Varie, 5 marzo 2002
MELANDRI
MELANDRI Marco Ravenna 7 agosto 1982. Motociclista. Campione del mondo 250 nel 2002. «A 20 anni e 74 giorni, finalmente per lui, per il suo fragile carattere, per la sua tenera timidezza, ha preso un record che serve. E´ stato il più giovane vincitore di un trofeo Honda, aveva 14 anni e 81 giorni, il più giovane vincitore di un gran premio (ad Assen, in 125, aveva 15 anni e 324 giorni). E il più giovane impennatore a fini pubblicitari di un motorino Aprilia, il più giovane indossatore di una tuta che pubblicizza il fumo (Ms, per la precisione). Ora è il più giovane campione del mondo delle 250 e nell’era dei baby-bikers, aperta da Loris Capirossi nel 1990 con la vittoria del mondiale 125 a 17 anni, è cosa bella e onorevole. […] Detto Macio […] ”Sono maturato, ma dentro di me rimarrà sempre quel campionato in 125 buttato via per un punto. L’amicizia con Valentino? In questo mondo c’è sempre meno sport e più business, è il sistema che non vuole che restiamo amici. Se ci sarà volontà da parte nostra, si potrà andare avanti come prima”. […] ”Spero di correre in moto per un bel po’, anche perché non ho nessuna voglia di lavorare”. […] Ha vinto un mondiale 250 svuotato di contenuti tecnici dalla nascita delle MotoGp» (Corrado Zunino, ”la Repubblica” 21/10/2002). «Sulle piste bonsai, tra Pesaro e Riccione, s’è fatto le ossa. Lui piccoletto, Vale già un gigante in erba. Facendo sua la tipica filosofia romagnola che vuole ”il secondo in classifica come primo degli sconfitti”, non poteva non sfondare nel Motomondiale. Ma, a differenza di Rossi, la sua non è stata una carriera tutta rose e fiori. Anzi, le amarezze non sono certo mancate. Dopo l’esordio nel ”97, a 15 anni, nel ”98 arrivano le prime vittorie, però è l’anno successivo che sfiora il titolo nell’ottavo di litro. Vince 5 gare ma non basta: davanti a lui, per un solo punto, si piazza lo spagnolo Alzamora, passato alla storia per non aver mai vinto un Gp in quella stagione per lui tanto fortunata. Complice quell’amara sconfitta, il romagnolo è cresciuto in fretta. Passato dalla Honda all’Aprilia, dalla 125 alla 250, sulle orme di Rossi, ha sudato un anno e mezzo prima di cogliere in Germania, al Sachsenring, la prima vittoria nella quarto di litro nel luglio del 2001. Nel 2002 non era partito bene, con la duplice caduta nel nubifragio di Suzuka, in Giappone. Poi ha rotto il ghiaccio vincendo in Sud Africa. Sbattuto in terra in Spagna, è arrivato secondo in Francia per poi vincere a raffica al Mugello, a Barcellona, in Olanda, in Inghilterra e nella Repubblica Ceca. Il momento d’oro del suo Mondiale. La svolta della stagione. Secondo in Portogallo e quarto in Brasile, sotto la pioggia che non ama, ancora secondo in Giappone, a Motegi. In Malesia poteva già chiudere la corsa al titolo, l’elettronica l’ha costretto a rinviare l’appuntamento. Di una sola settimana, con l’apoteosi di ieri a Phillip Island. Non è personaggio come Rossi, non ha le trovate geniali o i guizzi del pesarese ma, almeno, ha imparato a non scimmiottarlo più. Gli piace tirare tardi la notte, adora la pasta, cucina in modo delizioso e molto spesso si cimenta tra le padelle anche nel paddock, preparando piadine per tutti. Vive a Londra, ama la musica techno e il suo cantante preferito è, manco a dirlo, Vasco Rossi, uno che in quanto a vita spericolata la sa lunga. […] E’ testimonial dell´organizzazione umanitaria di Gino Strada» (’La Stampa” 21/10/2002). «Aveva quattro anni quando perse la madre, quando a Ravenna cominciarono a chiamarlo ”Macio” osservando quella vivacità che aveva, caricata dal dolore. Biciclette, motorette e quel biondino, Valentino, con il quale correre in parallelo. Tre anni di scarto e una traccia obbligata sull’asfalto. Una somiglianza che è diventata un’eredità e poi un peso, essendo l’altro quello che è, Valentino Rossi, appunto. Lui è più timido, meno estroverso, la sua sofferenza è una cicatrice e la cicatrice si vede, anche se babbo Dino l’ha aiutato sempre anche se Loris Reggiani più che un manager è un fratello maggiore. A dispetto del ”Macio”, è dolce nel profondo, buono dentro; forse perché certe solitudini sono come le orecchie dei quaderni, non vanno via mai. Nel suo camper ha appeso una sua foto e si è fatto una dedica da solo: ”A Marco, con affetto, Macio”. Come farsi una carezza, afferrare una coperta contro un freddo improvviso. Gli piacciono le macchine, le ragazze, è un mostro quando mette i dischi e balla con capelli colorati ma ha occhi da cucciolo ancora adesso e il duro riesce a farlo solo in moto. Talento, strepitoso, ma anche la paura di non farcela, di avere addosso un destino non all’altezza della fama, delle attese. Ha perso il titolo 125 per un punto; ha temuto di avere a che fare con lo stesso sapore e così sulla maglietta del trionfo ha disegnato un’istrice - il suo portafortuna - che rompe una scritta col martello pneumatico: ”Quasi campione del mondo”. Il ”quasi” come un’ossessione da frantumare, come una liberazione conquistata» (Giorgio Terruzzi, ”Corriere della Sera” 21/10/2002). Vedi anche: M. Farina, ”Sette” n. 42/1999.