Varie, 5 marzo 2002
MARTINAZZOLI Mino
MARTINAZZOLI Mino Orzinuovi (Brescia) 30 novembre 1931, Brescia 4 settembre 2010. Politico • «Con lui finì la Democrazia cristiana e cominciò addirittura un´altra Repubblica. [...] Era il 18 gennaio 1994, un martedì. I maligni dissero che non poteva andare diversamente: con la sua aria triste e un certo culto per il pessimismo sembrava il più adatto a celebrare il de profundis. Fu l´ultimo segretario della Dc, quello che spense la luce e chiuse la porta per aprire un nuovo negozio, il Ppi, molto meno fortunato. Non ha rimpianti, nemmeno uno. “Non amo il travestitismo. Rimanere quello che si è, è morale”. Difende quel passaggio storico. “Arrivammo persino troppo tardi. In fondo il muro di Berlino era caduto nel 1989...”. Mino Martinazzoli, nella sua seconda vita lontano da Roma, è stato sindaco di Brescia, ora è il capo dell´opposizione alla Regione Lombardia. Dopo la sconfitta elettorale del marzo ´94 si era dimesso anche da leader del Ppi. Mandò un fax alla direzione e disse basta. In questi ultimi mesi si è avvicinato a Mastella con il sogno di riunire i centristi sparsi per l´Italia. Che più o meno significa voler rifare la Dc. “La Dc la costruì De Gasperi, non vedo proprio come potremmo rifarla noi, con le nostre povere forze. Però converrebbe non seppellire questo seme che non è diventato infecondo”. [...] Molti dicono che quella liquidazione fu un errore, che si doveva resistere, che tante cose non sarebbero successe. Lui invece, testardo, fece spiaggiare la Balena bianca. “La Dc non l´ho chiusa io, l´abbiamo chiusa tutti assieme. Leggo anch´io certe dichiarazioni di oggi. E voglio chiedere a questi maestri cosa avrebbero fatto al mio posto. Io resto convinto che seguendo la teoria di qualcuno saremmo finiti tutti ad Hammamet. [...] Quella decisione non la presi in solitudine e ancora oggi non sento la gravità di una rottura. Il 18 gennaio del ’94 fondammo il Partito popolare, creammo qualcosa di nuovo riproponendo la sigla di Sturzo. Lo slogan infatti era ‘rinnovare senza rinnegare’. Ma avevamo capito che si era chiusa una fase storica. Quella in cui, come diceva Moro, la Dc era condannata a governare. In più la Democrazia cristiana aveva smarrito la qualità di motore immobile del Paese. Volevamo dare un futuro a una tradizione. Questo è quello che succedeva dentro al partito, ma non dimentico quello che succedeva fuori. [...] L´aspetto drammatico non era la nostra discussione, ma quello che accadeva intorno a me, a noi. Fu un assedio che ci lasciò con la voce esangue. Avvertivamo che era difficile respingere l´ondata. Ogni volta che andavo in un teatro per qualche manifestazione piovevano monetine e un coro ti seguiva a ogni passo: ‘ladri-ladri’. Da qualche pulpito mi sento ora rimproverare di vigliaccheria, di una certa indulgenza alla demagogia. Ma basterebbe fare la rassegna dei titoli di giornale di allora per rivivere quel clima. [...] Non avevamo nessuna vergogna del simbolo e infatti non abbassammo l´insegna per metterci al riparo da qualcosa. Volevamo recuperare la sigla popolare in un percorso che era già stato avviato. [...] Facemmo l´assemblea costituente sulla base di un documento dove si prefigurava la chiusura della Democrazia cristiana per fare il Partito popolare. Io ricordo un solo astenuto, Ermanno Gorrieri. Ed era un astenuto da sinistra, cioè un dirigente che voleva qualcosa di più della fine della Dc. Tutti quelli che ora sono di qua e di là votarono a favore. Dico tutti, giovani e meno giovani. E fino al gennaio del ’94 rimasero nel partito. Quando capirono che le cose si potevano mettere male cercarono approdi più sicuri. [...] Non ho mai preteso di dare la versione definitiva. Ognuno ha la sua. Fu un terremoto, un grande terremoto e come accade in questi casi ognuno cerca di giustificare le scelte private con una serie di giustificazioni politiche. [...] Le nostre disgrazie non sono dipese da quelle decisioni. L´obbiettivo era recuperare un dinamismo perduto. Altrimenti saremmo diventati un bersaglio ancora più facile. E qualcuno lo diceva già nell´89... [...] Gli elettori ci avevano già abbandonato, se n´erano andati da un po´. Eppure nel ’94 con Segni e La Malfa arrivammo al 16 per cento, un risultato che poteva essere interessante. Ma noi lo misurammo sulla base della forza democristiana e fu una disfatta. [...] Segni, a suo modo, fu il rabdomante dell´antipolitica. Poi, come spesso succede, il primo non è mai l´ultimo e sono arrivati gli altri. Nel referendum c´è il vizio di origine della Seconda repubblica. Se guardo il gotha di quel comitato referendario penso al quadro generale di oggi e mi viene in mente una filastrocca che fa così: ‘nel salotto direttorio/blue marin giallo limone/stanno insieme tre poltrone/ di un color contradditorio’. Il passaggio virtuoso da una democrazia bloccata a un modello di democrazia dell´alternanza non si è realizzato. Ne è venuto fuori un bipolarismo sgangherato, la politica ha perso, l´antipolitica ha vinto. Come sempre accade, l´antipolitica è diventata un po´ politica, ma la mia opinione è che sono stati 10 anni perduti”» (Goffredo De Marchis, “la Repubblica” 18/1/2004). «Il Grande Scettico della politica italiana» (Fernando Proietti). «Prenotato come segretario della Democrazia cristiana arrivò tardi all’appuntamento e si accontentò di esserlo del Ppi. Prenotato più volte come presidente del Consiglio partiva in treno da Brescia per la Capitale e quando scendeva a Roma Termini non c’era più l’auto blu ad aspettarlo. Prenotato come presidente della Repubblica s’è dimenticato di prenotare il Pendolino per Roma. Prenotato come ministro della Giustizia nel governo D’Alema ha detto: “Va bene, in quel locale ci sono già stato”. Prenotandolo, hanno avuto cura poi di metterci un altro. Prenota spesso da Settimio a Roma in via delle Colonnelle e anche lì, quando arriva, gli hanno occupato il tavolo» (Pietrangelo Buttafuoco, “Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 24/10/1998).