Varie, 5 marzo 2002
MARZULLO
MARZULLO Gigi Avellino 25 luglio 1953. Conduttore tv • «Ciriaco De Mita lo lanciò in tv. Poi s’è fatto da solo. Da più di dieci anni e per un numero infinito di puntate fa ai suoi ospiti le stesse domande con lo stesso ciuffo sciampato e laccato e la stessa cravatta da pariolino depresso, lo stesso sguardo di traverso che qualche volta nella confusione tra veglia e sonno sembra la Gruber. Quando arriva alla fatidica domanda sui sogni che aiutano a vivere mentre la vita è sogno, una smorfia lieve lieve di nausea lo percorre. Gli ospiti ci cascano sempre. In realtà è un genio: minimo sforzo massima resa e costi contenuti. Per andare da lui a mostrare le foto nudi a tre mesi durante il bagnetto, illustri e sussiegosi italiani fanno la fila, si fanno raccomandare, si appostano e fingono di incontrarlo per caso, se sono belle ragazze lo corteggiano. Lui seleziona e poi riceve, l’espressione del volto indecifrabile. Solo Lalla Romano è riuscita a scuoterlo. La bizzosa signora aveva criticato nel suo abituale tono autoritario coloro che la sera, anzi la notte, vanno da Marzullo e umiliano e sviliscono la figura fulgida dell’intellettuale. Lui ha risposto per ricordare che la signora di lui ben volentieri era stata ospite senza sentirsene sminuita e che forse era il ritardo del secondo invito a renderla così suscettibile» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 24/10/1998). «Mezzanotte e dintorni era nata come un tappabuchi col titolo Per fare mezzanotte, ma andava in onda solo quando c’era spazio, cioè quasi mai. Poi lo spazio non ci fu più del tutto e allora mi venne proposto di farla più tardi. [...] Ho avuto mille ospiti, da Glenn Ford a Fanny Ardant, da Anthony Quinn al chirurgo Bernard, da Gassman a Sordi, da Feltri a Bocca, da Zeffirelli a Ferreri [...] La domanda più ripetuta è quella che diventò un marchio che mi dette una popolarità insperata visto l’orario: la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio? [...] Di tanto in tanto sogno la morte, che mi fa paura. Altre volte la scomparsa di persone che mi sono care. E poi ho dei sogni erotico-sentimentali: la mano nella mano sulla spiaggia deserta con una donna» (Alain Elkann, ”La Stampa” 25/9/1995). « la misura di molte cose, il centro dell’universo televisivo postmoderno. Non c’è trasmissione ufficiale che non lo veda cerimoniere, non c’è personaggio importante che non ceda alle lusinghe delle sue domande. Marzullo è un massimalista del banale. Come un ragno che tesse trame di insensatezza, si è costruito la sua invitante nicchia. Le prede soccombono con la medesima voluttà con cui l’insetto cerca il vischio dolciastro della carta moschicida e, siano esse premi Nobel o sciampiste, vi si impigliano con goffaggine. Tutti accettano l’ospitalità di Marzullo perché pensano sia solo uno stordimento leggero, un cioccolatino di ovvietà, una tintura di gloria. E non si accorgono invece del marzullismo in cui precipitano. Il marzullismo è fenomeno degno della massima attenzione. Si diffonde come la gramigna, si posa sulle bocche di noti intrattenitori e sulla labbra di affascinanti salottiere, non disdegna la penna di sociologi e opinionisti. La banalità procede con sorda determinazione, esibisce un’arroganza difficile da contrastare, specie in tv. Eppure fa audience, crea proseliti, raccoglie sostenitori. Ha un solo difetto: nessuno vuole prestarle un volto, regalarle una fisionomia, accordarle fattezze riconoscibili: tutti meno uno. Fra i conduttori che ebbero il gusto e il genio della provocazione, un posto non trascurabile spetta all’avellinese. Elevando il minimo problema al rango del paradosso e alla dignità dello scandalo, doveva creare un’opera che non cessa di sedurci ed esasperarci: il suo compito è simile a quello di una levatrice che porta alla luce delle telecamere l’insulsaggine che è in noi. Più entriamo in confidenza con il marzullismo più i nostri pensieri s’intorpidiscono; e quando per ridestarli, spegniamo il televisore, ci accorgiamo che la zona d’ombra avanza, garrula angoscia, callosità della mente» (Aldo Grasso, ”Corriere della Sera” 5/5/2004). «Pochi altri