Varie, 5 marzo 2002
MANCUSO Filippo
MANCUSO Filippo Palermo 11 luglio 1922, Roma 30 maggio 2011. Giurista. Politico. Ministro di Grazia e giustizia nel governo Dini: fu sfiduciato dal Senato, il governo lo dimissionò, lui ricorse alla Corte Costituzionale, provò a resistere per mesi contestando la legittimità della mozione di sfiducia e gli atti conseguenti dell’esecutivo. La Consulta gli diede torto, sanando il conflitto fra poteri dello Stato. Deputato dal 1996 (Forza Italia). «Uomo di garbo, di coscienza, d’altri tempi; certo elegante e disinteressato, ma non per questo incline a rinunciare a una foga nobilmente antiquata […] Un grande giurista, uno straordinario oratore, un uomo certamente onesto, un politico di vetusti principi. Tanto è così che l’hanno fregato non una, ma due volte, da ministro e da aspirante giudice costituzionale, prima il centrosinistra e poi il centrodestra […] Ha litigato e poi fatto la pace con Dini; ha sbugiardato Prodi che diceva di andare in seconda classe ferroviaria; ha attaccato il suo antagonista elettorale Veltroni su un piano molto personale tirando in ballo errori d’inglese, citazioni fasulle, esagerando. […] Era partito con un gran teatro, con quella inconfondibile prosa aulico-burocratica che si riscattava a colpi di rasoio, o sfrigolio di grattugia. Potenza semantica mancusiana: lampi poetici, “compagni di merende”, gioielli di ars allusoria: “un pericoloso demente che si aggira dalle parti di Roma” cominciava alla Camera prima che il presidente di turno, terrorizzato, lo bloccasse perché il personaggio evocato era la prima autorità della Repubblica. E invece poi la “mancuseide” si è fatta stucchevole e lui è finito nel teatrino, con le sue entrate e uscite di scena, i suoi prevedibili spodestamenti della realtà, i suoi particolari sempre più individuali, irrilevanti» (Filippo Ceccarelli, “La Stampa” 24/4/2002). «Un uomo piccolo, barocco, spagnoleggiante, siciliano. “Sono arrivato a Roma nel 1949 ma la mia sicilianità è rimasta intatta [...] Noi siciliani abbiamo un’alta dote di concretezza e idealità, ma ci spesso ci attribuiscono connotati che vanno dal truce al macchietistico e noi, per compiacere, mostriamo inconsapevolmente il profilo peggiore [...] Ho un grande amore per il sapere, per la lettura, per la molteplicità dei colori del sapere. Diciamo che voglio, senza pretese, aver gli strumenti per poter capire prima che la stanchezza e la salute me lo impediscano [...] Detesto quelli che dicono: prima di tutto la salute. È una menzogna materialistica che storpia il significato della vita. Prima di tutto è la coscienza, l’uso libero e pieno della coscienza, solo così si misura la statura di un uomo [...] Sono un professionista serio che non assume come valore tassativo tutto quello che sta a destra né esclude tutto quello che sta a sinistra [...] la fede mi insegna a essere analitico e non aprioristico nei giudizi [...] Ho amato gli studi che portano alla magistratura, ho avuto una passione precoce e fortissima [...] È la politica che è venuta a me. Il presidente Scalfaro mi chiamò per offrirmi il ministero dell’Interno e io rifiutai. Dopo, per un atto di passione civile accettai il ministero della Giustizia e anche perché pensai a due maestri elementari di un paesino della Sicilia che sarebbero stato orgogliosi di me [...] mio padre mi leggeva Miguel de Cervantes: ‘Si los perros ladran... cabalgamos...’. Mio padre diceva: Cervantes ci fa capire gli uomini come se ce li mangiassimo con il cucchiaino [...] Stimo quella parte della personalità di Berlusconi che riesco a comprendere. A volte dissento da lui. Comunque è un capitano d’industria col cuore, direi una rarità antropologica” [...]» (Carmen Llera, “Sette” n. 16/1997).