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 2002  marzo 05 Martedì calendario

MAURO

MAURO Ezio Dronero (Cuneo) 24 ottobre 1948. Giornalista, direttore de ”la Repubblica” • «[...] è un piemontese di Dronero che presto si trapiantò a Torino. Incline alla sinistra per natura, frequentò però la scuola dai salesiani. L’impasto ne ha fatto un cattocomunista dalla testa ai piedi. Debuttò come giornalista alla Gazzetta del Popolo. Il quotidiano - ormai estinto da un quarto di secolo - era allora nelle mani di Carlo Donat Cattin, politico e sindacalista della sinistra dc. Nella direzione c’era il figlio, Claudio, cui Ezio si attaccò facendogli da factotum. Nello scrivere, il ragazzetto dimostrò subito due caratteristiche: zelo e puntigliosità. Preciso, informato, senza voli. Ma la sua virtù principale era la capacità di adattamento all’interlocutore. Se intervistava l’allora sindaco comunista di Torino, Diego Novelli, gli dava l’impressione di essere un compagno. Se parlava con Guido Bodrato, allora potente dc piemontese, quello avrebbe giurato di trovarsi di fronte a un chierichetto. Queste virtù camaleontiche furono poi il viatico della sua bella carriera. Dalla Gazzetta, Ezio passò dieci anni dopo, nel 1981, alla Stampa. A inserirlo nell’universo Agnelli, fu Marco Benedetto, l’amministratore del giornale. D’ora in avanti, Mauro ne sarà il delfino. Fu Benedetto infatti - divenuto consigliere delegato di Repubblica - a introdurlo anche nel quotidiano di Scalfari alla fine degli anni ”80. Della Stampa, Ezio divenne in breve una star. Si trasferì a Roma e cominciò a frequentare Montecitorio come cronista parlamentare. Sono gli anni dell’antagonismo tra il dc Ciriaco De Mita e il psi Bettino Craxi. Se un giornalista aveva rapporti cordiali con l’uno, con l’altro aveva chiuso. Ezio invece era in buona con entrambi. A Ciriaco faceva credere di pendere dalle sue labbra, a Bettino di essere la luce dei suoi occhi. Ma era solo innamorato di sé e badava unicamente alla carriera. Fece un eccellente lavoro e divenne capo della redazione romana. Ogni tanto entrava in redazione col viso sgualcito. I colleghi lo attribuivano a tenzoni amorose. Storie in genere complicate e celebrali. Oggi, è separato dalla prima moglie e ha un bimbo da una nuova compagna. Nonostante la vita ardita, Mauro è un tipo di rigorose apparenze. Si ispira ai principi dell’azionismo torinese, un tempo incarnato da Norberto Bobbio e Alessandro Galante Garrone, entrambi vezzeggiati collaboratori della Stampa. In soldoni: rigida austerità, ossequio al Pci e al sindacato, rifiuto per la destra, disprezzo per Craxi, disgusto per Berlusconi. Il tutto in stile piemontese falso e cortese. Tra questi punti fermi, il sobrio vestire mutuato dalla galleria dei mitici direttori del XX secolo, gli Albertini, i Frassati, i Missiroli. Il marchio di Ezio è la camicia bianca, abbacinante e con bagliori, cui attribuisce un significato etico di autorevolezza ed equilibrio. Nell’88, presentato dal già citato Benedetto a Scalfari, Ezio entrò a Repubblica con l’aureola di direttore in pectore. In vista del salto, fu subito messo a fare grandi cose. Andò come corrispondente a Mosca per seguire l’affossamento dell’Urss intrapreso da Gorbaciov. Lievitò ogni giorno di più, sommergendoci di sue interpretazioni sulla perestrojka. [...] Dopo la Russia passò negli Usa, dove fu cooptato nell’aurea cerchia del giornalismo italo-newyorkese dei Furio Colombo, Gianni Riotta, Lucia Annunziata. Quando si sentì pronto per la direzione, cominciò a sperimentarla con un improvviso rientro alla Stampa come vice di Mieli nel ”90 e poi alla direzione. Finché nel ”96 si insediò finalmente alla testa di Repubblica scalzando, con stupor del mondo, il settantaduenne Eugenio ancora pieno di linfa e di vigore.