Varie, 5 marzo 2002
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Maranghi Vincenzo
• Firenze 3 agosto 1937, Milano 17 luglio 2007. Banchiere. Fu amministratore delegato di Mediobanca (fino all’aprile 2003) • «Discreto, riservato, di poche parole. Ma anche impulsivo, appassionato, a volte ai limiti della ruvidezza. Con l’hobby della pesca e con il pallino delle auto sportive, Alfa Romeo e Maserati in testa. L’ultimo strenuo difensore di Mediobanca, il banchiere erede di Enrico Cuccia, colui che da sempre è stato definito come ”delfino” e unico vero interprete del pensiero del fondatore. Ha da poco superato i trenta quando si presenta al cospetto del ”Grande Timoniere”. Sua moglie, Anna Castellini Baldissera, viene da una famiglia di banchieri, azionisti della Banca lombarda di depositi e conti correnti, la Lombardona. Ha forse un unico neo per l’ovattato mondo della finanza: quello di aver lavorato come giornalista alla redazione del quotidiano economico ”Il Sole”. Un peccato di gioventù che tuttavia non gli pregiudica la stima e la considerazione di Cuccia. Segue tutta la trafila del potere: da segretario dello stesso Cuccia fino all’ufficio studi, poi agli affari speciali - le operazioni più delicate - le partecipazioni, l’area affari e, infine, anche il servizio crediti. il 1988, una data storica per Mediobanca, che rivede le forme del suo controllo con la costituzione di un patto tra le ”Bin”, Comit, Credit e Banca di Roma e il ”salotto buono” degli imprenditori italiani. In quella che è ancora Via Filodrammatici siedono Agnelli, Pirelli, De Benedetti, Ligresti, Pesenti, Marzotto, Pecci, Ferrero, Cerutti. una data importante anche per lui, che sale alla carica di amministratore delegato al posto di Silvio Salteri (che a sua volta era succeduto a Cuccia), mentre Francesco Cingano diventa presidente sostituendo Antonio Maccanico, che ha terminato la sua mediazione. La ”voce” di Mediobanca è lui: agli azionisti si presenta puntuale all’assemblea che il 28 ottobre di ogni anno approva il bilancio. In pratica, l’unica occasione di ascoltarlo dal vivo mentre difende le operazioni della banca, che continua a essere la ”clinica” del capitalismo italiano, il luogo dove si sistemano situazioni aziendali compromesse o si stilano diagnosi per uscire dalle crisi. Operazioni condotte in piena autonomia, alcune portate a buon fine come la ristrutturazione Ferruzzi, ma anche abortite come quella nota come Supergemina. Ma con la convinzione che se Mediobanca non avesse svolto il suo ruolo ”le condizioni del sistema industriale italiano sarebbero molto diverse da quelle attuali e ci sarebbe una presenza pubblica assai maggiore”. Spesso, in quelle stesse assemblee, si toglie anche qualche ”sassolino dalla scarpa”. Come quando, nel ”96, si lamenta perché la banca viene esclusa dalle privatizzazioni. E le sue calzature, aggiunge, ”non sono da yachting”, riferendosi alla crociera sul Britannia durante la quale sarebbe stata spartita con le banche d’affari straniere la torta delle cessioni dello Stato. Una diffidenza di fondo per la politica (’è sempre stata fuori da Mediobanca e, per quanto mi riguarda, resterà fuori per sempre”, dice) che non gli impedisce però di stringere un’alleanza (che definisce solo di ”business”) con la Mediolanum di Ennio Doris e del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Ma sono tempi più recenti: nel giugno del 2000 Enrico Cuccia muore. Lo storico asse con la francese Lazard, imperniato sulle Generali, si è già sciolto e il patto di sindacato e le regole di governance dell’istituto vengono riviste un’altra volta. I soci bancari, prima Capitalia e poi anche UniCredito, mostrano sempre più la loro insofferenza per la gestione indipendente di Maranghi. Sono gli ultimi mille giorni: naufraga la fusione Falck-Montedison; la Fiat, con la quale i rapporti si sono raffreddati da tempo, si mette alla testa di una scalata a Foro Buonaparte che causa anche la travagliata vicenda della fusione tra l’amata Fondiaria e la Sai dei Ligresti. Alle Generali allontana Alfonso Desiata per Gianfranco Gutty. Prima aveva rotto con Antoine Bernheim, destinato poi a tornare a Trieste al posto di Gutty. Una sorte, all’interno di Mediobanca, toccata anche ai ”giovani leoni” Gerardo Braggiotti e Matteo Arpe, licenziati (o licenziatisi, le versioni non concordano) rispettivamente nel dicembre del ”97 e del ”99 e approdati su fronti avversi, ai vertici di Lazard e Capitalia. L’ultimo ”colpo” è quello dell’acquisto del 34% della Ferrari, soffiata proprio alle banche azioniste e rivali. Che temono il ruolo che Mediobanca potrebbe ritagliarsi nella crisi Fiat, e non gliela perdonano. A poco vale anche l’alleanza con il fronte francese, Vincent Bolloré e Bernheim, che preferisce un accordo piuttosto che uno scontro sulla sua permanenza. l’ultimo atto, anche il ”delfino” è costretto ad abdicare» (Stefano Agnoli, ”Corriere della Sera” 8/4/2003).