Varie, 5 marzo 2002
MENTANA
MENTANA Enrico Milano 15 gennaio 1955. Giornalista. Dal 2010 direttore del Tg de La7. Fino al novembre 2004 direttore del Tg5 • Ha scritto Aldo Grasso: « il più bravo. Nessuno come Mentana ha saputo interpretare il ruolo del conduttore: per ritmo, per senso della notizia, per autorevolezza. Le volte che ci è capitato di richiamare una pagina di un tg particolarmente efficace, un momento su cui riflettere, una sequenza di grande giornalismo tv, la mente è sempre corsa a quella sera del 2001 quando Mentana, commentando i tragici eventi della morte di Carlo Giuliani durante gli scontri del G8 a Genova, era riuscito a costruire un tg di rara intensità e di grande mestiere. Da antologia. Il Tg5 è il più moderno fra i tg italiani: cucito come un abito di sartoria sul suo direttore, ha fatto della cronaca l’ariete contro l’invadenza della politica e l’enfasi stucchevole del politichese. moderno perché sa che in un palinsesto la vitalità di una proposta dipende da un prima e da un dopo. La coabitazione con Striscia la notizia lo ha indotto inoltre a dare una cadenza e un taglio alle notizie sconosciuti ad altri tg. Una volta Mentana ha spiegato la sua filosofia: ”Sono cresciuto con la tv, appartengo alla generazione dei computer e credo di aver imparato una certa sintassi della comunicazione, per cui se un avvenimento è poco importante si danno due righe, se lo è abbastanza si fa un servizio, se è importantissimo si fa un collegamento”. Qualcuno lo ha accusato di furbizia: il dare più spazio alla cronaca che alla politica è stato il modo di affrancarsi dalle pressioni del suo editore, che si chiama Silvio Berlusconi. Non sarà facile percorrere una via diversa. E comunque, così facendo, Mentana si è liberato di quell’indecenza che si chiama pastone e dalle litanie dei ”panini” e della finta par condicio. A differenza di molti suoi colleghi, ha capito che anche in tv l’unica forza cui aggrapparsi è la credibilità. Un fantasma cui è bene credere e utile affrontare» (Aldo Grasso, ”Corriere della Sera” 12/11/2004) • «Il Mentana-pensiero, o la Mentana-ideologia, si definisce con chiarezza nel 1994, all’epoca della ”scesa in campo”. troppo professionale, Enrico, detto Chicco, soprannominato Mitraglia, per poter scegliere il ruolo del trombettiere mediatico del suo padrone. Ha costruito un telegiornale dal nulla, ha codificato la scelta della cronaca come tratto distintivo del Tg5, ha imposto se stesso come regista dei grandi eventi, come presenza che segnala l’importanza di un confronto politico; con il tempo si è avvicinato agli share del Tg1, pedinando minacciosamente i direttori susseguitisi a Saxa Rubra. Ridursi a un’imitazione di Emilio Fede non rientra nei suoi canoni, neanche stilistici. I telespettatori che scelgono il suo telegiornale devono sapere che Mentana in primo piano rappresenta la credibilità necessaria dell’informazione targata Fininvest o Mediaset. Insomma, ci mette la faccia. La sua. Faccia da ex ragazzo socialista. Ma guai a dire che il suo arrivo da giovanissimo alla Rai era il frutto di quelle assunzioni spartitorie che Bettino Craxi sintetizzò nel numero telefonico 643111 (6 ai democristiani, 4 ai comunisti, 3 al Psi, 1 ai laici minori): Mentana immediatamente rettifica, precisa, ribadisce e ammonisce che il suo ingresso nell’informazione pubblica avvenne secondo i parametri della massima trasparenza. Socialista sì ma non lottizzato. Vicino anche psicologicamente, anche caratterialmente, al Craxi decisionista e ”modernizzatore”, ma prima di tutto un giornalista. Professione: conduttore del Tg2. Veloce. Sveglio. Furbo. Mentana. Perché come Mentana lo conoscono tutti. Anche se lui non alimenta la propria mitologia, diventa popolare. Anzi un´icona, una iper-figurina, una super-immagine di se stesso. E allora un´icona non può mettersi a fare l´attendente del comandante che entra in politica. Mentana deve continuare a essere Mentana. Un battutista feroce che si fa accettare dalle famiglie. Il testimonial della comunità ebraica. L´interista con cui immaginare di discutere accanitamente del derby. Il kamikaze che si butta contro la corazzata del Tg1 e anziché schiantarsi comincia a strappare ascolti. Il tempista cinico che esordisce con la punturina di spillo dei pochi secondi di anticipo sul Tg1 che permettono il contropiede: se il telespettatore si trova con il telecomando su Canale 5, difficilmente riuscirà a staccarsi dalle raffiche di Mentana. Per questo diventa terzista. Un terzista ante litteram, che si guarda bene dal teorizzare la dottrina del terzismo, ma un terzista strategico. Attraversa Tangentopoli prendendo via via le distanze dall’ondata