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 2002  marzo 05 Martedì calendario

MATTOTTI

MATTOTTI Lorenzo Brescia 24 gennaio 1954. Illustratore. Fumettista. Studente di architettura, si avvicina al fumetto fin da giovanissimo. Dopo aver collaborato con varie riviste, da ”Frigidaire” ad ”Alter Alter”, da ”Linus” al ”Corriere dei Piccoli”, comincia a dedicarsi anche alla pittura. Oggi è considerato tra i maggiori illustratori del mondo. Vive a Parigi • «Nome di punta del fumetto italiano (uno dei fondatori del gruppo Valvoline, nell’83), che da sempre alterna l’illustrazione - per la pubblicità, la moda, i giornali - alla pittura; le sue tavole per i classici della letteratura (come il Pinocchio di Collodi o Il padiglione sulle dune di Stevenson) ai racconti per immagini, dal pluripremiato Fuochi ai libri per bambini. Un autore venerato in mezzo mondo per il suo disegno espressivo e raffinato, per la sua arte visionaria e onirica [...] Un autore tormentato, come tormentati sono sono i suoi personaggi che spesso ”sente” così a fondo da rimanerne prigioniero. ”Quando scrivi una storia sei tu che la fai ma è anche il personaggio che crei che ti influenza [...] Forse per questo per me il fumetto è oggi un misto di amore e odio. Amore perché disegnare storie mi realizza, anche se in futuro vorrei dedicarmi sempre di più alla pittura. Odio perché si sa quanto il fumetto sia considerato poco e male, come se fosse un genere anche se un genere in fondo non è. Ci lavori tanto ma ci tiri fuori poco. Raccontare emozioni con le immagini non è facile, ma se uno ci riesce almeno un po’ha già raggiunto un buon traguardo”» (Lorenzo Viganò, 2Sette” n. 8/1999). «Cresciuto nell’effervescente Bologna anni ’70, aperta ad ogni avventura nel mondo dei segni. In quel clima underground, percorso da fremiti psichedelici e furori iconoclasti, dove il gruppo ”Valvoline” cercava sbocchi surreali e patafisici per il fumetto, divenne autore di punta, all’inizio di un percorso che l’avrebbe portato a Parigi, dove oggi abita ed è considerato un grande dell’illustrazione mondiale (’Le Monde” gli affida la copertina dell’inserto mensile dedicato al libro tascabile)» (Cesare Medail, ”Corriere della Sera” 29/1/2002). «[...] mancino, esule da molte vite, re del disegno, pittore di amori circolari, narratore di perpetui addii [...] Dice: ”Per me tutti i colori hanno un significato e un mistero. Posso sovrapporli per ore, assecondarli sino a quando trovo l’armonia. L’armonia, dice un mio amico francese, è il momento in cui tutti i colori si mettono a cantare”. Ma cantare non è ancora il punto finale. Dice: ”I disegni sono davvero finiti quando tutti i loro colori non spiegano, ma comunicano, respirano”. [...] i suoi libri vertiginosi, Il signor Spartaco, Linea fragile, Pinocchio, i viaggi di Caboto, i suoi capolavori Fuochi e Stigmate, scritto da Claudio Piersanti. [...] l’acrobazia in rosso e blu per il festival di Cannes 2000, i ritratti di donne innamorabili, i gironi in fiamme della Divina Commedia, la doppia luce del Dottor Jeckyll, i mondi favolosi dei Labyrinthes e i corpi in volo di Wong Kar Way. [...] gli anni Settanta tra Como e Milano, la musica elettrica dei primi festival pop e di Re Nudo, Ballabio, Zerbo, l’underground, Radio Alice a Bologna, le prime tavole per Linus, il gruppo Valvoline, il segno duro di Andrea Pazienza, i sogni di Henry Michaux, le piscine di David Hockney, i ponti solitari della Bovisa, la fuga dall’Italia, il successo parigino, le copertine del ”New Yorker”, l’amicizia e i capodanni con Art Spiegelman, disegnatore distantissimo da lui, che gli ha comprato il suo primo studio. Lorenzo Mattotti è un calmissimo ossessivo. Lavora dieci ore al giorno. I suoi disegni valgono piccole fortune. Ha una moglie, due figli ragazzini, ma abita dentro a una sua luna silenziosa. Viene dalle geometrie variabili, isolanti, delle stanze che hanno coinciso con la sua infanzia. Viene da molte città che gli hanno traslocato intorno e da cui lui si è difeso costruendone