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 2002  marzo 05 Martedì calendario

MARTONE

MARTONE Mario Napoli 20 novembre 1959. Regista. Film: Morte di un matematico napoletano, Teatro di guerra, L’amore molesto • «’Mario Martone sur tous le fronts”, era un titolo di ”Le Monde’ di qualche tempo fa. E, in effetti - da Tango glaciale a Edipo a Colono, da Morte di un matematico napoletano a L’odore del sangue, da Così fan tutte alla Matilde di Shabran - il regista napoletano [...] si è mosso davvero ”su tutti i fronti”, continuando a maturare - in ogni opera - una sua visione dell’immagine e della realtà. [...] aveva diciassette anni quando ha cominciato a fare teatro, a Napoli, con un paio di amici del liceo Umberto. ”Falso Movimento”, il suo gruppo che portava lo stesso nome di un film piccolo e bellissimo di Wim Wenders, s’imporrà rapidamente in un clima generale di grande libertà espressiva. Più tardi, alla fine degli anni Novanta, Martone sarà sotto i riflettori - con attenzioni non sempre benevole - come direttore dell’Argentina. [...] ”Il teatro rischia di diventare noioso, inutile, e direi anche volgare, quando manca l’elemento della partecipazione: parlo del rapporto tra quello che succede in scena e gli spettatori. Al centro, dovrebbe esserci sempre l’idea che in un luogo si raccolgono delle persone - alcune reciteranno, altre vedranno e ascolteranno - ma che comunque tutte queste persone sono insieme: questo è il teatro nella tragedia greca, questo è Shakespeare, questo è il teatro elisabettiano, questo è anche il nostro melodramma? Se invece non si stabilisce nessuna relazione, se al contrario c’è una netta separazione - da un lato c’è un ”qualcosa’ che va avanti sul palcoscenico per conto suo e, dall’altro, ci sono gli spettatori che stanno lì a consumare passivamente una serata - allora, sì, che il teatro perde il suo valore, non ha più molto senso” [...]» (Luciana Sica, ”la Repubblica” 30/9/2004). «I suoi film sono stati finanziati da Walter Veltroni e persino dall’Unicef. un partenopeo dell’alto, a cui piace affacciarsi ”a ”ncopp Capo ”e monte e immaginarsi, con gli aristocratici occhiali dell’arte, la morte di un matematico napoletano nei ”vasci” ovviamente puzzolenti e ovviamente infestati di ubriaconi e femminielli. Ovviamente un bassolavoro. Organico al Partito, con piglio snobistico e antieduardiano non è fuggito da Napoli, per attendere e salutare la new age di Totonno Vasciolino, ex ”cacaglio” ”e Afragola, nei salotti dove dal 1799 la polvere non viene tolta dai mobili. A Napoli hanno aggiornato l’interrogativo leniniano ”Che fare?” con l’abolizione del parcheggio a Piazza del Plebiscito e la riabilitazione di Nino D’Angelo (’Anto’, comme sì bravo a fa’ ”o sinneco”, ”Marittié, sì nu genio”). E come in tutti i salotti che si rispettano, anche lui ha i suoi odi (Roberto De Simone, soprattutto a causa dei finanziamenti statali per il teatro) e i suoi amori (il cognato Enrico Ghezzi). I maligni sostengono che l’unico a parlare bene dei suoi film sia un critico della nota lobby, guarda caso anche componente della commissione buonista dispensatrice di denaro pubblico» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 24/10/1998). «Non saprei dire se il mio sia eclettismo, penso che ci siano delle linee di lavoro della mia vita che hanno preso a intrecciarsi in maniera naturale. Passare da un film al teatro o all’opera mi aiuta a scoprire nuovi territori, nuovi fronti, nuovi orizzonti. Ci sono aspetti del cinema che entrano nel mio teatro e viceversa. Come se ci fossero sguardi incrociati. Questo mi accade oggi più che in passato. [...] Il teatro è diverso perché è quotidiano, ogni giorno si cambia e si può intervenire, invece nel cinema le scene che hai immaginato per mesi nella tua testa, avranno un giorno e un giorno soltanto per poter essere realizzate e poi non si potrà più tornare indietro. Nel cinema c’è qualcosa di fatale. [...] Sono calmo, e mi piace creare in un clima di intensità e di concentrazione; non sono un urlatore, io, cerco di non aggredire, sotto questa calma naturalmente ribolle invece un fiume incandescente» (Alain Elkann, ”La Stampa” 16/5/2004).