Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  marzo 05 Martedì calendario

MANU CHAO Parigi (Francia) 21 gennaio 1961. Cantante. Ex leader dei Mano Negra. «Chi è Manu Chao? Un José Bové della musica? Un Bob Marley del ventunesimo secolo? Un subcomandante Marcos della melodia? Dopo il primo successo con il gruppo Mano Negra all’inizio degli anni novanta di cui fu il leader, Manu Chao ha successo in tutto quello che fa

MANU CHAO Parigi (Francia) 21 gennaio 1961. Cantante. Ex leader dei Mano Negra. «Chi è Manu Chao? Un José Bové della musica? Un Bob Marley del ventunesimo secolo? Un subcomandante Marcos della melodia? Dopo il primo successo con il gruppo Mano Negra all’inizio degli anni novanta di cui fu il leader, Manu Chao ha successo in tutto quello che fa. Cocktail energico di melodie latinoamericane, di ritmi cubani, di reggae molto gaio e di techno fluido, ciascuno dei suoi album solisti, Clandestino, Proxima estación: esperanza, è stato venduto in milioni di copie in tutto il mondo. Ascoltando i suoni del pianeta che ricicla con uno straordinario senso della mescolanza, questa star [...] che rivendica di appartenere all’Armata zapatista di liberazione nazionale, ha soprattutto saputo utilizzare tutte le innovazioni tecnologiche per assicurare la propria indipendenza e la propria libertà creativa. [...] ”Preferisco essere chiamato il Bové della musica piuttosto che il George Bush! Non mi offende per niente. E poi Bové è un amico. Ma è una semplificazione. Io non sono un leader dell’antiglobalizzazione. Lo si è detto dopo quello che è successo a Genova durante il G8! falso che io non abbia voglia di portare questo peso. La ragione è invece tattica: il movimento sarà tanto più forte in quanto non avrà dei leader e resterà organizzato in modo orizzontale. Ci sono spesso dei politicanti che ti costringono a prendere questo ruolo di leader coinvolgendoti in faccende nelle quali tu sei costretto a replicare. Quando in Italia, durante il G8, il ministero dell’Interno spiegava a tutti i giornali e a tutte le televisioni che voleva trattare la sicurezza della città con Manu Chao, sono stato costretto, senza averlo desiderato, a replicare... E a ballare senza che la cosa mi divertisse! Se tengo un concerto in Italia ogni colpo è permesso. Bisogna sorvegliare i camion, per evitare di ritrovarsi con un chilo di cocaina nascosta nel materiale, non rispondere agli sbirri travestiti da giornalisti nelle conferenze stampa. Ci sono agenti davanti a ogni sala dove si canta, la città è in stato di assedio, i commercianti chiudono le serrande. La stampa di destra spiega che i vandali, i drogati, i terroristi stanno per arrivare. Manifesti della estrema destra proclamano: ”Il peggio della cultura è arrivato’. La intossicazione dei cervelli è ben orchestrata. Si sfiora il ridicolo! [...] non ho mai provocato nessun incidente e i miei concerti non sono altro che feste! [...] In Spagna alla fine del governo Aznar, l’aria era la stessa. Sono stato accusato di apologia del terrorismo, e di sostenere l’Eta. Alla radio dei tizi raccontavano che avevo aiutato i militanti dell’Eta a evadere dal carcere... chiaramente un falso. In tutta la mia vita non ho mai incitato alla violenza! Grazie a queste campagne rischio di prendere un colpo in testa mentre cammino in strada da qualcuno che si è persuaso che io sono un terrorista. Quando Aznar è caduto, ho tirato un sospiro di sollievo. Zapatero è un politicante come gli altri, ma almeno l’atmosfera è diventata più respirabile... [...] Devi fare lo spettacolo perché la gente dimentichi un poco l’’affanno quotidiano. Siamo dei maestri di danza che cercano di far ballare la gente. la base del mestiere e non c’è niente di male. Molti la buttano sull’onirico e lo spettacolare... Il miglior modo di far filtrare un messaggio è la festa. In quanto musicisti il nostro primo dovere è di dare felicità alla gente. Si dice sempre che io scrivo testi molto sociali, ma a guardar bene nessuno di loro assomiglia a un pamphlet. Forse Paris la nuit... Questo stile non è mai stato la mia specialità eppure tutti mi identificano in questo modo! In realtà le mie canzoni sono piccoli spaccati di vita. Quello che credo davvero è che ciascuno deve essere un rivoluzionario nella sua famiglia. La rivoluzione per contagio è la sola possibile. Occorre che ognuno dia l’esempio attorno a sé, in famiglia, tra gli amici, nel suo quartiere”» (Yann Plougastel, ”La Stampa” 8/2/2005). «Forse a un successo così dilagante non ci avrebbe creduto neanche lui. Non è certo un novellino, naviga da molti anni tra le burrasche della militanza, avvezzo a ogni platea, a ogni centro sociale, smaliziato e allegramente sovversivo. Poi è arrivato un successo che ha fatto rumore in tutto il mondo, sottolineato (scendendo precipitosamente di gusto) dal giochino delle ”tre parole”, l’efficace trittico ”me-gustas-tu”. Per la prima volta un vero radicale, che inneggia alla marijuana e chiama Babylon la società occidentale, è assurto all’olimpo delle macarene, ovvero di quei motivetti che trapassano ogni frontiera e finiscono nelle balere, nei party di bimbi e nelle parodie dei comici televisivi. Ma lui rimane un ribaldo combattente dei diritti civili, così che non è sembrato vero ai movimenti alternativi il privilegio di poter annoverare un personaggio tanto popolare, ma ancora disponibile alle richieste di quei militanti che per anni lo avevano ingaggiato a ben più modesti livelli. Lui, intanto, diverte e fa ballare, spende questo patrimonio di popolarita girando il mondo come un cantastorie dallo spirito zingaro, proponendo rumbe meticce, cantate in una strana lingua che sa di spagnolo, francese, inglese, perfino italiano, con ritmi di Giamaica e di Andalusia. Fa saltare di gioia platee enormi, più o meno consapevoli di seguire un credo alternativo» (Gino Castaldo, ”la Repubblica” 6/10/2002). «’Da ragazzo ho scelto la strada della musica. Con il tempo qualcuno mi ha messo sulle spalle uno zaino e ha fatto di me un simbolo politico. Sento la responsabilità e sarebbe da codardi scaricare il peso”. Clandestino, suo primo album in solitudine, ha venduto tre milioni di dischi senza promozione, grazie al passaparola. ”Da anni lotto per la legalizzazione di tutte le droghe: non perché tutti abbiano la libertà di fumare e di bucarsi, ma per togliere soldi alla mafia […] La gente pensa che i politici siano pagliacci e bugiardi. E’ giusto non avere fiducia in loro, però questo crea il terreno fertile per l’avanzata dei populisti. E’ questo quello che vedo in Italia […] Siamo su una macchina guidata da pazzi suicidi che hanno perso l’istinto di conservazione. Basta vedere le scelte di Bush in tema di ecologia”» (’Corriere della Sera” 21/4/2001). «Sta a Bob Marley come Agnoletto a Che Guevara. In realtà incide i suoi inni antiglobalizzati per l’etichetta più globalizzata del pianeta, la Virgin, non è un simbolo della rivolta ma della forza duttile del capitalismo capace di pompare soldi persino dai suoi nemici e tanto liberale da accetarne le offese, purché si traducano in fatturato» (Massimo Gramellini, ”La Stampa” 1/8/2001).