personaggi incarnano meglio di Marzullo il vuoto catodico dell’oggi, la potenza indispensabile della banalità, la dedizione sacerdotale nei confronti di un potere che vive ormai di mirabolanti rappresentazioni. Nato demitiano, ha recato in dote al berlusconismo la deriva terminale del vecchio servizio pubblico. [...] Da anni le sue trasmissioni avevano realizzato la sospiratissima osmosi culturale, aprendo varchi all’unico dominio compatibile, quello di MediaRai, o di RaiSet. Dialoghi notturni che richiamavano a pieno titolo la legge psicofisica di Aldo Grasso secondo cui una trasmissione che raggiunga il limite di sopportabilità diventa ”altro da sé”, qualcosa di assolutamente imprevisto che in genere attrae e orripila al tempo stesso. Una più approfondita, ma non per questo meno brillante fenomenologia del marzullianesimo si deve a Gianluca Nicoletti, che l’ha tratteggiata nel suo Ectoplasmi (Baskerville, 1994). Vale senz’altro la pena di riportarne l’incipit: ”Càpita, soprattutto nel periodo dell’estro felino, di vedere un gatto spiaccicato ai bordi della carreggiata”. L’effetto gatto-spiaccicato ”è l’unica spiegazione all’esistenza televisiva del personaggio che anima le visioni di oltre mezzanotte. Forse già nel sembiante (Marzullo) esercita una sorta di sinistro magnetismo in ragione del quale, nel corso di un sonnacchioso zapping notturno, nessuno può fare a meno di fermare lo sguardo sull’inquisitore occhialuto che passa al setaccio il narcisismo dell’ospite di turno. Razionalmente si percepisce l’orrore di quanto sta accadendo, per il medesimo meccanismo d’attrazione non si riesce a distogliere lo sguardo e ci si lascia rapire dalla trance ipnotica della reiterazione delle formule”. Varrà giusto la pena di ricordare che lo stesso Marzullo, e lo stesso Nicoletti, accettarono di dare poi vita a un programma televisivo: insieme. Fra le virtù del personaggio c’è anche quella di non offendersi mai, di assecondare con serenità ogni canzonatura, non di rado attivando la complessa categoria televisiva dell’auto-dileggio. Quanto alla ”reitazione delle formule” è giocoforza rammentare il celebre dilemma: ”Ma la vita è un sogno, o i sogni aiutano a vivere meglio?”. Il sogno di Gigi è cominciato ad Avellino. Per l’esattezza in quel breve tratto che separa Piazza Libertà da Piazza Matteotti, più o meno dove sorgeva l’antico caffè Lanzara, luogo deputato alle chiacchiere e ai pettegolezzi municipali. O almeno: è qui che l’onorevole Gianfranco Rotondi, nella sua opera giovanile Trenta Irpini (Progetto, 1987), fissa la ”frontiera inviolabile” dei Marzulli, il papà Gerardo e lo zio prete Michele, entrambi ardentemente democristiani e tifosi dell’Avellino Calcio. Per farla breve, De Mita sistemò il giovane Gigi alla Rai. Ma, per maggior sicurezza, collaborava anche al ”Mattino”. Quando, sul finire degli anni ottanta, l’ex segretario della Cisl Pierre Carniti fu sul punto di diventare presidente della Rai, e faceva lo schizzinoso sull’’azienda delle 13 mila tessere”, molte nullafacenti o troppofacenti, Gigi si presentò a una conferenza del temibile sindacalista. Era più o meno quello di adesso, profetico blazer blu, pantaloni grigi, camicia a righe azzurre (ne ha 60) e capelli fluenti, il massimo della trasgressione allora consentita nello scudo crociato. Con il consueto garbo si presentò: ”Sono Gigi Marzullo, della Rai e del ’Mattino’...”. Carniti non lo fece nemmeno finire: ”Ah - bofonchiò allargando sconsolato le braccia - un caso lampante di doppiolavorismo!”. Però Carniti non divenne mai presidente. Marzullone invece seguitò a fare carriera. Ebbe premi e programmi, scrisse libri, collezionò ”ospitate”. Mai una polemica, neanche quando fece coprire la maggiorata Angela Cavagna. Presentò il Premio Strega, la Mostra del Cinema di Venezia. E aspirò, evidentemente, a Rai1. Gliela fecero vedere, annusare. Poi niente: ”Per evitare - sottolineano fonti della direzione generale - false e stupide strumentalizzazioni”. Come se ce ne potessero essere di vere e soprattutto di intelligenti» (Filippo Ceccarelli, ”La Stampa” 5/5/2004). Vedi anche: Claudio Sabelli Fioretti, ”Sette” n. 6/2001;