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 2002  marzo 05 Martedì calendario

MELATO

MELATO Mariangela Milano 18 settembre 1941. Attrice • «Fellini la descriveva come una via di mezzo tra una divinità egizia e un extraterrestre. [...] sembra arrivare da un altro pianeta: bella da togliere il fiato - con quello sguardo che sembra, ogni volta, sfidare il mondo [...] ”quando mi definiscono la ”signora del teatro’ non mi fa piacere. E’ un’etichetta che mi sta stretta, mi fa arrabbiare, mi infastidisce da morire [...] sono stupita di quante cose ho fatto nella vita. E’ bello pensare di aver vissuto così intensamente, sentendo ogni momento e vivendo ogni istante. Questo è vivere [...] a volte temo di averne fatte anche troppe, di cose. Capisco ora come possa essere stato difficile starmi vicino, sebbene non abbia rimpianti o recriminazioni. In nessun momento ho pensato che avrei potuto vivere diversamente: se avessi rinunciato al lavoro, se con un fidanzato fossi andata alla Maldive ogni anno, per esempio, invece di stare su un palcoscenico, non avrei fatto di certo una vita migliore [...] Ho fatto tanto cinema quando in Italia era una forma espressiva forte, prima della crisi degli ultimi anni. Ora il cinema rinasce, ma i ruoli non sono più quelli fantastici di quando ho iniziato. Adesso le attrici vecchie lavorano poco, al massimo ritagliano qualche particina in una fiction televisiva. In teatro, invece, sono stata bambina, vecchia, figlia, madre. Piuttosto che la parte di una nonna in una soap opera mi suicido. Senza dubbio è meglio Medea o Fedra, o no?”» (Monica Perosino, ”La Stampa” 7/5/2004) • «Ho da sempre una vocazione a immolarmi, spinta da una passione per il lavoro. un tipo di passione che al contrario di quelle amorose non ti spezza mai le gambe, e ti lascia intatta la curiosità. Ho una volontà forte, che mi mangia il fisico. Mangio male. Ho la pressione alta. Ma, mi dicono, conservo una pelle liscia. A dispetto di chi mi reputa invulnerabile e spietata, sono profondamente buona. Sento di dover giustificare il mio successo con un mucchio di fatiche. E avendo conosciuto la sofferenza, non potrei mai essere molesta, prepotente. Fin da giovanissima, ho avuto la consapevolezza di non poter vivere una vita normale. M’è piaciuto un mestiere dove piango, rido, m’angoscio ma comunque fingo. […] Mi piacciono la pittura, i musei, i paesini italiani, la New York del teatro-cinema-ballo, la casa di piazza Navona, la sana solitudine, i pochi amici, l’intelligenze delle persone, un’indicibile immagine privata di dolore che porto sempre con me, l’ordine meticoloso nel camerino, la coscienza e anche la resistenza a un bisogno di qualcosa di più» (Rodolfo Di Giammarco, ”la Repubblica” 29/1/2002) • «[...] Il complimento che Mariangela Melato preferisce - ogni tanto glielo ripetono - è quando le dicono: sei magnetica. Sì: magnetica le piace molto. Il tutto esaurito ai suoi spettacoli la riempie di orgoglio, e guai se una poltrona rimane vuota. [...] è implacabile con il suo pubblico: ”Sento tutto, mi accorgo di tutto. Anche i brusii in ultima fila. Ho un udito pazzesco. La mia sarta mi dice sempre che io sono quella che sente l’erba crescere. Il peggio che può capitare a un’attrice è un telefonino che squilla in sala. Ma anche il silenzio può essere tremendo [...] ci sono due tipi di silenzi. Quello partecipe, che è meraviglioso, e quello assente: terribile. Io li distinguo benissimo. L’altra sera c´era un signore in prima fila che a un certo punto ha guardato l’orologio. Volevo sbranarlo. Da quel momento ho recitato solo per lui: ogni urlo, ogni sfuriata, ogni sussurro era per lui. solo coinvolgendo il pubblico che si crea questo rapporto stupendo che può esistere solo a teatro, e che lo rende unico. Un rapporto vero, fatto di amore e odio, un duello. Quando sei sul palcoscenico dimentichi tutto. Le bollette da pagare, i figli che non hai, i reality in televisione, gli acciacchi, il mal di schiena. Anche se stai male non te ne accorgi: l’adrenalina ti fa dimenticare tutto. Solo allora ti senti magnetica [...] Non è possibile paragonare il cinema con tutto quello che mi offre il teatro, dove ho recitato la parte di una bambina di sei anni, in Quel che sapeva Masie, ma anche quella di una donna di 337 anni, dotata di eternità, nel Caso Macropulos. Come faccio a confrontare questi ruoli pazzeschi con quelli di qualche pallida zia o di qualche madre incolore che mi offre oggi il cinema italiano? E poi, se mi guardo intorno, non vedo tutti questi capolavori. Quale ruolo in quale film avrei voluto che mi fosse offerto? Non me ne viene in mente nessuno [...] Mi piace Giovanna Mezzogiorno. Mi piace Margherita Buy. E anche Valeria Bruni Tedeschi, Valeria Golino, Isabella Ferrari. Peccato che non siano molti i ruoli che il cinema offre, o che siano spesso stereotipati... [...] Non riesco a pensarmi in pensione, mi vedo ancora al lavoro a novant’anni. Dentro di me mi sento ancora Giulietta, anche se è un ruolo che non ho mai recitato, e invece alla mia età potrei fare la nonna, la nutrice... Dio mio, non ci posso pensare. Vado avanti finché posso...”