[...]» (Giancarlo Perna, ”Il Giornale” 26/11/2007) • «Della ”Stampa” mieliana, tentata alla lontana dalla verità, fece un giornale di ancor più stretta e ravvicinata ortodossia bobbista. stato premiato e gli hanno dato ”Repubblica” dove ha fatto faville, perché è un Dio della cronaca, senza recuperare però la famosa ”autovevolezza” invocata dall’Avvocato, suo estimatore. Classico faccio tutto io, e fatto da sé lui medesimo, agitatissimo. Cronista politico a Montecitorio, inventò la vestizione del leader, un resoconto di guardaroba con cui gratificò un pochetto Ciriaco De Mita. Non è particolarmente colto, ma è informatissimo e furbissimo; non è particolarmente versatile nella scrittura, ma quando vuole ha doti di asciuttezza e sa picchiare; si dice sia castrato dall’ombra di Eugenio Scalfari, che continua a opprimere il giornale, ma il giorno della rivolta s’avvicina. Sua frase preferita: ”Ce l’abbiamo solo noi!”» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 24/10/1998) • «[...] Quando andai via, Agnelli mi chiese quante volte in tanti anni avevo partecipato a un ricevimento. Quattro, risposi. Anzi, no: tre. [...] Uno dev’essere giudicato per il lavoro che fa. Quello che sei, lo vedi dal giornale che fai. E gli amici diventano quelli con cui lavori, con cui godi e patisci per una notizia in più, una notizia in meno... [...] E il giornale è il tuo mondo. Anche un’avventura culturale, un modo di giocare: con i colleghi si scherza, ci si diverte. Misurando di continuo la bella scrittura e la buona lettura. Leggi un articolo e capisci subito dall’odore, dalle prime righe, se è buono o no. Altro che salotti! [...] Mi piace dirigere un giornale. Ma mi sono divertito molto anche nei primi anni alla Gazzetta del popolo e in quelli da corrispondente a Mosca e da inviato, quando il mondo cambiava sotto i nostri occhi. Andare, guardare, raccontare... Si diventa giornalisti per questo. [...]» (Cesare Lanza, ”Panorama” 11/1/2001) • «[...] Una mattina mi chiama Scalfari a Torino e mi chiede di incontrarmi l’indomani a casa sua. Metto giù il telefono e capisco. ”Ti parlo a nome di Carlo Caracciolo e di Carlo De Benedetti”, mi dice Scalfari il giorno dopo a Roma. ”Se ti interessa e mi dici di sì, si fa”. ”Altri candidati?” chiedo. ”Se tu accetti, non ce ne sono”, fa lui. ”Mi interessa molto. Ma se Gianni Agnelli mi chiede di rimanere alla ”Stampa’ non gli dico no”. Avevo avvertito l’Avvocato che mi aveva dato un passaggio sul suo aereo e un unico stranissimo consiglio: ”Sia molto gentile con Scalfari” [...] Dopo l’incontro con Scalfari, ci siamo rivisti nel mio ufficio alla ”Stampa”. Era con Carlo Caracciolo con cui aveva pranzato. Abbiamo solo ”cazzeggiato”. Di ritorno a Torino gli ho detto che sarei rimasto solo se lui avesse avuto ancora bisogno di me. [...] A ”Repubblica” non avevano conosciuto altro direttore che Scalfari, con lui molti dal nulla erano arrivati al successo. Pensi che tipo di legame c’era. Succedere al fondatore è stato delicato e complicato. Ogni cambiamento era faticoso. Come se voltare pagina fosse qualcos’altro. Poi a un certo punto, tutto è diventato semplice [...]» (Denise Pardo, ”L’espresso” 26/1/2006) .