giustizialista, ma senza escandescenze contro i magistrati. Inietta adrenalina, aumenta il ritmo, ma soprattutto, non appena passa la legge elettorale maggioritaria, capisce che anche in televisione converrà imporre la legge del bipolarismo: ”O di qua, o di là”, tertium non datur. Qualcuno sostiene che lo schema bipolare lo determina lui, nella pratica, con il celebre faccia a faccia tra Silvio Berlusconi e Achille Occhetto, che conclude la campagna elettorale del 1994, e come sottoprodotto del duello televisivo disegna il format della politica a venire, sgombrando il terreno dal Patto per l’Italia di Segni e Martinazzoli, il terzo escluso. D’altronde, si poteva essere antiberlusconiani restando a dirigere il maggiore tg del Cavaliere sceso in tenzone? La risposta è retorica quanto la domanda. Occorreva piuttosto riuscire nella prodigiosa impresa di apparire equidistante senza irritare Silvio, neutrale favorendo Berlusconi, attento alla par condicio sapendo che il padrone reclamava sostegno. Un gioco di equilibrio pazzesco, che si sviluppa in una paraculata fantastica. Con il Cavaliere che inscenava i suoi teatrini alludendo alle decine di giornalisti comunisti infiltrati in Mediaset, e Mentana che reclamava il diritto alla professionalità. ”I miei telegiornali mi attaccano”, esempio sublime di chiagni e fotti berlusconiano, a cui si univano gli zelatori di Forza Italia, pronti al mugugno contro quel direttore carogna e ingrato. E lui, per tutta risposta, rispondeva ancora con il ritmo. Una tivù a perdifiato, impaginata pensando all´immensa platea di Mediaset, cioè ai professionisti di Milano e alle casalinghe ultrasessantacinquenni del Nord e del Sud pronte a votare Forza Italia. Perfetta operazione di marketing, grandissima performance di informazione fatta sul campo, con una pattuglia di giornalisti misera rispetto ai grandi numeri del Tg1, e tuttavia pronta a scattare sull’evento. Irresistibile, Toni Capuozzo durante il G8 a Genova, che con calma fronteggia la polizia, rassicura l’operatore, e intanto continua a fare cronaca, come se fosse sotto la regia di un Mentana abilitato a trasformare i disordini in un set. Ma impagabili anche le scenette di amicizia virile con Lamberto Sposini, gli addii o i ritorni, i saluti al pubblico, gli ammiccamenti reciproci. E infallibili anche i duetti con Fedele Confalonieri, lo sketch del ”questa volta me ne vado”, a cui dall’altra parte rispondevano ”no, lo cacciamo noi”, per arrivare a rinnovi del contratto su cifre favolose, subito smentite dall’interessato senza tuttavia passare alle precisazioni contabili. Risultato: Mentana è apparso credibile, e in questo modo è figurato più utile a Berlusconi che non il cabaret di Emilio Fede o il Tg-pop di Mario Giordano su Italia 1. Era la dimostrazione vivente che il Cavaliere è un liberale fatto e finito; che i giornalisti possono essere indipendenti anche nella Casa del capo; che nessuno chiede ai direttori Mediaset l’iscrizione a Forza Italia. Dicono che Clemente Mimun, quando era direttore del Tg2, avesse scoperto che gli ascolti del suo telegiornale si impennavano alla terza o quarta notizia: e lui, implacabile, ci infilava Berlusconi. Mentana non ha avuto bisogno di questi giochetti. Ha fatto un gioco migliore, un coprire e svelare, un attenuare e un intensificare, insomma una magia comunicativa che serviva a mostrare all’Italia intera, che il regime non c’è, che la libertà è una dote professionale, che nel paese dell’entusiasmo gregario si può onorare il mestiere prima che il committente [...]» (Edmondo Berselli, ”la Repubblica” 12/11/2004). «Il suo Tg5 è un caso: è un giornale professionale e divertente che sfida il Tg1 con un quarto dei redattori. Fa un’ottima rassegna stampa, e qualche volta si scorda del ”Foglio”. Si distingue il rullo mattutino, si gode la raffica serale. Ama fare scherzi e muore per un calembour, non ama le tinture dei capelli con colori accesi. Prima o poi finirà in un giornale di carta, intanto fa coppia fissa con Maurizio Costanzo negli speciali di Canale 5 (ha l’aria di chi paga il pedaggio). Sposini gli ha messo le corna, ma le donne lo giudicano sexy» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 24/10/1998). quasi coetaneo della tv. «Sì, sono nato nel gennaio ”55 e ho cominciato a guardarla da bambino. Me la ricordo con passione. Ne ho mangiata tanta, fin da piccolo. Mi ha sempre affascinato. Il primo indirizzo che ricordo, oltre al mio di casa, è quello della Rai, ”via Arsenale 21, Torino”. [...] Mio padre faceva il giornalista. Non sapevo che fosse un privilegio avere la televisione. Sapevo che noi l’avevamo. [...] Intorno ai 5 anni i telefilm, come ”Rin-tin-tin”, ”Avventure