Varie, 5 marzo 2002
MASO
MASO Pietro San Bonifacio di Verona (Verona) 17 luglio 1971. Il 17 aprile del 1991 insieme a tre amici uccise a sprangate il padre e la madre per incassare l’eredità (a Montecchìa di Crosara, tranquillo paesino del Veneto). Condannato a trent’anni di carcere • «La galera e le mille interminabili giornate sempre uguali. Per vivere e rivivere quella tragedia. Per confrontarsi con la sua coscienza e cercare un percorso di recupero. Il suo continuo silenzio. Su quanto accadde quel giorno e sul perché accadde. Il suo sforzo di rispettare comunque la mente e il fisico. I tanti libri e le molte ore in palestra. Anche il suo lavoro quotidiano all’interno del carcere. Tramutare in file le ricette cartacee della mutua» (Carlo Lovati, ”Corriere della Sera” 18/10/2002). «Mercoledì, ventitré e tranta. A Montecchia di Crosara, 4 mila abitanti, a 35 chilometri da Verona, Antonio Maso, 56 anni, contadino, e la moglie Maria Rosa Tessari, 48, casalinga, tornano a casa per l’ultima volta. Ad aspettarli ci sono Pietro, l’unico figlio maschio, 20 anni ancora da compiere, e tre amici appena più giovani: Paola Cavazza, Giorgio Carbognin, Damiano B., minorenne. In mano hanno due bastoni, un bloccasterzo e una padella. In testa, un miraggio: l’eredità. Un miliardo, un miliardo e mezzo tra la villetta a due piani e gli undici vigneti di Antonio. Da spartirsi dopo aver ucciso anche Nadia e Laura, le sorelle maggiori di Pietro. Lo scempio dura un’ora. Le indagini un giorno solo. Poi il processo, i giornali, le tv. E una foto scattata in aula, prima della condanna (30 anni a Maso, 26 a Casazza e Carbognin, 13 a Damiano): Maso era elegante, giacca firmata, capelli pettinati con cura, un foulard intorno al collo. Sorrideva» (Davide Perillo, ”Sette” n. 10/1998).