. E poi? ”E poi non farò certo una plastica. Intendiamoci: sono solidale con tutto quello che può far star meglio una donna, ma non mi uniformerò mai agli schemi correnti, i labbroni, i tiraggi. Le donne rifatte si assomigliano tutte. Dovrebbero invece affinare le caratteristiche che le rendono uniche, la loro personalità segreta. La bellezza sta proprio nella diversità, nel coraggio di essere diverse. Io le mie rughe me le tengo: e poi la collana di Venere l’ho sempre avuta. Certo qualche sacrificio lo faccio: mangio poco, soffro la fame per entrare nei costumi. Ma accanirsi crudelmente contro se stesse crea soltanto nevrosi”. La personalità: lei ne ha da vendere. Sempre avuta. ”Da giovanissima feci un provino con Luchino Visconti, per una piccola parte nella Monaca di Monza. Dal fondo della sala, dopo un attimo di silenzio, sentii la sua voce che mi diceva: pari una rana, ma che coglioni che hai! Sei disposta a tagliarti i capelli? Io risposi al volo: anche i piedi, signor conte!”. Da commessa a vetrinista della Rinascente a studentessa di belle arti a trovarobe a suggeritrice ad aspirante cabarettista fino al grande successo: Strehler, De Sica, Bertolucci, Monicelli, Petri, Brusati. E soprattutto Lina Wertmuller che ha imposto la sua bellezza aguzza: ”In Mimì metallurgico la produzione non mi voleva. Ero considerata troppo strana. Volevano la Sandrelli”. Uno dopo l’altro la Melato ha salito tutti i gradini. Solo con gli anni ha superato il complesso di avere studiato poco: ”Non sono una persona colta, però leggo i quotidiani, mi tengo informata e mi aiuto con l’intuito. Per anni sono stata zitta ad ascoltare gli altri, e a imparare”. Da chi ha imparato di più? ”Da Ronconi: intelligenza pura che mi sbalestra ogni volta. Da Dario Fo: un mago del ritmo, artista a tutto tondo. Da Visconti: dotato di un fascino fisico violento, che metteva paura”. Il perfezionismo è una delle sue regole di base: ”Se non do tutta me stessa non mi sento all’altezza e ho dei complessi di colpa mostruosi. Possono dirmi: non mi sei piaciuta, ma non che ho tirato via. L’aspirazione al meglio deve esserci sempre”. Altra regola è l’ironia, l´umorismo: ”Non bisogna mai prendersi troppo sul serio. Solo sdrammatizzando si vive meglio con se stessi, si ha maggiore tenerezza, ci si accetta anche nei giorni neri”. Si definirebbe ancora una zitella felice? ”Zitella sicuro, felice non saprei; una giornata interamente felice non esiste, esistono piccoli momenti di gioia che ho imparato a ritagliarmi. Certo mi sono abituata alla solitudine sentimentale, all’indipendenza, a vivere senza uomini. come se gli uomini fossero spariti: cercano donne molto diverse da me, donne deboli, donne geishe e condiscendenti. Ma io non ho mai fatto Come tu mi vuoi: non l’ho fatto a teatro, figuriamoci nella vita”. Piace molto alle donne omosessuali: ”Un po’ per i ruoli che faccio, un po’ per la mia voce, per la mia fisicità, per non vedermi mai fotografata mano nella mano con il fidanzatino di turno”. Il fatto di non avere avuto figli non è per lei un tormento, anzi: ”C’è molta retorica attorno alla maternità. come se una donna non fosse interamente realizzata se non ha messo al mondo un figlio... Io non l’ho mai sentita questa mancanza, né ho mai avvertito il desiderio di avere un bambino, neanche durante i miei grandi amori. come se le donne avessero paura di non lasciare il segno del loro passaggio sulla terra...”. Da ex povera, come si definisce, figlia di una famiglia modesta, madre sartina, padre vigile urbano, il troppo la spaventa: ”Il mio sogno sarebbe riuscire a buttare via tutto il superfluo, avere solo due vestiti, avere una casa spoglia, con dentro quasi niente. Da Renzo Arbore, con tutti quei soprammobili, quell’horror vacui, mi mettevo le mani nei capelli”. Il suo rapporto con la religione è un rapporto fai da te: ”Sono non praticante, non osservante, certo però a qualcuno bisogna rivolgersi. E così cerco di farmi una religione mia personale. Cerco di essere una persona profondamente buona, mi faccio depredare, vado incontro a delusioni terribili in una società in cui a vincere sono sempre i furbi. Ma io sono contenta di essere così: mi sono riproposta di non fare mai coscientemente del male a nessuno, per nessun motivo. Credo sia già una forma, se non di religione, per lo meno di rispetto verso il prossimo”» (Laura Laurenzi, ”la Repubblica” 26/3/2006).