetizzazione: prima con una serie di scuole per i profughi curdi, recentemente per i rifugiati afgani. Bisogna ammirare la grinta di un clan che sta reinventando i rapporti familiari e il modo di produrre cultura» (Irene Bignardi, ”la Repubblica” 24/6/2003).