Varie, 5 marzo 2002
MARINI
MARINI Franco San Pio delle Camere (L’Aquila) 9 aprile 1933. Politico. Ex presidente del Senato (2006-2008). Laureato in giurisprudenza. Dall’85 al 1991 è stato segretario generale della Cisl. Prima di aderire al Ppi è stato nella Dc, per la quale è stato eletto deputato nel 1992. Rieletto per il Ppi nel 1994 e nel 1996, dal 1997 al 1999 è stato segretario generale del partito. Minsitro del Lavoro nell’Andreotti VII. Rieletto deputato nel 2001 con la Margherita, senatore nel 2006 e 2008. Carlo Donat Cattin, che fu il suo maestro, diceva: «Marini uccide col silenziatore»: «[...] tra il 1990 e il 1991, l’anziano Carlo Donat Cattin, pure lui ex sindacalista, lo officia come suo successore alla guida della corrente dc di ”Forze nuove” (7 per cento dei voti congressuali dello scudo crociato). Da giovane in pratica fa il commesso viaggiatore della Cisl nelle usb di Rieti, l’Aquila, Agrigento, Biella. Insieme con Carniti, Crea e Colombo frequenta l’Istituto di formazione sindacale dedicato a Giulio Pastore. Poi lavora all’ufficio organizzativo e quindi guida i dipendenti pubblici, prima di entrare in segreteria confederale dove Marini ”depura” la Cisl di tutte le incrostazioni unitarie o fusioniste che dir si voglia. [...]» (Filippo Ceccarelli, ”la Repubblica” 26/4/2006). «Non ho mai capito se fosse una battuta benevola o malevola. Comunque allora ero giovane e ambizioso [...] Dopo il 1968 Luciano Lama disse di me a Bruno Storti: ”Convinci quello o l’unità sindacale non la realizziamo”. In effetti più avanti, nel 1977, su dodici membri della segreteria della Cisl dieci furono favorevoli all’unità sindacale e a opporci fummo in due, io e l’unico repubblicano. Sostenevamo che l’unità sarebbe stata egemonizzata dal Pci e in congresso prendemmo il 44 per cento dei voti. L’unità sindacale non si fece. Lama aveva visto giusto [...] Io l’anticomunista l’ho fatto quando in piazza mi beccavo i fischi di 80 mila persone e aveva un senso. Quando oggi vedo farlo a qualcuno del Polo, mentre il comunismo è un fantasma, mi viene da ridere» (Maurizio Caprara, ”Sette” n. 43/1999). «San pio delle camere - Se il destino fosse scritto nei luoghi, basterebbe conoscere il nome del paese dove Franco Marini è nato[...] il ”lupo marsicano” della politica, soprannome affibbiatogli ai tempi della Cisl, è sempre qui che torna. In questo borgo di 500 anime arrampicato sulla Piana di Navelli, versante sud del Gran Sasso, nella casa di famiglia riattata da poco. ”L’onorevole” lo chiama la gente di San Pio, e pazienza se il curriculum è da aggiornare. In festa ogni volta che fa visita ai genitori, seppelliti nella cappella del cimitero comunale; incontra i compagni che lasciò bambino nel ”40, al seguito di papà Loreto (Tutuccio per gli amici) operaio della Snia a Rieti; passeggia nel bosco col cugino rimasto, Daniele Leonello, o gioca a bocce, passione ereditata dal padre campione durante il Ventennio. Mamma sarta, persa da adolescente, primo di 4 fratelli che salgono a 7 quando Tutuccio si risposa, ”è sempre stato serio, educato”, racconta Antonio Aloisio [...]. ”Non erano certo agiati, quanti sacrifici per far studiare i figli. Ci tenevano alla laurea. Solo una volta si arrabbiarono, quando Franco andò coi pattini lungo la strada Nazionale”. Piccoli colpi di testa cui ”l’onorevole” dovette rinunciare subito: col padre spedito in Sudamerica ad addestrare gli operai delle fabbriche Snia, si ritrovò capofamiglia. Fra i più bravi al liceo classico, leggeva Salgari ma non era secchione: specializzato, anzi, in scherzi memorabili. Come quando convinse due amici che nella villa di Antonio Belloni, futuro senatore Ccd, c’era una signorina assai disponibile; loro si precipitarono e trovarono davvero una bionda tutta curve: era Marini con parrucca e trucco. Spirito burlone che conserva ancora. Tra una frittata con cipolle e una cicoria selvatica di cui va matto, si ferma spesso a far bisboccia con gli alpini di Barisciano, paesino a pochi chilometri dal suo: socio grazie alla leva come sottotenente al Battaglione Trento. Ed è proprio nella sede del gruppo che, alla fine dei ”90, l’allora segretario del Ppi sfidò a sorsi di Moltepulciano D’Abruzzo il collega Oliviero Diliberto armato di Cannonau, vino sardo doc. ”Ce ne scolammo una trentina”, sorride Antonello Di Nardo, capo delle penne nere, ”finimmo a cantare Vola Vola, a Franco piace un sacco”. Lo fa spesso: il sindaco Costantini alla fisarmonica, il senatore Marini solista. [...]» (Giovanna Vitale, ”la Repubblica” 28/4/2006). «Si narra che nella lontana primavera del 1996, quando il neonato Ulivo doveva decidere