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 2002  marzo 05 Martedì calendario

Mamet David

• Flossmoor (Stati Uniti) 30 novembre 1947. Autore. Sceneggiatore. Regista • «Proviene dal mondo del teatro. Qui ha imparato, occorre dire magistralmente, a scrivere dialoghi. Il passaggio al cinema lo ha reso famoso. stato Bob Rafelson a coinvolgerlo nella sceneggiatura del Postino suona sempre due volte, cui seguiranno, fra le tante, quelle del Verdetto e degli Intoccabili. Come regista qualcuno ricorderà lo splendido esordio con La casa dei giochi e fra gli altri film, in tutto nove, Oleanna, La formula, Hollywood Vermont. Il suo cinema è fatto di incastri millimetrici, di geometrie speculari e di colpi di scena. […] Tutto si scompone e si riflette in qualcosa d’altro, purché resti prossimo o vicino. Sicché il cinema di Mamet è l’esatto opposto della lontananza. Nei suoi film tutto è raccolto, vigile, a portata di osservazione. In ultima analisi tutto è molto vicino. C’è una ragione? Sì che c’è, e risiede nel fatto che egli privilegia la parola, il dialogo, la costruzione verbale. Si tratta di esperienze sintattiche che lavorano sul principio della prossimità. I suoi film sono per così dire la negazione del remoto» (Antonio Gnoli, ”la Repubblica” 13/1/2003). «Premio Pulitzer (per Americani, titolo originale Glengarry Glen Ross, pièce teatrale prima di diventare film) [...] Se la letteratura e il teatro sono il suo pane quotidiano, è chiaro che il cinema d’azione, il giallo, il thriller, soprattutto nella variazione che lui ha reinventato, fatta di truffe e truffatori, lo diverte immensamente. [...] quando dirige spesso realizza film di ’genere’. Perché? ” quello che gli americani sanno fare meglio: il film sui cowboy, la storia d’amore, il noir, il film di gangster. Nel ’genere’ la forma è strettamente regolata, e questo rappresenta una sfida, come ogni regola che esiste e quindi può essere violata [...] Solo adesso comincio a pensare che forse ci capisco qualcosa. I grandi registi degli anni ’30 e ’40 facevano sette, otto film all’anno, a volte di più: un film in tre settimane. Così sì che s’imparava a dirigere. Per me il processo è stato lento. Con ogni film si apprende qualcosa. [...] Mi interessano i drammi politici: è uno dei generi cinematografici che prediligo come spettatore. [...] Come si costruisce un aeroplano: per ogni grammo di grasso che metti o per ogni protuberanza che aggiungi alla fusoliera significa che devi potenziare il motore o le ali. Molti vedono il processo drammatico come un’automobile, dove puoi lavorare sulla carrozzeria o sugli accessori interni senza dover ritoccare il motore. Io come un aeroplano. Questa è la grande sfida per me”. Che differenza c’è tra cinema e teatro? ”I popcorn. A teatro non sta bene mangiarli. Per il resto sono uguali. Io continuo a scrivere per il teatro, anche se tutti gravitano verso il cinema. chiaro, a teatro non si fanno soldi. La ragione per cui si fa teatro è la stessa dai tempi di Eschilo: incontrare ragazze”. E perché abbiamo bisogno di divi del cinema? ”Perché vogliamo credere che essi siano differenti da noi comuni mortali. Sia che li chiamiamo politici, re o star del cinema. Lo dice anche la Bibbia: arriverà il giorno in cui vorrete proclamare un re. L’idolatria è nel nostro corredo genetico”» (Silvia Bizio, ”L’espresso” 15/4/2004).