Varie, 5 marzo 2002
MARTELLI
MARTELLI Claudio Gessate (Milano) 24 settembre 1943. Politico. Eletto alla Camera nel 1979, 1983, 1987, 1992 (Psi), al Parlamento europeo nel 1999 (Sdi), ministro della Giustizia nell’Andreotti VI e VII e nell’Amato I (1989-1993), carica da cui si dimise perché accusato da Silvano Larini di essere il titolare del ”conto protezione” svizzero in cui erano confluiti i soldi del Banco Ambrosiano. Da ultimo conduttore tv (L’incudine, Flashback ecc.) • «’Tangentopoli? Un’orgia di morte... In uno dei nostri ultimi colloqui, alla vigilia delle elezioni del 1994 (avevamo ripreso a parlarci dopo una lunga incomprensione, durata due anni), Bettino Craxi mi chiese cosa intendevo fare. Era preoccupato anche per me, e mi mise in guardia, immaginava che potessero arrestarmi: ”Ti metteranno in cella, magari con un mafioso”. Mi disse di pensarci, di pensare ai miei figli e più tardi mi fece avere anche un bigliettino, con l’indirizzo di un luogo dove avrei potuto riparare, mi pare fosse in Messico... Ero spaventato, ci pensai seriamente soprattutto quando, poco dopo, il vicecapo della Polizia mi informò del pericolo di attentati di mafia e quando la Procura di Milano mi ritirò il passaporto. Ero spaventato, ma restai. Ma più ancora che nei casi individuali la pulsione di morte si vide nelle scelte collettive: la Prima Repubblica è stata uccisa e si è suicidata. Un Parlamento per metà inquisito e ricattato moralmente dall’altra metà si privò della possibilità di ogni amnistia correggendo la Costituzione per renderla impossibile, poi tolse l’immunità ai parlamentari al culmine dell’offensiva giudiziaria, infine si autosciolse e si consegnò alle Procure”. Suicidi, stragi, sangue. Nelle sue parole il decennale dell’inchiesta Mani pulite fa riaffiorare lo scontro, anche fisico, tra due Italie. In mezzo, al centro della scena, c’era proprio lui, investito da due ruoli inconciliabili. Era, infatti, contemporaneamente ministro della Giustizia (e lo fu sino al 10 febbraio 1993) e l’erede designato alla guida del Psi dal leader Bettino Craxi, immediatamente identificato come imputato numero uno del grande processo ai partiti. […] In quel periodo, ero tra due fuochi: da una parte i capipartito che cercavano di resistere, e dall’altra l’ondata giustizialista che veniva da destra e da sinistra e che ci travolse tutti. Mi pare bizzarro sostenere che io avrei saputo cose che non sapevano Craxi o Andreotti”. Il guardasigilli, tuttavia, non poteva non sapere... ”Certo, non ho bloccato le indagini. Se si vuol dire che io sarei intervenuto sulle Procure... questo è un altro discorso”. Il ministro Martelli chiama il procuratore Borrelli alla vigilia delle elezioni del 1992: ”Lo avevo conosciuto nel 1991, quando convocai tutti i principali procuratori al ministero per sondarli sul progetto dell’istituzione di una Procura nazionale antimafia. Ricordo che si dichiarò contrario, come Violante, mentre Vigna era invece a favore… Prima delle politiche del ”92 mi rivolsi a Borrelli perché rinviasse i provvedimenti contro i candidati all’indomani del voto. Lui mi rispose che, allo stato, non c’erano avvisi in vista. Né io né Craxi abbiamo mai delegittimato l’inchiesta. Anche Bettino, nel suo discorso alla Camera del luglio 1993, non fece polemiche contro i magistrati, lui si batteva contro l’ipocrisia dei suoi colleghi. Su quel periodo è stato scritto tutto e il contrario di tutto, talvolta anche dagli stessi autori, prima fustigatori della corruzione politica e poi ravveduti censori della violenza giudiziaria. Non vorrei si dimenticasse che la ”caccia al cinghialone” la aprì proprio Vittorio Feltri, prima sull’’Indipendente”, poi sul ”Giornale” di Berlusconi. Eppure, una spiegazione storica convincente ancora manca. Prima, bisognerebbe far rivivere il non senso e la follia individuale e collettiva che rinvia a paure, arroganze e pulsioni più oscure.Capire chi voleva uccidere e uccise, chi decise di morire e morì. Chi voleva uccidere e uccise fu innanzitutto la mafia che divelse un’autostrada per distruggere Falcone e una via di Palermo per assassinare Borsellino. Li uccisero per vendetta dopo le condanne in Cassazione e per impedire che diventassero procuratori nazionali antimafia come io volevo. La prima Repubblica cade mentre ha ingaggiato la sua battaglia più giusta e più coraggiosa”. Falcone e Martelli erano diventati amici. E’ proprio il magistrato a suggerire al ministro di applicare provvedimenti straordinari contro la criminalità organizzata. Poco tempo dopo, quelle leggi e quei sistemi vengono usati contro i segretari di partito, i ministri, i grandi imprenditori. ”Il carcere preventivo per far parlare l’indagato era un metodo di contrasto e repressione forgiato per la lotta alla mafia, è stato inammissibile usarlo per Tangentopoli... negli anni del terrore giudiziario, però, la frase che si sentiva di più era: devi morire. La si sentiva dire alla gente, ai giornalisti, ai magistrati che parlavano di avversari. Come ha scritto Gherardo Colombo nel libro di Corrado Stajano, ”siccome eravamo scettici sulla possibilità di arrivare alla punibilità dei potenti inquisiti abbiamo puntato a distruggere la loro credibilità”. Da lì vengono il carcere preventivo, la gogna mediatica, le umiliazioni... Per un uomo pubblico la morte civile, la morte pubblica è come perdere la vita. Vollero davvero morire Renato Amorese e Sergio Moroni, Gabriele Cagliari e Raul Gardini, e come loro diversi imputati suicidi. Altri morirono un po’ alla volta, in mezzo alle urla degli indignati. Anche Craxi decise di lasciarsi morire. Cominciò riconoscendosi colpevole, alla pari di tutti, dichiarandosi arreso nell’ultima intervista televisiva a Giuliano Ferrara, interrogandosi in mezzo allo scempio generale con i compagni più intimi: ”Cosa dovrei fare? Suicidarmi?’, scegliendo con l’esilio e l’impossibilità di difendersi un’altra forma di morte”» (Barbara Palombelli, ”Corriere della Sera” 4/3/2002).