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 2002  marzo 05 Martedì calendario

MAY

MAY Fiona Slough (Gran Bretagna) 12 dicembre 1969. Saltatrice in lungo. Genitori giamaicani, dal giugno del 1994 ha il passaporto italiano, in seguito al matrimonio con Gianni Iapichino, sposato il 12 maggio 1993. laureata in economia e commercio. Ai campionati mondiali vanta due successi, nel 1995 a Goteborg e a Edmonton nel 2001 ma ha anche vinto un argento nei 1999 a Siviglia e un bronzo ad Atene 1997. Iridata ai mondiali indoor di Parigi ”97, alle Olimpiadi ha ottenuto due secondi posti, nel 1996 ad Atlanta e nel 2000 a Sydney. Ai campionati Europei non ha mai vinto: seconda nel 1998 a Budapest, terza nel 1994 a Helsinki. Detiene i primati italiani nel lungo con 7.11 all’aperto e 6.99 indoor e nel triplo con 14.65 e 14.56 indoor. Dal 1987 ha conquistato dodici medaglie internazionali. «L’apparizione di Fiona May (agosto ”95, vittoria ai Mondiali di Goteborg) ebbe un duplice effetto: restituì all’Italia un’atleta leader che mancava dai tempi di Sara Simeoni e d’improvviso sprovincializzò l’atletica italiana e, per certi versi, anche l’intero sport italiano. Dopo dieci anni si può fare un bilancio della sua carriera simbolica, al di là di quella prettamente agonistica, che è stata straordinaria (due argenti alle Olimpiadi, due mondiali vinti le vette): se come leader è stata alla fine una figura incompiuta, come traghettatrice verso la modernità ha adempiuto pienamente al suo compito. Con Fiona May l’Italia aveva per la prima volta un atleta di colore, uomo o donna che fosse, a guidarla. La tematica dell’immigrazione e dell’integrazione diventava così palese e risolta felicemente (nello sport), in un paese che l’aveva affrontata in ritardo, decenni dopo la Francia e la Gran Bretagna, il paese dal quale Fiona veniva. La sua naturalizzazione e l’ingresso nella nazionale azzurra era un altro riflesso delle nuove dinamiche dello sport internazionale, che vede gli atleti spostarsi e non più essere inchiodati alle proprie nazionalità. Processi che hanno significato più libertà ma anche soprusi, razzie, furbate: la storia di Fiona in questo senso è limpida, essendo diventata italiana per amore dell’astista Iapichino, e per questa nuova patria avendo gioito (per lo più) senza remore o rimpianti, portando il peso di eterna salvatrice dell’atletica italiana. stata Fiona ad aprire la strada. Dopo di lei sono stati possibili la Martinez, Andrew Howe, il giovane Kaba Fantoni. Dopo di lei è venuto anche Carlton Myers come portabandiera olimpico a Sydney 2000, raccogliendo un simbolo che Fiona avrebbe meglio rappresentato. Il processo naturalmente è stato reciproco: se Fiona ha traslocato le proprie passioni in Toscana, il resto dell’Italia è rimasto affascinato dai suoi salti, percependo anche la sua dedizione alle sorti del tricolore che faceva innalzare sui pennoni a ogni manifestazione. C’è stato un momento in cui a metà degli anni ”90 lo sport e la società italiani si sono innamorati di stranieri che hanno fatto decollare (nel caso di Fiona non è metafora) culturalmente e tecnicamente, lo sport italiano. Sono gli stessi anni della fascinazione subita dalle arti di Julio Velasco, per il quale, in una certa fase, sembrava fossero aperte tutte le porte degli spogliatoi e dei palazzi del potere. L’impatto di Fiona sugli italiani è stato tale che lei stessa ha immaginato che il suo personaggio potesse funzionare anche altrove, disegnando per la prima volta una carriera per un’atleta al di fuori della sua disciplina. Le sue armi erano la bellezza, la naturale eleganza, le gambe lanciate in aria come un trampoliere. Fiona annunciò che avrebbe fatto l’indossatrice (e lo fece anche in qualche sfilata), una volta confessò che le sarebbe piaciuto presentare il festival di Sanremo. Considerando certe comprimarie su quel palco, non avrebbe certo sfigurato. E poi tanta pubblicità, quanta altri non hanno mai fatto, a conferma di quanto avesse scavato nel cuore degli italiani. E ancora altri spot, ancora adesso dopo la gravidanza, che non ha intaccato il suo appeal ma solo la sua capacità agonistica. Il suo finale è stato in calando, anche con la sottovalutazione dei riflessi della maternità sul suo fisico. Tanti propositi si sono sbiaditi, l’atleta poi resta sempre un individualista per il quale è difficile pensare per progetti collettivi. E poi il resto del mondo è meno interessato quando i salti diventano così corti. Fiona ha spesso detto che le piacerebbe ancora restare in questa atletica che, grazie a lei, è cambiata, ha cambiato i suoi colori. A lei il compito di trovare il suo nuovo messaggio» (Corrado Sannucci, ”la Repubblica” 29/6/2005).