Varie, 5 marzo 2002
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Mero Vittorio
• Vercelli 21 maggio 1974, Cazzago San Martino 23 gennaio 2002. Calciatore • «Era arrivato a Brescia appoggiandosi alle stampelle. Ginocchio rotto durante i sei mesi di prestito alla Ternana, l’anno sabbatico decretato da Mazzone per riavere tonico e agguerrito il difensore che considerava una piccola garanzia: ’Non sarà un fuoriclasse ma quando lo mando in campo sono sicuro che darà il massimo’. Lo ’sceriffo’, come lo chiamava Sonetti per la sua determinazione, aveva fatto il rodaggio nella periferia del grande calcio (Belvedervercelli tra i dilettanti, Casale in C1), il salto in A col Parma ma senza nessuna presenza (’92-93), di nuovo in C1 (Crevalcore) e poi la B col Ravenna, dove Vittorio, attentissimo alla moda e maniaco delle scarpe di marca, aveva aperto un negozio di calzature con un amico. Papà Salvatore barbiere, la sorella Maria Antonietta parrucchiera. Tutti a Vercelli con casa e negozio a due passi dallo stadio della Pro Vercelli, una squadra dove Vittorio però non ha mai giocato. Anche se, ignorando le aspettative della famiglia, aveva scelto il pallone e Brescia dall’estate ’98. Dove gli era riuscito un piccolo miracolo: mettere d’accordo gradinata e Curva nord, spaccate da un dissenso che durante la finale dell’Intertoto sfociò in una clamorosa contestazione a Corioni che portò alle dimissioni di Mazzone. Vittorio stava simpatico a tutti ed era stimato dagli ultrà di ogni fazione. Anche dagli storici rivali dell’Atalanta, che hanno affidato a un sito un poetico necrologio: ’Da ieri in cielo c’è un’altra stella’. Proprio contro l’Atalanta aveva giocato quest’anno la sua unica partita in serie A il 30 novembre [...] E’ morto nel Far West di pioggia e asfalto viscido della A4, all’altezza di Cazzago San Martino, tra Rovato e Ospitaletto, quando la sua Polo ha tamponato un furgone, è andata in testacoda e si è fermata contromano, con il muso orbo e il cofano fumante verso Milano. [...] Se al 14’ del secondo tempo di Brescia-Roma (3-0), la sfida che aveva promosso la squadra di Mazzone nella semifinale di Coppa Italia, non avesse pronunciato ’una frase volgarmente irriguardosa’ nei confronti dell’arbitro Pellegrino, ieri intorno alle 14 sarebbe stato a Parma con i compagni, convocato per l’andata di un appuntamento storico per il Brescia. Invece era rimasto a casa e in mattinata si era allenato a Erbusco con il manipolo di squalificati e infortunati agli ordini di Enrico Nicolini, uno degli assistenti di Mazzone. Mero, Schopp, Kozminski, Emanuele Filippini. ’Dopo l’allenamento siamo andati tutti insieme a pranzo - ha raccontato Nicolini, l’ultimo dello staff del Brescia ad aver visto Vittorio -. Abbiamo scherzato, gli ho chiesto del suo futuro, se restasse a Brescia o se ne andasse. Un ragazzo splendido. Poi si è messo in macchina verso casa’. A Nave, frazione a Nord-Est di Brescia a pochi minuti dallo stadio Rigamonti, lo aspettavano la moglie Erika e Alessandro, un anno e mezzo, il bimbo di cui Mero parlava sempre ai compagni e per il quale aveva comprato il cucciolo che era diventato la mascotte della squadra. Sempre puntuale agli allenamenti, come il padrone. L’idea era togliersi le scarpe da ginnastica e mettersi davanti alla televisione, Parma-Brescia, Raidue ore 17.30, la semifinale di Coppa Italia che si è trasformata in un dramma in diretta mentre Mero era già all’obitorio del cimitero di Rovato, un calciatore estratto dalle lamiere dalla Polizia stradale di Bergamo, un cadavere in attesa di identificazione. Guidava veloce tra Bergamo e Brescia, Vittorio Mero, per non perdersi nemmeno un minuto della ’sua’ partita, perché dopo 4 presenze in Intertoto come chioccia dei ragazzini della Primavera (ci scherzava sopra: ’Io il più vecchio della squadra? Diciamo il più esperto, che è meglio...’), 8 in campionato e 3 in Coppa Italia, ieri a Parma voleva e doveva esserci. Si era tinto i capelli per festeggiare la salvezza dell’anno scorso: pizzetto nero e zazzera bionda, impossibile non notarlo. In Brescia-Torino, aveva ritrovato Pellegrino. L’aveva avvicinato prima della partita: ’Arbitro, io contro la Roma non ho insultato nessuno’. Troppo tardi, la squalifica e la corsa verso l’appuntamento di ieri erano già scattate. Alle 13.55 si è infilato sotto un autocarro che all’improvviso si è spostato bruscamente sulla corsia di sorpasso, a sua volta tamponato da un autoarticolato in sbandata, che provoca l’incidente e si allontana. L’allarme scatta subito: la Polizia stradale blocca il pirata della strada al casello di Brescia centro, lo ferma con l’accusa di omissione di soccorso, lo interrogherà per convalidare l’arresto. Salvatore Mero a metà pomeriggio credeva di vedere il Brescia, la squadra di suo figlio, cercare mezza qualificazione in finale contro il Parma. Invece ha assistito a un necrologio in diretta, con telecronaca a due voci. Prima di avere un malore ha letto lo sgomento sui volti dei giocatori, ha pianto insieme al pianto di Baggio, il fuoriclasse che per Vittorio era un compagno di squadra e un idolo (’Osservandolo posso imparare qualcosa di nuovo tutti i giorni’), ha ascoltato i cori degli ultrà, che quando hanno saputo, al contrario della società, non hanno taciuto. Poi la partita di Vittorio Mero, il calciatore condannato da una squalifica, non è mai cominciata» (Gaia Piccardi, ”Corriere della Sera” 24/1/2002).