Varie, 5 marzo 2002
MAMBRO
MAMBRO Francesca Chieti 25 aprile 1959. Terrorista. Dopo la militanza nei movimenti giovanili missini, all’inizio dell’80 entra nei Nar (Nuclei armati rivoluzionari) di Giusva Fioravanti. Arrestata il 5 marzo dell’82 a Roma (dopo un conflitto a fuoco in cui resta ucciso un passante e lei rimane gravemente ferita), viene condannata a 8 ergastoli per la strage alla stazione di Bologna e per alcuni omicidi, fra i quali quello del giudice Mario Amato (Roma, 1980). In carcere ha sposato Giusva Fioravanti (1985). «’Nella mia vita ho commesso molti errori, ho commesso molti crimini, ho distrutto delle vite...”. [...] con il marito Giusva Fioravanti ha sempre respinto le accuse relative alla strage di Bologna dell’80 [...] Ricorda gli anni in cui ”si moriva per poco”, in cui credeva che ”fosse giusto schierarsi dalla parte dei perdenti, cercando di distruggere il mondo per cambiarlo [...] Ancora adesso mi domando come ho potuto covare un tale carico di vendetta da spingermi a distruggere vite umane [...] Ho subito sentenze ingiuste, ma anche giuste” [...]» (F. Alb., ”Corriere della Sera” 24/8/2004). «Il Movimento sociale era il suo partito... ”Era la mia famiglia, mi ero iscritta a quattordici anni. Poi ho capito. Erano quelli che ci mandavano a fare a botte in piazza sperando che magari ci scappasse il morto, così il giorno dopo il partito poteva chiedere la pena di morte. [...] non volevamo sentirci complici [...] dello Stato. Volevamo dimostrare che la nostra destra non era stragista, che non stava al soldo dei servizi segreti, delle questure [...] stiamo parlando di un tempo malato. Non era normale che un’intera generazione crescesse seppellendo i propri amici. Non era normale che un ragazzo crepasse mentre tornava a casa perché gli sfondavano la testa a colpi di beta 36 [...] Sapevo che la nostra storia era a termine: ammazzati o in galera. Ai più fortunati di noi sarebbe rimasto solo il privilegio di spiegare perché tutto questo era accaduto [...] sono una sconfitta. Ma non mi sento di dissociarmi dalla mia vita e da quegli anni. Ci sono stata dentro, ero consapevole e me ne sono sempre assunta tutte le responsabilità” [...]» (Claudio Fava, ”Sette” n. 39/1998).