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 2002  marzo 05 Martedì calendario

MAZZONE

MAZZONE Carlo Roma 19 marzo 1937. Allenatore di calcio. Primatista di panchine in Serie A • «[...] Strano destino quello di Sor Magara, romano di vicolo del Moro, Trastevere [...] ha messo assieme soltanto 2 promozioni in A (Ascoli ’’74 e Lecce ”88) e una promozione in B (Ascoli ”72). La grande occasione arrivò nel triennio alla sua amatissima Roma: ma era solo una Rometta (’M’avete dato una Formula 1, sì: ma con le ruote sgonfie”, disse poi) e il miglior risultato fu un quinto posto. Anche a Perugia, nel 2000, non vinse lo scudetto (come avrebbe potuto?) ma lo veicolò alla Lazio - paradossale per un ultrà romanista come lui - battendo la Juve sotto il diluvio. Quasi 40 anni di pallone spesi in provincia: Ascoli, Catanzaro, Lecce, Pescara, Cagliari, Perugia, Brescia, Bologna, Livorno. ”Io sono come Trap: la differenza è che i miei scudetti sono le salvezze”. [...] con il calcio si è arricchito ma non ha avuto vita facile, nè regali [...] indossa sempre la tuta, al campo d’allenamento come al ristorante: ”In giacca e cravatta nun ce posso stà”. un grande maestro di calcio. [...] a Brescia ha imposto Toni e rilanciato Roberto Baggio. Però non sono tutte rose e fiori: quando c’è la partita Mazzone si trasforma e torna ”de borgata”, urla agli arbitri, impreca con gli avversari e una volta, a Reggio Emilia per Atalanta- Brescia, ha perfino sfidato un’intera curva. Perdeva 3-1 e gli ultrà atalantini lo beccavano, poi Baggio pareggiò: lui si precipitò urlando sotto la curva bergamasca. Giurò pentimento: ”Non lo farò più”. [...]» (Francesco Zucchini, ”Libero” 16/3/2006). «Una specie di coscienza storica della categoria, non le manda a dire, non tiene sassolini nelle scarpe, per questo è simpatico anche a tifosi di altre squadre […] ”Il calcio è la mia vita. […] Ho lavorato quasi sempre nella fascia medio-bassa. I miei scudetti sono le salvezze, anche alla trentaquattresima domenica […] L’angoscia, lo stress, quelli li conosco solo io. E anche fare il pendolare alla mia età mica è uno scherzo. Va be’ che non guido io, ma tutte le domeniche sera, cioè notte, torno ad Ascoli. A volte arrivo abbastanza presto, a volte alla due di notte. Mia moglie mi aspetta, mangiamo insieme, è così da una vita. E il giorno dopo stacco per tutti, niente telefonino, si va sulla costa a mangiare il pesce. Il martedì mi alzo presto e torno a Brescia, anzi a Coccaglio. Campo e albergo, albergo e campo. Ogni tanto qualcuno mi dice: mister, non la vediano mai a Controcampo, o alla Domenica sportiva: Ma come faccio a andarci? Già così, ogni tanto ho dei rimorsi: i figli visti un giorno la settimana, i nipoti. Solo una volta mi sono portato la famiglia appresso, a Firenze. Ma i ragazzi avevano nostalgia di Ascoli, erano tristi. Così ho deciso che ”sta vita era meglio se la facevo solo io. Mica mi lamento. Io sono nato povero, non è un segreto. Siccome giocavo a calcio, solo io mangiavo la carne tutti i giorni, e le mie sorelle mortadella. Queste cose non si dimenticano […] La serie A è l’università del calcio e io mi sento ancora come un maestro elementare. Dò lezioni di tecnica, mentre mi piacerebbe parlare di tattica a elementi già maturi. Per l’età che ho, la mia qualifica è di direttore tecnico, ma faccio ancora l’addestratore. […] Ho cominciato ad allenare nel pieno fiorire del calcio olandese. Allora non è come oggi, che accendi la tv e vedi anche le partite del campionato cinese. Quelle poche volte che vedevo l’Olanda, pensavo: ci vorrebbero due palloni, uno anche agli avversari. Ce l’avevano sempre gli olandesi. Allora non si facevano le percentuali del possesso di palla, ma penso fossero altissime. E quello che li teneva insieme era il gioco, il gusto del gioco. Poi Cruyff poteva arretrare da terzino, Krol fare l’ala sinistra, ma quella era la réclame del gioco di squadra, uno per tutti e tutti per uno. Il calcio olandese mi ha entusiasmato, ma anche quello inglese, quei bei cross dall’ala per il centravanti, fatti come si deve […] Ho fama di catenacciaro. Ingiusta, ma ce l’ho. Ma a Bologna giocavo come adesso il Chievo, perché avevo le ali (Nervo, Binotto, Fontolan) e davanti Andersson e Signori. Giocammo 65 partite, quella stagione. Vincemmo l’Intertoto, arrivamo alle semifinali di Uefa. A Brescia sono partito con la difesa a tre, ma la media dei gol presi all’inizio era pesante, due a partita. Così mi sono coperto con Martinez e Seric. Però io non ho un modulo preferito […] Mi chiedono: lei che allenatore è? E io rispondo: un allenatore. Non difensivista, non offensivista, non italianista, non olandesista. […] Un merito ce l’ho: i giocatori che mi danno, li faccio rendere al massimo. Sotto l’aspetto tecnico, tattico, fisico e caratteriale”» (Gianni Mura, ”la Repubblica” 22/4/2003).