una propria. Dice: ”Mio padre era ufficiale della Guardia di finanza. Cambiava sede ogni quattro anni. Le città erano come film, finivano sul nero e ne cominciava sempre un’altra. Io abitavo nei seguiti, sempre dopo la parola fine”. nato a Brescia nel 1954. Dopo Brescia e molto prima di Parigi, ha vissuto a Ancona, Udine, Como, Venezia, Bologna, Milano. Dice che il solo posto che non ha mai smesso di ruotargli intorno è Castelbelforte, paese di Bassa Mantovana: ”Casa dei nonni, nome carico d’avventure, dove assorbivo l’estate e le notti nere di campagna piene di fantasmi, di civette e di vampiri. A parte i terrori notturni che moltiplicavo per inventarmi inseguimenti e fughe, ho ricordi dolcissimi: i campi di grano, il cielo immobile, il fresco delle stanze, la penombra dei miei disegni”. Dice che oggi tutta la vita che galleggia nei suoi disegni arcobaleno, viene dalla paura in bianco e nero della vita. Tutto l’amore, dalla paura dell’amore. Tutte le sue superfici, in giallo e azzurro, sono in omaggio alla curve di quel tempo preziosamente dissipato a Castelbelforte. I bianchi vengono dalle nebbie lombarde. Le trasparenze dall’acqua di lago. La stanchezza dalle zanzare di agosto. E il rosso dalla lucentezza delle angurie. Dice: ”Vivo immerso in una permanente febbre di ricordi. Ho la testa piena di immagini. Le immagini sono il tempo che ho dentro, sono la mia storia”. La sua storia ha una traiettoria e una infinità di bivi. Il primo compare con i disegni di Robert Crumb fumettista del Village Voice, viaggiatore americano di strade blu e zaini hippy e allegrie rock: ”Prima volta che leggevo storie a fumetti così folli e insieme così reali, piene di vite notturne, viaggi, marijuana, ragazze, polizia, tette e masturbazione. Era pura libertà”. Sui nuovi territori di pura libertà compaiono parecchie, piccolissime rivelazioni. I Corvi in palandrana nera mentre cantano Sono un ragazzo di strada in uno scantinato di Modena. La chitarra di Gerry Garcia. La morte dei due motociclisti di Easy Rider. Gli amanti di Zabriskie Point che si rotolano nel deserto. Le gelatine psichedeliche. Le prime connessioni con altri disegnatori che imboccavano bivi, Matteo Guarnaccia, il visionario, Giovanni by Karen, alias Jacopo Fo, Daniele Brolli, il bolognese, e Altan, l’inarrivabile. Dice Mattotti: ”Ho iniziato disegnando i muri delle mie camere da letto. Copiavo Michelangelo per imparare l’anatomia. Il cinema di Fellini e di Orson Welles mi stregavano per il taglio delle inquadrature. Divoravo fumetti. Disegnavo mostri e baci. Cercavo l’energia di Crumb. Percepivo l’elettricità che attraversava il mondo. Ne avevo abbastanza della mia solitudine. Ero affamato di mondo. Inseguivo tutte le buone ragioni per mettermi in viaggio”. In viaggio, su un treno, ha incontrato Fabrizio Ostani, detto Jerry Kramsky, narratore delle sue voci off e flussi e dialoghi, segretario di scuola media per campare, esperto di vie d’uscita per fuggire. Tutti e due a esplorare frontiere di provincia italiana, disegnatori, maghi, fricchettoni, e poi insieme a visitare Milano e i regni del grande Oreste del Buono, lo scrigno delle sue tavole per Linus, dove già abitavano Crazy Cat e Li’l Abner. Dice: ”Ho cominciato a far girare le mie tavole con storie di ragazzi metropolitani. Storie cattive, disegnate veloci, con il nero espressionista che caricava l’anima”. La densità e la lentezza l’ha imparata dagli esuli sudamericani come Josè Muñoz, Carlos Sampayo e Alberto Breccia. Racconta: ”Quando ho visto gli originali a olio di Breccia, l’argentino, ho cominciato a capire l’immensità del colore e gli abissi della tecnica: nuovi mondi che mi si spalancavano”. E ancora: ”Penso che solo un altro solitario, Enzo Borgini, ceramista, incisore, mi abbia influenzato tanto quanto Breccia. Ero a caccia di libertà espressive, loro sono stati la mia rivelazione”. Poi c’è stata Venezia, la facoltà di Architettura: ”Anni di apprendistato: paesaggio d’acqua e professori straordinari, Carlo Aymonino, Manfredo