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 2002  marzo 05 Martedì calendario

MAMMUCARI Teo

MAMMUCARI Teo. Nato a Roma il 12 agosto 1964. Conduttore tv. «Fossimo inclini alle soluzioni facili, potremmo sostenere che Teo Mammucari è l’anti Fabio Volo: il bresciano cerca la complicità degli intellettuali, il romano delle pornostar, l’uno fa finta di istruirsi e di essere united colors, l’altro si sforza di essere ancora più greve e titola il suo ultimo programma, in perfetta antifrasi, Mio fratello è pakistano [...] Ma l’unica differenza sostanziale è che dietro Mammucari c’è Giovanni Benincasa, l’autore più educatamente perfido della tv italiana, una iena perbene, capace ancora di maligni scherzi telefonici ma soprattutto di far credere che Mammucari abbia un qualche interesse per gli altri (benché un fratello pakistano pare ci sia davvero). La società multiculturale o multirazziale a lui interessa solo perché allarga il bacino d’utenza di chi può essere preso per i fondelli. In realtà Mio fratello è pakistano è l’esito estremo di ”Dibattito!” di Gianni Ippoliti: via il politicamente corretto, via la cultura del piagnisteo, via il gergo vetero sinistrese e il gioco è fatto. Al posto della portinaia Serafina, del cantante Laurenti e del geometra Costantino, ci sono altri ”mostri” raccattati dalla strada o dalla tv (ormai è la stessa cosa) che discutono animatamente su temi di grande attualità. vero che lo fanno tutti, Costantino docet; ed è vero che ormai tutti fanno la parodia di Costantino, tanto che Mammucari (che ha preso il posto di Costanzo) manda due postini alla De Filippi per stabilire un corto circuito e una complicità tra creatori di ”mostri”. Insomma, la perversità che si combina col gusto zuccheroso della burla. [...]» (Aldo Grasso, ”Corriere della Sera” 24/2/2005). «A scuola facevo ridere tutti e anche in famiglia e, a vent´anni, mio fratello più grande dice ”perché non vai a far ridere su una nave o in un villaggio?”. Ho fatto un provino con i punti in faccia, avevo avuto un incidente, e ho cominciato a lavorare nei villaggi. [...] Sono nato a San Lorenzo. Sì, la romanità c´entra, ma non solo. Ho fatto una scuola di teatro, ho fatto cabaret, poi le Iene e stare nelle mani di Ricci è una bella scuola. Poi Benincasa. Arriva a teatro e dice ”voglio fare una cosa con te”. Vabbè, dicono tutti così. Invece è tornato con il progetto di Libero: c´era un genio in questo piccolo uomo. [...] Anche con le Velone improvvisavo molto, quella sì che era una sfida, fare ridere con cinque settantenni sul palco? Ho capito una cosa, questo mestiere lo puoi fare solo se non ne puoi fare a meno. [...] Forse nel primo Libero ero solo cattivo e bastardo, adesso regalo più divertimento, sento che la gente mi ama. Ma era un personaggio che dovevo fare per farmi conoscere. [...] Io ho la coscienza a posto, faccio quello che so fare, l´approvazione mi viene dalla gente che mi segue, dalle persone che mi ringraziano perché le faccio ridere. Ho sudato per farmi apprezzare. Ma non ho un pubblico catalogabile. [...] Tutto può essere di destra o di sinistra, ma io non mi sono mai schierato, le mie idee me le porto a casa. Quando sono in studio entro in una certa atmosfera, devo mantenerla, come andare in alta quota. [...] Sono di famiglia umile, ho fatto tanti mestieri, impianti d´allarme, muratore, pittore. Ero bravo ma arrivavo sempre tardi nel cantiere e inventavo scuse. Ho fatto morire mia nonna quaranta volte, mio padre tre o quattro volte. Arrivavo, il capo incazzato. Se ti dicessi che m´è successo? Non voglio sapere, và a lavorà! Meglio così, quando lo saprai mi chiederai scusa? Ma che t´è successo! No, non te lo dico! Mi facevo pregare poi gli parlavo degli affetti più cari, se hai amato qualcuno per anni e lo perdi di colpo? A ora di pranzo dicevo la verità e tutti ridevano”» (Maria Pia Fusco, ”la Repubblica” 16/3/2004). Giovanni Benincasa: «L´ho visto la prima volta in un cabaret, ho avuto l´impressione di aver trovato un Picasso coperto di croste. un talento puro, un conduttore da frontiera, che va lasciato libero di muoversi e di parlare come vuole. Teo rappresenta quel tipo di umorismo, di battute pronte e di linguaggio popolare che è parte della romanità. Non è volgarità, è parlare quotidiano e se si cercasse di smorzare la grevità di certi termini si snaturerebbe» (m. p. f., ”la Repubblica” 16/3/2004).