come distribuire fra partiti e partitini i collegi ”sicuri”, quelli ”marginali” e quelli persi in partenza, Franco Marini per due giorni e una notte non si sia mai mosso da una stanza del secondo piano di Botteghe Oscure - dove allora aveva sede il Pds -, proprio accanto a quella di D’Alema. L’allora segretario del Partito popolare aveva per dir così occupato gli uffici del suo collega della Quercia, intenzionato ad andarsene, come effettivamente avvenne, soltanto ad accordo chiuso e a candidature decise. L’aneddoto sembra perfetto per riassumere il carattere e la tenacia di Marini: abruzzese, sindacalista e democristiano [...] cresciuto nella Cisl ”movimentista” e ”gruppettara” di Pierre Carniti (di cui, ha scritto Massimo Franco, fu poi ”l’erede e insieme il liquidatore”) [...] non è uomo da ambizioni personali: o meglio, le ambizioni hanno un senso (e una chance) se si collocano all’interno di un disegno politico. [...] Se per D’Alema la politica è geometria e scienza esatta, per Marini, tutt’al contrario, è prassi, divenire continuo, adattamento. Forse i due sono andati (e vanno) d’accordo perché coltivano un’idea della politica così distante, eppure ugualmente forte. Nel pragmatismo di Marini non c’è soltanto l’orma della destra cislina, di cui fu leader, o il ricordo di una laurea in giurisprudenza: c’è anche un qualche imprinting andreottiano. [...] perché alla politica, di fatto, Marini arrivò con Andreotti, di cui fu ministro del Lavoro nel suo ultimo governo, e che poi sostituì come capolista nel Lazio alle elezioni del ”92 (Andreotti nel frattempo era diventato senatore a vita): raccolse poco più di 100 mila preferenze, contro le 329 mila raccolte dal ”divo Giulio” cinque anni prima. Ma, va detto, era al debutto. [....] Marini è (in pubblico, s’intende) un animale a sangue freddo. Come responsabile organizzativo, è stato di fatto il costruttore del Partito popolare all’indomani della dissoluzione politico-giudiziaria della Dc; ne è diventato segretario nel ”97 e poi, da presidente, è stato tra i primi post-dc a rompere il tabù identitario e a lanciarsi nell’avventura della Margherita. Di cui è diventato rapidamente, e di nuovo grazie al lavoro organizzativo, un pilastro fondamentale. La solidità politica di Marini, che ricorda senz’altro qualche aspro paesaggio abruzzese, è anche la chiave della sua battaglia per Palazzo Madama. [...] Per stile, per tradizione e per carattere Marini è uomo di silenzi pubblici e di incontri privati: la politica è per lui cosa troppo seria per affidarla ad un talk show. Poche, dunque, le esternazioni mirabolanti e le concessioni alla politica spettacolo. A meno che, naturalmente, una qualche trattativa in corso non richieda di picchiare il pugno sul tavolo. [...] quando lui e Rutelli erano contrari alla lista unica dell’Ulivo, i prodiani fecero girare l’ipotesi di una ”lista Prodi”, cioè di una scissione della Margherita. Marini sembrò perdere le staffe: ”Ora basta - disse al Corriere -. Se qualcuno continua a minacciare la scissione, allora io dico che si ridiscute tutto. E sottolineo tutto”. Tradotto significava: o Prodi rinuncia alla lista, o rinuncia alla leadership. Si sa come è andata: la lista unitaria si è fatta alla Camera ma non al Senato. Per Prodi, politicamente, una mezza sconfitta; per Marini, storico difensore del ruolo profondamente democratico dei partiti, una vittoria. Così lavora, e così ragiona, il sindacalista approdato alla politica: ma in questo procedere passo dopo passo il ”sindacalismo” è soltanto una tecnica, uno strumento, e qualche volta persino un vezzo. Marini è infatti un politico puro [...]» (Fabrizio Rondolino, ”La Stampa” 28/4/2006). «[...] Quando c’era una vertenza difficile e bisognava trovare un compromesso [...] scendevo giù e dicevo ai miei: ragazzi, o questo o niente. E li convincevo che l’accordo andava firmato [...] Io il mare l´ho visto per la prima volta durante una gita dell’Azione cattolica a Silvi Marina. Sono stato a Roma per la prima volta nel 1950 con un viaggio organizzato dai ”baschi verdi” cattolici. Il primo calcio a un pallone di cuoio l’ho dato nell’oratorio. I primi corteggiamenti li ho fatti nella mia parrocchia. Come potevo non essere democristiano? I comunisti li ho sempre rispettati, ma sapendo che io ero diverso da loro. Quando ero nel sindacato, per via dell’unità sindacale si usava la formula ”amici e compagni”. A un certo punto anche nella Cisl qualcuno cominciò a dire solo ”compagni”. Allora io smisi di dirlo. Arrivai perfino a rivolgermi al segretario della Cgil chiamandolo ”l’amico Lama”, pensa te... [...]» (’la Repubblica” 29/4/2006).