Tafuri, Aldo Rossi. Da loro ho imparato l’organizzazione dello spazio. Dall’acqua l’armonia”. Friggevano gli anni della nuova rivolta, Bologna 1977 e seguenti, la politica, le notti, le sostanze. ”Il fumetto, più del teatro, del cinema, della musica, sembra la via immediata per raccontarsi l’anima. Niente costi, niente mediazioni linguistiche. Bastavano fogli Fabriano e pastelli a cera, una luce, un tè, un po’ di silenzio”. Bologna pullula di fumettari, in piena autonomia visionaria, Scozzari, Carpinteri, Igort, Jorij. Nasce l’astro notturno di Andrea Pazienza creatore di Pentotal, Zanardi, Pompeo e dei loro mondi imprendibili. Nasce Frigidaire a Roma con Tanino Liberatore e il suo Rank Xerox ghiacciato. Mattotti pubblica la sua prima storia lunga, Incidenti su Linus. Si incanta sulle tavole di Moebius che anticipa il futuro di Blade Runner. Parte per la movida di Barcellona. Interrompe Architettura a quattro esami dalla fine. Si sgancia da tutte le implosioni bolognesi. Entra negli anni neri di Milano. ”Neri con molto grigio - racconta. - Abitavo alla Bovisa, ero attratto da tutte le periferie, passavo interi giorni a Quarto Oggiaro, cercavo storie tristi, ero attratto dai ponti della ferrovia e non avevo mai una lira in tasca”. Spiragli compaiono dalla più distante tra le vie d’uscita, la moda che rinascendo sta per colonizzare il vuoto degli anni Ottanta. La moda chiede neo lucentezze ai giovani artisti dell’immagine. Mattotti disegna tappeti, stoffe, frequenta i colori dei nuovi oggetti Memphis, disegna le sue primissime copertine per Vanity Fair e Dolcevita. Ma intanto cammina dentro ai colori sabbiati delle periferie tramandati da Sironi e riempiti di attesa. Disegna Il signor Spartaco e Doctor Nefasto. Cerca avventure da raccontare come il Fitzcarraldo di Werner Herzog, e perdizioni esistenziali alla Henry Miller. ”Cercavo specialmente immagini dense, volti indimenticabili, inquadrature sorprendenti. Ho sempre lavorato contro l’apparente leggerezza del fumetto. Ho trovato la strada grazie al colore”. Stratificandolo, lui riempie il disegno di spessore e tempo, lo trasforma in una storia. ”Il colore agisce con lentezza, è il rituale con cui accarezzo i personaggi, cerco le loro sintonie, trovo nuove possibilità”. Alla fine sarà Parigi la via d’uscita, il nuovo inizio. I libri finalmente pubblicati, i riconoscimenti, fino a questo studio immenso. ”Fino al giorno [...] quando ho guardato per l’ennesima volta le piscine di David Hockney e le ho viste per la prima volta. Ho visto i corpi nell’acqua. Li ho immaginati in movimento. Non più circondati dall’acqua, ma dal flusso dei sentimenti, allacciati a altri corpi. Era il nuovo tema che cercavo. Era il tema che mi ha dato una enorme voglia di cominciare a dipingere”. Mattotti oggi dipinge grandi tele in acrilico. Dipinge stanze viste dall’alto e abbracci visti da molto vicino. ”Racconto l’unica cosa che conti, l’amore, le sue superfici blu, il suo spazio curvo”. In fondo piegare il tempo sino a comprenderlo è il tema che lo ha sempre affascinato, inseguendolo nei viaggi o contemplandolo nell’attesa. Come Henry Michaux i viaggi più importanti li ha fatti tra le pareti bianche del suo studio. Può non uscirne per dieci giorni di seguito, esplorando i colori fino a toccarne il mistero. Dice: ”Da Michaux, esploratore di spazi interiori, ho imparato a lavorare con gli acquarelli sulle macchie. Aspetto che il colore si dilati sulla pagina, vedo quello che ancora non c’è, trovo segni che diventano occhi e corpi”. Riempie decine di quaderni. Senza destinazione, senza progetto. ”Sono il sismografo delle mie emozioni. Mi vengono in automatico, sono perfettamente gratuiti e senza scopo, a parte quello di salvarmi la vita [...] Mi piacerebbe, un giorno, dipingere tavole astratte dentro una storia, senza che il lettore se ne accorga. Mettere un piccolo specchio dentro la sua anima, accendergli una rivelazione”. [...]» (Pino Corrias, ”la Repubblica” 24/7/2005). Vedi anche: Mariarosa Mancuso, ”Sette” n. 21/1999.