Varie, 5 marzo 2002
MASSARO
MASSARO Daniele Monza 23 maggio 1961. Ex calciatore. Con la nazionale ha vinto i mondiali del 1982 (pur non giocando neanche un minuto) ed è arrivato secondo nel 1994 (sbagliò uno dei rigori che decisero la finale). Con il Milan ha vinto quattro scudetti (1987/88, 1991/92, 1992/03, 1993/94), tre coppe dei campioni (1988/89, 1989/90, 1993/94 con doppietta in finale contro il Barcellona), due coppe Intercontinentali (1989, 1990). Ha giocato anche con Roma e Fiorentina. «Segnava anche quando non giocava. Vinceva anche se gli altri perdevano. Gli altri perdevano. Lui entrava e segnava. Defilato. Partendo lì, sul filo del fuorigioco. Sul filo del fallo laterale. Più al di là che al di qua, a volte. Più panchina, che campo. Al di là, appunto. Partiva da fuori, entrava, giocava, segnava. [...] Cinquanta gol in nove stagioni al Milan. [...] Nel 1982 campione del Mondo nell’Italia di Bearzot. Vent’anni, non giocò neanche una partita. ”Quella coppa è anche mia”. Dodici anni dopo. Di nuovo i mondiali. Di nuovo in nazionale. ”La quarta punta si deve allenare. Deve essere vigile. Deve sapere sfruttare l’occasione. Deve avere l’occasione. Non può sbagliare. Ce lo diceva il presidente”. Usa ’94. Washington, 28 giugno. Terza partita delle eliminatorie. Per passare basta un gol. Un solo gol. Massaro è la terza punta. Al di là, non al di qua. 0-0. ”Ora, Daniele”. Entra lui perché qualcun altro esce. Ma entra, al posto di Casiraghi. Gioca. Tre minuti, in campo. Lancio di Albertini. Un attimo, lo sguardo al cielo. Palla davanti. Campos, portiere del Messico, davanti. Sfila il pallone. Interno destro. 1-0. Veloce. [...] ”Io segnavo”. Da quarta punta. ”Il pubblico mi amava”. Nella Fossa dei Leoni, striscioni: ”Massaro sindaco”. Applaudiva ringraziava. ”Non pensavo al futuro. Entravo e giocavo”. [...]» (Claudio Cerasa, ”Il Foglio” 21/2/2006). «Pasadena è un miraggio. Daniele Massaro comincia male il Mondiale 1994. C’è, dodici anni dopo le notti mondiali del 1982. All’epoca era un ragazzino, adesso è un veterano. uno di quelli che l’anno prima nessuno si sarebbe aspettato di vedere in Nazionale. Gioca nel Milan da otto anni. Dal 1986, anno di un altro Mondiale. In Messico non c’era. Neppure in Italia nel 1990. C’è adesso, negli Stati Uniti. C’è perché ha avuto una stagione incredibile. Ha aspettato anni, stando in panchina e in tribuna. Ha visto Van Basten cercare il ritorno e non riuscirci. Ha visto Papin arrivare, giocare e andarsene. Titolare, finalmente. Lo chiamano l’uomo della provvidenza, perché a 32 anni s’è riscoperto bomber lui che non lo era mai stato. Adesso fa il centravanti e segna sempre. Nel 1993-94 prende il titolo italiano di miglior giocatore dell’anno, poi uno scudetto (il terzo consecutivo della carriera) e la Champions League. Nella finale di Atene, contro il Barcellona, fa il torero: uno, due. Doppietta, i primi due gol del poker. Meno di un mese dopo ci sono i Mondiali. Il suo vecchio allenatore Arrigo Sacchi lo convoca, lo preferisce a Beppe Signori, convocato pure lui, ma dirottato sulla fascia sinistra a fare il laterale, una specie di terzino molto alto, nonostante sia il capocannoniere della serie A. Daniele si alterna con Pierluigi Casiraghi. L’Italia perde con l’Eire, vince con la Norvegia grazie a Dino Baggio, poi gioca con il Messico. Qui Daniele fa Massaro: gol e qualificazione. Poi tocca a Roberto Baggio: Nigeria, Spagna, Bulgaria. L’Italia è in finale, il coniglio bagnato si è asciugato. Non serve l’uomo della provvidenza, se hai una stella vera, uno che tocca la palla e la fa diventare magica. Però quell’uomo il 17 luglio è infortunato. Roby gioca con una fascia, Baresi con due fori nel ginocchio. E’ stato operato in artroscopia al menisco. Ha recuperato in pochi giorni. C’è perché è capitano. Daniele, invece, è fisicamente a posto. titolare. Adesso servirebbe lui. Uno da gol strano: rimpallo, tocco casuale. Non c’è, invece. Zero a zero. Supplementari. Rigori. Baresi: alto; Marcio Santos: parato; Albertini: gol; Romario: gol; Evani: gol; Branco: gol. Massaro: parato; Dunga: gol: Baggio: alto. La croce dell’Italia su Roberto: il destino, l’infortunio, le stelle. Chi giustifica Roby, passa a Baresi: il capitano, il simbolo, l’orgoglio. Daniele? Sbaglia e nessuno se ne accorge. Nessuno lo attacca. L’uomo della provvidenza si fa parare il terzo rigore, il più importante. Pare che non conti. La fortuna di essere bravi, ma non campioni» (Beppe Di Corrado, ”Il Foglio” 27/5/2006).