varie, 5 marzo 2002
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Merola Mario
• Napoli 6 aprile 1934, Napoli 12 novembre 2006. Cantante. Attore • «[…] l’eccessivo, il generoso, l’incontenibile. L’uomo dei quartieri, dei semplici, dei pescatori. Amato dalle casalinghe, dagli artisti, dalla gente della canzone ”recitata”. A suo modo, un sovrano. I fan all’ombra del Vesuvio, come i discendenti degli emigrati italiani a Brooklyn, o nella Germania delle miniere, lo hanno identificato per mezzo secolo con la figura del guappo buono, capace di opporsi al sopruso, alla povertà, alla discriminazione. Capace, al pari dei re, di rimediare ai torti e amministrare la giustizia secondo buon senso, equità, speranza. E lui, dai precocissimi esordi […], ha fatto il massimo per meritare tanta considerazione. Cresciuto nel cerchio dei grandi interpreti della canzone partenopea, ha rubato i segreti dell’interpretazione ”in giacca e cravatta”: storie incredibili d’amore e di coltello da cantare con la spavalderia azzimata dell’uomo forte. Poi, i ruoli storici della ”sceneggiata”, un genere di spettacolo che continua a rappresentare la forma più tipica di teatro legata alle vicende della vita napoletana, una sorta di romanzo d’appendice in parole e musica. Sono, quei copioni, spettacoli senza freno in cui si dà fondo al sentimento popolare, in cui il duello viene prima o dopo il tradimento, la prostituzione implica la necessità di redimersi, la droga e il degrado trovano rappresentazione e, al tempo stesso, condanna senza appello. In ”O zappatore, il più celebre dei titoli (e dei personaggi) interpretati, Merola è perentorio, massiccio, coperto da un mantellaccio campagnolo. Fa irruzione nel salotto elegante dove il figlio, come finzione comanda, butta via il tempo tra femmine lascive e alcol a fiumi. Impone al denegere, con maestà, la propria legge di faticatore integerrimo, lo costringe a ravvedersi e sputa disprezzo sulle donnacce traviatrici. Musica, musicanti!, grida all’orchestrina da ballo, la gola così straziata ed eloquente che pochi, in sala, ce la fanno a non commuoversi. In fondo, don Mario trasporta tutto questo nella propria famiglia, tradizionalissima e unita. Ha cresciuto non solo i tre figli avuti dalla moglie Rosa, ma anche altri tre ragazzi, affidatigli da un parente in punto di morte. Quando l’unica figlia, Loredana, si è sposata, ha voluto per lei un matrimonio fastoso, in stile hollywoodiano, con tanto di Limousine color panna, gran pranzo al ristorante, dispiego di damigelle d’onore e appartamento di lusso. ”Mia figlia va all’altare con l’abito bianco - disse, orgoglioso - e può farlo dando a questo simbolo un significato reale. Noi siamo così, teniamo ai valori di una volta”. Ama giocare d’azzardo, come ogni boss che si rispetti. Sul tavolo verde ha lasciato molto denaro. Ma tutti sanno che onora i debiti di gioco fino all’ultimo centesimo. Sogna di ridare lustro al Festival della Canzone napoletana e non approva - lo ha dichiarato più volte, senza peli sulla lingua - la maniera contemporanea di vivere e cantare Napoli, portata al successo, negli ultimi anni, da Renzo Arbore. ”Ma quello è pugliese - dice - con Napoli che cosa c’entra? Eppure sembra l’ambasciatore della canzone napoletana nel mondo, ci cascano addirittura i presidenti della Repubblica...’. Ha il cuore in mano. Di fronte al bisogno e al dolore, è pronto a mettere la mano in tasca e ad aiutare. Polemico, pieno d’irruenza, sanguigno fino alla durezza, si è spesso lasciato andare ad osservazioni che gli hanno creato non pochi problemi con i ”rivali” in arte, o con la televisione, che però continua ad ospitarlo per scenette e canzoni. Personaggio d’altro secolo, predica l’onore, l’amore per la patria, per la mamma, per la femmina del cuore. Non ha pudore dei sentimenti, che vuole e vive strabordanti. Ci crede. E gli altri, compresi i ”nemici”, credono in lui» (Rita Sala, ”Il Messaggero” 17/3/2005). «Incide quasi per scherzo una canzone melodrammatica che gli regala un’enorme e insperata popolarità e gli apre le porte del mondo dello spettacolo. In pochi anni diventa il re incontrastato della ”sceneggiata napoletana”, specializzandosi in ruoli di uomini decisi e passionali, generosi e legati ai valori della tradizione ma vessati da un destino crudele. Occhi azzurri, espressione burbera, fisico massiccio, voce potente, è l’interprete ideale di vicende dal sentimentalismo esasperato che ricordano il cinema di Matarazzo e che hanno come sfondo la realtà della malavita organizzata [...] Svanito il successo del genere, alla fine degli anni ”80 abbandona il grande schermo, ma vi ritorna dopo un ventennio per interpretare l’ironico (e autoparodico) boss del grottesco musical Sud Side Stori di Roberta Torre» (Cinema, a cura di Gianni Canova, Garzanti 2002). «All’inizio facevo la scaricatore di porto al ponte della Maddalena dove c’è la statua di San Gennaro con le tre dita che fermò la lava a pochi metri dal mare. [...] Tutte le cose belle che ho fatto. I festivàl, le canzonissime, la prima volta in America, poi alla Casa Bianca, davanti a Ford [...]» (Gino Castaldo, ”la Repubblica” 19/9/2004).