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 2002  marzo 05 Martedì calendario

MALDINI

MALDINI Paolo Milano 26 giugno 1968. Ex calciatore. Figlio di Cesare. Tutta la carriera nel Milan, squadra con la quale ha esordito in serie A sedicenne, ha vinto sette scudetti (1987/88, 1991/92, 1992/93, 1993/94, 1995/96, 1998/99, 2003/2004), cinque coppe dei Campioni/Champions League (1988/89, 1989/90, 1993/94, 2002/03, 2006/07), due coppe Intercontinentali (1989, 1990), un Mondiale per Club (2007), una Coppa Italia (2002/2003) ecc. Con la nazionale è stato vicecampione del mondo nel 1994, terzo nel 1990 (ha partecipato ai mondiali anche nel 1998 e nel 2002), vicecampione d’Europa nel 2000 (126 presenze in tutto, record battuto da Fabio Cannavaro il 12 agosto 2009). Terzo nella classifica del Pallone d’Oro 1994 e 2003, 7° nel 1995 e nel 1993, 10° nel 2000, 14° nel 1992, 22° nel 1996, 23° nel 1989, nomination anche nel 1999 e nel 2002 • «Partirei dal settembre ´78, dal mio primo giorno di Milan. Avevo 10 anni e la mia unica esperienza era il campetto dell´oratorio. Arrivo al campo di Linate accompagnato da mio padre e mi chiedono da quale squadra vengo. Nessuna, rispondo. Allora in che ruolo giochi? Nessuno, ripeto. La mia carriera è cominciata proprio così» (Enrico Currò, ”la Repubblica” 27/7/20003). «Era freddo quel giorno, le scarpe erano strette e i piedi facevano male. Ma erano piedi buoni e il terzino fece parecchia strada. Gennaio 1985, Udine, una città che tanti anni dopo diventò fondamentale per lui e per il suo sesto, e fin qui ultimo, scudetto. Udine che è vicino ai posti di casa, alla Trieste di Cesare che aveva già vinto tanto con il Milan e che rendeva imbarazzante la carriera del bambino. Meglio, avrebbe reso imbarazzante la carriera di un ragazzino normale; non la sua. Dunque, il 19 gennaio 1985 ha sedici anni e Liedholm decide di farlo esordire. Si allena a Milanello con le scarpe prestate da un compagno, perché quelle giuste per quel gelo le aveva lasciate a casa, erano di due numeri più piccole e il giorno dopo, quando si mise a sedere in panchina, sentì che qualcosa non andava benissimo. Ma ha una soglia del dolore molto alta, e quella piccola sofferenza era nulla. ”Appena entrai in campo mi passò tutto”. […] ”Ha capacità di recupero eccezionali ed è bravissimo a stringere i denti”, spiegano i medici. Ogni volta ha recuperato in fretta dagli infortuni e quando stava fuori lo ricordavano di continuo, perché uno così il Milan non lo ha ancora trovato. Ha giocato il suo primo derby a 17 anni […] Ha messo la fascia di capitano del Milan quando Baresi l’ha lasciata, nel ”97, e quella fascia per i milanisti ora è una specie di sacro Graal. […] Non è un giocatore normale e ha giocato molte partite a ritmi stellari. Sarà che il suo primo Milan è stato il Milan di Arrigo Sacchi, e il Milan della sua maturazione quello di Capello. Anno difficile, il 1997- 98: Capello torna al Milan con le decorazioni conquistate a Madrid, la squadra gli sembra magnifica, il Milan sembra pronto a tornare quello che vinceva sempre, e tutto, che aveva stritolato il Barcellona di Cruijff in finale di coppa dei Campioni nel ”94, che aveva vinto quattro scudetti eccetera. Ma finisce male, con il naufragio nella finale di coppa Italia, gara di ritorno, contro la Lazio. Aprile 1998, negli spogliatoi dell’Olimpico non volano parole alla De Coubertin: i vecchi sono arrabbiati, Capello è arrabbiato con i vecchi, i giovani non si sono inseriti, gli olandesi di una volta non ci sono più. Si spezza qualcosa e quel qualcosa è molto nella carriera di Maldini: con Capello in panchina Paolo ha vinto 4 scudetti e una coppa dei Campioni, quella che forse più di altre gli è rimasta negli occhi. […] Dunque, a 17 anni il primo derby, a 29 la fascia di capitano, a 31 lo scudetto inaspettato, magari non il più bello, ma prezioso, perché arriva dopo la stagione dello sfascio, le amarezze, il campo di San Siro ridotto a un bancone da bar a fine serata, con bucce d’arancia e bottiglie dappertutto, e desolazione. La stagione ”98, la prima del Paolo Maldini destinato a diventare leader dopo il ritiro di Baresi, è forse la peggiore: finisce appena meglio del Sacchi bis (undicesimo posto dopo il decimo) e con l’idea che il mondo del Milan, quel piccolo mondo nel quale è sempre vissuto, si sia sgretolato del tutto. Invece l’anno dopo arriva una delle più grandi soddisfazioni della carriera: in febbraio a Firenze il Milan pareggia e il capitano dice, non dobbiamo mollare. I mesi successivi gli daranno ragione: la Fiorentina va giù, la Lazio va su, ma il Milan compie una rimonta strepitosa. E’ lo scudetto di Alberto Zaccheroni, è lo scudetto di quei giocatori che si erano sentiti pesantemente sotto accusa e che dopo anni di trionfi erano caduti dalle nuvole; ”97 e ”98 la discesa, ”99 una stagione nuova. Uno dei gol più importanti della carriera arriva proprio in quel finale di campionato: il Milan sta perdendo a San Siro con il Parma, il capitano pareggia nel secondo tempo, Ganz segna il 2 a 1. E’ aprile, comincia la rincorsa. La settimana successiva, il Milan passa a Udine e in pratica è lì che vince il suo sedicesimo scudetto. A maggio, a Perugia, la vittoria e una delle immagini simboliche nella galleria di Maldini: l’abbraccio a Zvone Boban, amico oltre che compagno di squadra. E’ lo scudetto dei non più giovani, dati per consumati ma capaci di reinventarsi. D’altronde, Maldini a reinventarsi quando serve è abituato: per anni difensore di fascia sinistra, gioca, e bene, nella difesa a tre di Zaccheroni, e negli ultimi anni diventa esclusivamente difensore centrale. Ma quando serve torna a sinistra e ricomincia a correre. Anche perché le sue qualità atletiche, come quelle tecniche, sono decisamente superiori alla media e il passare degli anni non le ha appannate affatto» (Alessandra Bocci, ”La Gazzetta dello Sport” 14/3/2003).