in elicottero”, ”Lassie” e poi è cominciata l’età dei telegiornali e degli sceneggiati. Ricordo ”La pisana” con Giulio Bosetti e Lidia Alfonsi. [...] Quando morì Gaber, mi venne in mente quando faceva il cowboy nel ”61. Guardavo ”Mezzo dollaro bucato”. Mi ricordo anche di Dario Fo, nei Caroselli. E poi Canzonissima, sempre con Fo quando fu bloccato dalla censura, ”Napoli contro tutti”, Peppino De Filippo, Totò. La morte di Kennedy e di Togliatti. Lo sbarco dell’uomo sulla Luna. Nella diretta vi fu uno scatto di nervi dell’attore Warner Bentivegna che chiedeva: ”Siamo qui per fare da riempitivo?” [...] La Cinquetti che cantava ”Non ho l’età”. E poi il Sanremo di Mike quando si suicidò Luigi Tenco. L’eliminazione clamorosa di Celentano che cantava ”Il ragazzo della via Gluck”. Il Sessantotto mi fa venire in mente la morte di Bob Kennedy, gli Europei di calcio in Italia con le telecronache di Nicolò Carosio e i carri armati sovietici in pieno agosto a Praga. Ricordo Andrea Barbato che conduceva l’edizione straordinaria. E sempre in quell’edizione fu mandato a fare il ”pastone” sulle reazioni politiche un giovanotto alto, allampanato, che era Nuccio Fava. [...] All’inizio degli ”80 venni assunto al Tg1. [...] Dirigevo un giornale giovanile legato ai socialisti: si chiamava ”Giovane Sinistra”. Un mio amico, Pasquale Guadagnolo, stava per lasciare il Tg1 per andare ai servizi parlamentari della Rai e così mi propose di entrare in Rai al suo posto. In quel momento era direttore del telegiornale Emilio Rossi. Andai a Roma, feci il colloquio con Emilio Rossi, che era stato il fondatore del Tg1. Era il 12 settembre del 1979. Quella sera avevano appena finito il Tg delle 20 e stavano pensando a mettere in onda un’edizione della notte molto più lunga perché poteva arrivare la notizia da Città del Messico del possibile record del mondo di Pietro Mennea, che correva la finale dei 200 metri. [...] Vedevo dei miti come Massimo Valentini che conduceva il telegiornale e che morì in redazione, pochi anni dopo. In quel momento Valentini si alternava alla conduzione del Tg con Emilio Fede. [...] Tre mesi dopo quel colloquio al Tg1 come redattore agli esteri. [...] Ho fatto per otto anni quel mestiere in quella redazione, dove i miei compagni di banco erano Vincenzo Mollica, Fabrizio Del Noce, Alberto Michelini e tanti altri. Mimun arrivò tre anni dopo. [...] Quando arrivai al Tg1, con questo nome, esisteva solo da quattro anni. C’erano state le elezioni del ”76, il rapimento Moro e il direttore stesso era stato gambizzato dalle brigate rosse. La concorrenza era, in quegli anni, tra il Tg1, democristiano ed istituzionale, e il Tg2 laico e di sinistra. [...] La lottizzazione non è un percorso perfetto. Ma Rossi e Fava volevano intelligentemente far fiorire un po’ di contraddizioni intelligenti all’interno del loro telegiornale. Dopo successe di tutto. Emilio Rossi se ne andò, Franco Colombo durò pochi mesi perché fu travolto dallo scandalo P2. Poi ci fu la reggenza di Emilio Fede che fu il primo a mettermi in video. [...] Nell’89 andai a fare il direttore del Tg2 di La Volpe. Era la tv di Craxi. Infatti durai poco più di un anno e fui rimosso e pagai il debito della lottizzazione. Non facevo più niente: avevo 36 anni ed ero senza occupazione. [...] Il Tg5 andò in onda, la prima volta, il 13 gennaio del ”92. [...] Io sono andato a Mediaset perché mi fu offerta un’occasione che nessun giornalista avrebbe rifiutato: creare un tg ex novo. Però è ovvio che la Rai è la gran parte della storia della televisione e pur non essendo ormai per nulla un uomo Rai, sento la storia della Rai come la storia di tutta la televisione e quindi anche mia. [...] La tv è quello specchio della realtà, della diretta e della fiction: è una finestra sulla vita. [...] Per tornare a cos’era la Rai degli Anni Settanta vorrei dire che era molto speciale: potevi trovare ”Chi sa chi lo sa”, che era un gioco per ragazzi presentato da Fabio Conti, con un ospite come Lucio Battisti che lanciava la sua nuova canzone ”Dieci Ragazze”» (Alain Elkann, ”La Stampa” 4/1/2004) • «[...] Veniamo tutti etichettati, come se fossimo pacchetti di sigarette, Io non faccio il commerciante né il notaio e penso che come giornalista questa mia mancanza di tifo sia abbastanza evidente. Forse il fatto di non essere berlusconiano in una tv che ha Berlusconi come proprietario mi colloca dall’altra parte della bilancia agli occhi di qualcuno, ma io sto nel mezzo. Non ho mai pensato che qualcuno avesse sempre ragione [...] le tv sono come quei cacciabombardieri che si riforniscono solo in volo e non possono mai atterrare... [...]» (Alain Elkann, ”Stampa” 7/11/2004).