varie, 5 marzo 2002
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MERINI Alda Milano 21 marzo 1931, Milano 1 novembre 2009. Poetessa • «Oltre che poeta di meravigliosa intensità, è una donna che si è lasciata alle spalle (ma fino a che punto?) una sofferenza enorme: quella del manicomio
MERINI Alda Milano 21 marzo 1931, Milano 1 novembre 2009. Poetessa • «Oltre che poeta di meravigliosa intensità, è una donna che si è lasciata alle spalle (ma fino a che punto?) una sofferenza enorme: quella del manicomio. Vi è stata reclusa per una decina d’anni a partire dal 1965, ma, miracolosamente, in quella succursale dell’inferno è riuscita a preservare la nobiltà dell’intelletto con la sola forza della parola poetica» (Osvaldo Guerrieri, ”La Stampa” 24/3/2001) • «Si è fatta ritrarre a seno nudo da Giuliano Grittini per Canto di spine degli Altera, una band prodotta da Franz Di Cioccio della Pfm. Non è nuova a queste provocazioni: sempre lo stesso fotografo, un suo amico, l’aveva ritratta senza veli per illustrare L’altra verità. Diario di una diversa, riedizione del 1997 di una sua raccolta di poesie. Allora spiegò così la sua decisione: ”Per buttare il mio corpo al macero, a significare che per la psichiatria il corpo non vale, viene annientato, soltanto la mente è terreno di studio”» (’Corriere della Sera”, 26/11/2001) • «’Cosa ne pensa lei?”. Fa spesso questa domanda. Non sempre ascolta davvero il tuo parere. Quel punto di domanda fa parte del ritmo del suo eloquio. E’ il suo refrain linguistico e morale. […] ”Io credo nella bellezza della vita. C’è chi pensa che sia impazzita di felicità. Per un poeta ogni briciola è come una montagna. Se un poeta ama, ama tre volte di più. Io continuo ad innamorarmi, sa. Adesso amo un prete di quarant’anni. Ma non vado a letto con lui. Ho più di settant’anni, io. Il desiderio e l’amore sono il nutrimento della mia poesia. L’amore è una cosa divina. Ma io non amo solo le persone. Amo anche le cose. Ogni oggetto per me diventa sacro. Amo tutto ciò che non è artefatto. Posso amare anche chi non ho mai conosciuto di persona. Mi è successo con Giorgio Gaber. Mi ha colpito la sua morte, il pudore che quest’uomo ha avuto nel vivere la sua malattia. Ho scritto una canzone per lui, che sarà musicata da Roberto Vecchioni […] Sono stata in manicomio più di dieci anni. Quando qualcuno mi dice ”poveretta’, magari per consolarmi, non sa che anche in manicomio si può fare esperienza della vita. Ho imparato molto, in quegli anni. Anche gli elettroshock (e ne ho subiti molti) mi sono serviti. L’abbandono è la morte, ma anche la perdita dei condizionamenti. A me non importa più nulla delle convenzioni. Vivo per quel che sono”. Ascoltando la sua voce, così quotidiana, eppure capace d’illuminazioni improvvise, di cortocircuiti inaspettati tra la prosa della vita e la poesia del pensiero, si capisce che è davvero un unicum nella nostra poesia. Con lei è difficile che si discorra di libri o di altri poeti e scrittori (anche se ha un bel ricordo di Quasimodo e della sua relazione con Manganelli parla in modo divertente). Piuttosto si rimane incantati da come riesca a trasportare ogni cosa quotidiana nel territorio della poesia e ogni cosa complessa e ardua in quello della quotidianità. Parla di amori, di vecchiaia, della carne e del desiderio, di quanto sia difficile essere amati da anziani e di quanto invece sia necessario, ricorda il suo amico Vanni Scheiwiller; e qualunque cosa dica, prende un ritmo particolare e unico. ”Tutti siamo poeti, sa, ma non tutti sanno scrivere poesie. Tra la vita e la poesia c’è un passaggio segreto, è inutile guardare tra le lenzuola dei poeti, come è stato detto, perché non è così che si capisce come nasca la poesia”. Lei riesce a mettere nelle sue poesie una naturalezza inusuale. Sarà forse questa la ragione che spiega perché il suo pubblico vada ben oltre quello consueto dei lettori di poesia. […] ”Scrivo quando non ho più soldi. Allora scrivo anche su committenza: per un matrimonio o un funerale”» (Silvio Perrella, ”La Stampa” 12/2/2003).